di
Luciano Martinoli
Sull’inserto “Affari e Finanza” de “La
Repubblica” di ieri è apparso un commento a firma avv. Alessandro De Nicola, che proponeva un interessante parallelo
tra le vicende sui Minibond, evidenziate anche dalla nostra recente ricerca, e
i Tltro, i prestiti agevolati della BCE finalizzati alle imprese.
Pur essendo d’accordo con le premesse, e ringraziandolo per
l’attenzione prestata al nostro lavoro, e le conclusioni, “i soldi per lo sviluppo sono molto meno utili
fino a quando non ci saranno le condizioni che favoriscono la crescita”, non
siamo d’accordo sulla risposta che fornisce alla legittima domanda “quali sono
queste condizioni?”
Ormai tutti partono dalla considerazione che queste
condizioni siano di sistema, le riforme, presupponendo l’esistenza di un
tessuto industriale sano che, a fronte di un miglioramento delle condizioni
esterne, riprenda il suo lavoro di sempre: creare ricchezza e benessere per
tutti.
Ma è davvero così?
Secondo noi no, anzi è vero esattamente
il contrario ovvero che il sistema degradato è un sintomo, non la causa, del
malessere “strategico” della stragrande maggioranza delle imprese italiane.
Dunque la vera radice della crisi è all'interno di ogni singola azienda che ha
perso la capacità di generare significato
nei prodotti e servizi che offre al mercato.
Per aiutarci a comprendere meglio questo aspetto chiamo a
soccorso un recente articolo, già citato in un mio precedente post, di HarvardBusiness Review riguardo le innovazioni. Ve ne sono di tre tipi: quelle che
creano prodotti migliori dei precedenti, quelle che creano prodotti più
economici e quelle che creano prodotti radicalmente nuovi. Solo quest’ultima
però genera nuovi posti di lavoro e maggiore ricchezza, le altre tagliano
lavoro e costi avviando l’azienda a spremere un limone, se stessa, che se non
correrà per tempo a crearne un altro, i nuovi prodotti/servizi, sarà solo da
buttare.
Le tanto invocate riforme offrono strumenti e supporto a
questo tipo di innovazione che dobbiamo perseguire? Direi proprio di no, anzi, sull'onda
delle richieste correnti, strategicamente povere, sono di supporto a strategie di efficacia ed efficienza il cui effetto finale è velocizzare il processo di perdita di significato
e, alla fine, morte delle imprese.
Di cosa allora vi è bisogno, quali sono le “condizioni che
favoriscono la crescita”?
Non le riforme dall'alto, burocratiche, eterodirette, dai risultati
imprevedibili come i casi Minibond e Tltro dimostrano, ma lo “stimolo” alle “Autoriforme”.
Cosa è un’Autoriforma?
E’ una “riforma” fatta all'interno della singola azienda, che ha lo scopo di
riprogettare il proprio senso di fare impresa attraverso prodotti e servizi
radicalmente nuovi (tecnicamente si chiama “riprogettazione strategica”) e
redigendo progetti di sviluppo che dimostrino come, una volta realizzati, l’azienda ritorni a produrre cassa
(tecnicamente redigendo Business Plan “alti e forti”).
Gli strumenti poi per finanziare tali progetti,
auspicabilmente non altro, ci sono già (minibond e Tltro). La domanda allora è
un’altra: come stimolare le Autoriforme?
Non c’è bisogno di leggi e provvedimenti speciali ma solo la
convinzione da parte i tutti gli attori del mercato dell’importanza di
fornire strumenti, linguaggi, “risorse cognitive” (ad esempio nuovi e potenti
modalità di progettazione strategica, ovvero modelli di Business Plan)
innovative alle imprese e valutare le loro richieste di risorse in base alla
qualità dei loro piani, a quale tipo di innovazione aspirano.
Un modello di Business Plan è la risorsa cognitiva chiave per riattivare la progettualità dell’imprenditore. Più è ricco il modello di Business Plan, più questo riesce a nutrire la sua cultura della progettualità.
Un modello di Business Plan è la risorsa cognitiva chiave per riattivare la progettualità dell’imprenditore. Più è ricco il modello di Business Plan, più questo riesce a nutrire la sua cultura della progettualità.
Inoltre tale modello dovrebbe essere usato dall'imprenditore in prima persona: dovrebbe permettergli di ragionare sulla inadeguatezza dell’oggi, di vedere le potenzialità di domani e concretizzarle in nel suo progetto d’impresa.
Questo approccio all’Autoriforma se auspicato da tutti, rifrasando la famosa frase di Kennedy “non chiedete cosa il mercato possa fare per voi ma cosa voi potete fare per il mercato", porterebbe ad una
maggior trasparenza sugli intenti delle imprese, consentendo il supporto a
quelle più meritevoli indipendentemente dal “merito di credito” che non dice niente
a nessuno (se non ai miopi burocrati sul breve periodo... e con che risultati basta guardare alle sofferenze bancarie). Inoltre favorirebbe un
dibattito costruttivo e mirato a definire le esigenze di tutti gli attori
(imprese, lavoratori, sindacati, banche, ecc.), e quindi più facilmente
esaudibili. Ma ultimo, e non meno importante, scatenerebbe un effetto domino tra
coloro volenterosi di fare davvero “impresa” generando classi di aziende
totalmente nuove, prospere e generatrici di reale ricchezza autonoma, e non
artificialmente sostenuta da interventi esterni.
Dunque non “riforme, riforme, riforme”, come invocava alla fine dell'articolo l'avv. De Nicola, ma “Autoriforme,
Autoriforme, Autoriforme”.
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