Lunedì 16 Gennaio ho seguito “L’Infedele”, il programma di approfondimento di Gad Lerner. E’ stata una puntata interessante. Il titolo era inequivocabile: “Draghi: la situazione è gravissima”. Nel corso della puntata sono intervenuti politici, economisti, giornalisti, imprenditori e rappresentanti sindacali. Insieme a loro il ministro Fabrizio Barca (Ministro per la Coesione Territoriale) e più tardi il Sindaco Pisapia.
Si è parlato di politica economica e di come “vivere senza rating”, il Ministro ha introdotto interessanti spunti per lo sviluppo imprenditoriale. Ma l’argomento centrale, quello su cui mi voglio soffermare in questo post, è stato il fenomeno dell’occupazione delle fabbriche, la reazione
dei lavoratori alla chiusura dell’impresa, la costituzione di cooperative e la autogestione.
Di cosa si tratta?
Il fenomeno nasce in Argentina durante la crisi che ha portato al “default”, la bancarotta dello Stato. Le “Empresas Recuperadas por sus Trabahadores” sono la reazione degli argentini alla crisi.
Quando nel 2002 la popolazione sotto la soglia di povertà supera il 50%, gli operai capiscono che rimanere senza lavoro può condannarli alla fame. Lottano, si oppongono alla chiusura della fabbrica, occupano e presidiano gli impianti, fondano cooperative che gestiscono le imprese su base assembleare e assegnano stipendi paritari. Continuano a produrre. In Argentina oggi le “fabbricas recuperadas” sono più di 250, danno lavoro a più di 12.000 persone e anno dopo
anno continuano ad aumentare (secondo l’Università di Buenos Aires nel 2004 erano 161 con 6.000 lavoratori, con un tasso di sopravvivenza elevatissimo, quasi del 90%). Inizialmente considerata una soluzione estemporanea, oggi le fabbriche recuperate rappresentano una esperienza consolidata.
Nella sua trasmissione, Gad Lerner ha presentato alcuni casi italiani: un quotidiano bresciano, una fonderia e una azienda siderurgica padovana. “Paghiamo per lavorare, ma intanto lavoriamo” è lo slogan della gente che non vuole rassegnarsi alla crisi e che non vuole stare a casa a farsi mantenere dallo Stato. Hanno investito 14.000 Euro ciascuno e accettano di guadagnare il 50% di ciò che percepivano ieri; pur di non abbandonare i loro impianti. Sono i lavoratori delle nostre prime “fabbricas recuperadas”.
A questo punto il mio commento: “Draghi: la situazione è gravissima”; il titolo della trasmissione è azzeccato. Sì, perché si tratta di generose iniziative, di lavoratori disperati.
Non conosco le aziende nello specifico, né la loro storia. Propongo, però, due problemi di carattere generale. Ed una proposta per una loro soluzione. Che in trasmissione non ho sentito da nessuno (in realtà, la prima, è stata giustamente introdotta dal signor Troccoli).
Il primo problema. E’ evidente che un’operazione di questo tipo possa essere percorribile per aziende di piccole dimensioni, meglio se radicate nel territorio, vicine alla circostante società civile, sfruttando le relazioni con la sua comunità. Ma come la mettiamo con le grandi imprese?
Per loro il discorso è diverso. Troveremo mai un lavoratore disposto a investire 100.000 Euro per mantenere la sua occupazione?
Il secondo problema. E’ necessario che i lavoratori si chiedano se stanno per rilevare imprese di cui il mercato ha già decretato la morte. Una morte strategica, prima ancora che finanziaria. Tali aziende potranno certamente andare ancora avanti; ma a quali condizioni? Se il prodotto che esce da quelle linee di produzione è “decotto”, l’impresa potrà sopravvivere ancora un po’ prorogando quella battaglia competitiva dalla quale non ne era uscita vincitrice. I lavoratori saranno costretti a lavorare sempre di più, ad essere sempre più produttivi, e ad accettare retribuzioni sempre più basse. Morirà definitivamente quando la mancanza di capitali non consentirà il rinnovo degli impianti per restare competitivi.
Dopo i due problemi la proposta. Occorre che i lavoratori acquisiscano capacità di valutazione e progettualità strategica. Per capire se stanno cercando di far sopravvivere “A dead walking enterprise”. Per capire come trasformare prodotti, mercati, organizzazione per costruire un rilancio stabile. Per capire come strutturare un progetto d’impresa capace di attrarre finanziatori di sviluppo. Generalizzando: il nostro sviluppo futuro non dipende certo dall’andamento degli spread, ma da una nuova generazione di imprenditori che sanno immaginare cieli nuovi ed una
nuova terra. Magari questa nuova generazione di imprenditori potrà essere costituita dai lavoratori stessi. Magari assistiti da sindacati che diventano intermediari e fornitori di conoscenze e modelli di valutazione e progettazione strategica.
Questa nostra proposta è il nostro contributo a tutte le persone che hanno già intrapreso questo cammino. A loro ed alle loro famiglie, vanno, al di là di tutto, la nostra ammirazione e i nostri più sinceri auguri. Di cuore.
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