di
Francesco Zanotti
Tutti (soprattutto politici ed economisti) affermano che è necessario crescere. Ma che cosa è che deve crescere? La risposta che si dà normalmente è molto semplice: il PIL.
E’ vero che
vi è chi si concentra su variabili a più alta intensità sociale, come l’occupazione,
ma, anche costoro, poi, finiscono col riconoscere che l’aumento
dell’occupazione passa inevitabilmente da un aumento del PIL.
Purtroppo, però,
se si guarda al PIL si rischia una retorica della crescita velleitaria e anche
un po’ qualunquista. Il PIL è una variabile troppo generale, forse anche
generica, certo rinunciataria.
Infatti, il
PIL contiene tutto e il contrario di tutto: i consumi, la spesa pubblica, gli
investimenti, il saldo commerciale con l’estero.
Allora, un
aumento del PIL, può essere generato, ad esempio, dall'aumento dei consumi e
del saldo commerciale, ma anche dall'aumento della spesa pubblica. Credo,
proprio che queste due modalità di crescita non abbiano lo stesso impatto sulle
possibilità di sviluppo dell’economia, delle imprese, dell’occupazione, della
qualità della vita delle persone.
Ancora: un
aumento del PIL è un risultato “medio”. Ma come tutti sanno, i macro risultati
medi sono sempre del tipo “pollo di Trilussa”: sono la somma di successi e
tragedie. E a noi tutti interessano successi diffusi e condivisi.
Da ultimo,
il ragionare in termini di PIL, porta sempre a speranze di crescita molto lente
e di piccola entità. E noi tutti abbiamo bisogno di uno sviluppo (anche la
parola crescita, come sosterrò più avanti, è una parola a dir poco fuorviante)
alto, forte, diffuso e solidale.
Che altra
variabile usare. Invece del PIL?
Propongo di
usare come variabile di riferimento i
flussi di cassa delle imprese. Propongo di spostare l’obiettivo dal livello
macroeconomico, al livello della singola impresa.
Usando
questa variabile, l’obiettivo dello sviluppo si traduce in qualcosa di molto
concreto ed operativo: un aumento
rilevante ed in tempi breve dei flussi di cassa a livello di ogni singola
impresa.
Se si
raggiunge questo obiettivo si ottiene uno sviluppo economico e sociale
complessivo che è direttamente proporzionale alla crescita della produzione di
cassa.
Si riesce ad
aumentare non solo la quantità, ma anche la qualità dell’occupazione.
Si riesce a
migliorare la qualità degli attivi delle banche. Detto diversamente: aumentare
il merito e la qualità del credito. Detto ancora diversamente: si garantiscono
e si remunerano meglio i risparmi.
Si riesce a
remunerare il capitale investito e, quindi, a diventare attrattivi per investitori.
Si riesce ad
aumentare in valore assoluto e diminuire in termini percentuali, il gettito
fiscale. Un aumento del gettito fiscale (rilevante, in tempi brevi e senza
effetti depressivi) permette di avere risorse per Stato Sociale, Scuola,
Ricerca etc.
In sintesi, è l’aumento dei flussi di cassa delle
imprese che porta al formarsi di un circolo economico e sociale virtuoso.
Viceversa,
se non si aumentano, anzi si lasciano peggiorare, i flussi di cassa, si
genererà un circolo vizioso che, certamente, non verrebbe invertito neanche se
si avverassero gli aumenti oggi
immaginati del PIL (come dirò un amento del PIL può anche significare
diminuzione dei flussi di cassa).
E’ presto
descritto il circolo vizioso
·
fallimenti
delle imprese;
·
aumento
della disoccupazione;
·
aumento
delle sofferenze con conseguente esigenza di ricapitalizzazione delle banche.
Aumento
in termini percentuali (perché possa almeno rimanere costante in valore
assoluto) di una pressione fiscale elevata già elevatissima, soprattutto se si
pensa che essa è dovuta in termini di cassa mentre il bilancio è redatto in
termini economici. Questo aumento andrebbe ad aumentare fallimenti,
disoccupazione e sofferenze bancarie. Pur senza riuscire a finanziare Stato
Sociale, Scuola, Ricerca.
Altri parametri?
Qualcuno
potrebbe ipotizzare di usare altre variabili a livello di impresa: il
fatturato, l’utile e il profitto. Ma un aumento del valore di queste variabili
non necessariamente genererebbe un aumento dei flussi di cassa delle imprese che,
come ho dimostrato, sono l’unico “evento” che può indicare che si sta
costruendo sviluppo. Anzi potrebbe portare a gravi illusioni.
Iniziamo dal
fatturato.
Un’impresa
può tranquillamente aumentare il fatturato e, contemporaneamente, aumentare le
perdite. Anzi, tanto più l’ambiente è competitivo, tanto più è probabile che
questo accada. E aumentare le perdite non porta certo ad un aumento dei flussi
di cassa, ma ad un aumento dei debiti. Con l’aggravante che un aumento del
fatturato sul breve permette di non considerare così grave un aumento dei
debiti.
Se mi si
permette una parentesi, queste considerazioni sul fatturato portano ad una
ulteriore “controindicazione” sull'utilizzo del PIL come variabile di
riferimento per ragionare di sviluppo.
Un aumento
del fatturato delle imprese porta certamente ad un aumento del PIL. Ma il PIL non
fa differenza tra fatturati “sani” (di imprese che parallelamente aumentano
utili e flussi di cassa) e fatturati che generano perdite. Allora chi propone
di ricercare un aumento del PIL dovrebbe, almeno specificare che è necessario
che gli aumenti di fatturati che lo generano siano “sani”.
Arriviamo
agli utili
Si potrebbe
pensare di perseguire un contemporaneo aumento del fatturato e degli utili. Ma
anche questo non basta: gli utili sono ancora e solo potenzialità di cassa che
possono non attualizzarsi mai in cassa realmente entrante e, quindi, in
liquidità disponibile per acquisti (ma perché continuare a usare la parola
“consumi” quando si può consumare solo la mortadella e non, ad esempio, il
telefonino?)
Spesso,
soprattutto nei dibattiti politici, si ragiona in termini di profitto: l’impresa ha come obiettivo fondamentale il
profitto. Ma questa parola non si sa bene cosa voglia dire. Nel bilancio di una
impresa non c’è la voce “profitto”. Tecnicamente si usano molte altre quantità
(specificate nel bilancio o da queste calcolabili): EBITDA, Utile, Cash Flow,
EVA, ROE, utili distribuiti, aumento del valore delle azioni. E si ragiona in
termini di breve o lungo termine. Ora accade che perseguire l’aumento di una di
queste variabili comporti il causare la diminuzione di altre. Ed è noto che una
prospettiva di breve termine confligge con una prospettiva di lungo termine.
Questo
significa che chi usa la parola “profitto” dovrebbe specificare il senso che
attribuisce a questa parola, altrimenti il suo utilizzo diventa puramente
ideologico.
Serve ad
alimentare l’insensato conflitto tra i sostenitori della libera impresa e
coloro che vedono nella libera impresa uno strumento di dominazione.
Per non dare
adito ad equivoci, e supportare, anche involontariamente, fughe verso strategie
di sviluppo populiste e superficiali, che di sviluppo proprio non possono
crearne, è necessario specificare ancora un paio di cosette riguardo alla
liquidità.
Due note sul finanziamento
alle imprese
Oggi si
studiano mille misure per far giungere liquidità alle imprese: dal concedere
più credito aumentando il capitale delle banche o eliminando (con una bad bank)
le sofferenze; dall'emissione di bond aziendali alla quotazione in borsa.
Ma si
rischia di spostare solo il problema, anzi di peggiorarlo (aumentando
l’indebitamento o spostandone l’onere sui risparmiatori) se non si fa in modo
che queste risorse vengono utilizzate per aumentare la capacità autonoma di
produrre cassa delle imprese.
Anche il
pagamento dei debiti della PA aumenta certamente la cassa disponibile in modo
più sano, ma non aumenta la capacità di produrre nuova cassa nel futuro.
Riassumendo e concludendo. Sto proponendo l’aumento dei flussi di cassa come
obiettivo di sviluppo. E, quindi, come riferimento del dibattito politico ed
economico: tutti coloro che propongono strategie, progetti, interventi per
uscire dalla crisi dovrebbero spiegare come è quanto queste loro proposte
riusciranno ad aumentare la produzione di cassa delle imprese.
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