di
Luciano Martinoli Francesco
Zanotti
E' recente la notizia
della richiesta di concordato in bianco della "Grafiche
Mazzucchelli", azienda bergamasca che poco più di un anno fa emise uno dei
primi minibond.
La conseguenza
prevedibile di questa richiesta è che il minibond non verrà più rimborsato.
Le domande che è
necessario ed urgente farsi sono almeno quattro.
La prima: era
prevedibile?
La seconda: accadrà
ancora? Cioè, qual è la percentuale dei minibond emessi a rischio?
La terza: perché si
danno soldi a chi non li merita? Detto diversamente: come si fa a individuare
chi li merita?
La quarta: ma non è che forse anche il crescere delle sofferenze bancarie nasce perché non si riesce a
capire chi merita il credito?
Andiamo con ordine.
Prima riposta: sì, non solo era prevedibile, ma era stato
previsto! E le previsioni sono state rese pubbliche.
Il primo che si accorse, e scrisse, della
strana emissione fu Fabio Bolognini che, dalle pagine del suo blog, titolava,
già il 13 novembre 2013, "Minibond: il mercato diventa
fiera".
Successivamente,
nell'ambito di una prima indagine sulle emissioni minibond, volta a cercare di
capire, attraverso una analisi strategica, se le risorse finanziarie raccolte
con l’emissione di minibond servissero a generare sviluppo (l’obiettivo del
legislatore) o per altri fini (da tutti temuti), esprimemmo anche noi forti perplessità su
quella come su altre operazioni.
Lo stesso Bolognini ha
seguito nel tempo le vicende di questi 18 mesi: vicissitudini aziendali e le
dubbie (e illecite?) manovre tra l'azienda e i soci. E ne ha fatto una
ricostruzione riassunto sul suo blog.
Due osservatori
esterni (stakeholder), a conoscenza solo di notizie stampe e documenti
pubblici, da due prospettive diverse e complementari, ma con strumenti
valutativi specifici, arrivavano alla stessa conclusione: quest'operazione non s'ha da fare!
Seconda riposta: certamente accadrà ancora. E la ragione
è molto semplice: in tutte le emissioni manca un Business Plan che spieghi che
cosa se ne faranno le imprese dei soldi che raccolgono sui minibond. In alcune,
invece, si capisce bene cosa ne vogliono fare dei soldi raccolti, ma non è
certo per finanziare azioni di sviluppo. Ma, ad esempio, per pagare le tasse.
Quale persona, dotata di normale buon senso, presterebbe soldi ad una impresa
per pagare le tasse? Nessuna. Alcune Istituzioni finanziarie, pare invece sì!
Terza riposta: per decidere a chi prestare soldi, è
necessario valutare esattamente cosa se ne farà. E per compiere questa
valutazione è necessario che l’impresa lo spieghi in un Business Plan e le
Istituzioni finanziarie sappiano valutare un Business Plan. Il problema (da
sottoporre alle Autorità di Controllo) è che le imprese non sono tenute a
presentare un Business Plan. E le Istituzioni finanziarie, a causa della loro
storia, non dispongono delle conoscenze e delle metodologie di strategia
d’impresa che possano permettere una valutazione di un Business Plan.
Quarta riposta: si, l’origine della sofferenze bancarie è
la stessa.
Le banche non
chiedono Business Plan alle imprese, queste non li fanno e le banche non
saprebbero valutarli perché non dispongono delle metodologie di strategia
d’impresa che possano permettere una valutazione. Come già sospettava (ed ha
dichiarato pubblicamente questo sospetto) il Direttore generale della Banca
d’Italia alcuni mesi fa.
Cosa proporre?
Spesso di dice che è
necessario un cambiamento culturale, ma poi non si specifica in cosa consista.
Diciamo anche noi che
è necessario un cambiamento culturale. Ma specifichiamo in cosa consiste.
Occorre che Imprese ed Istituzioni
finanziarie acquisiscano le più avanzare conoscenze e metodologie
d’impresa. Le prime per generare Business Plan alti e forti. Le seconde per
saperli valutare.
Ma non basta, la
reazione a questa situazione deve essere di sistema.
Solo alcuni cenni,
visto che stiamo scrivendo un post per un blog.
Le Authorities di Controllo (Consob, in
primis) devono obbligare all’emissione di Business Plan tutte le imprese che
richiedano risorse finanziarie ad attori diversi dagli azionisti.
E dovrebbero anche
curare il formarsi di un modello standard di Business Plan, come è accaduto con
il bilancio d’esercizio.
Il legislatore dovrebbe considerare il
Business Plan lo strumento base per governare le crisi aziendali. Soprattutto
oggi che la nuova disciplina dei fallimenti prevede anche procedure di allerta
e mediazione.
Il sindacato dovrebbe richiedere alto e
forte che l’impresa presenti ogni anno un Business Plan completo. Gli attuali
Piani industriali sono solo indicazioni di cosa si vuole fare, ma non vi è
nessuna valutazione strategica (con la profondità che le attuali conoscenze e
metodologie di strategia d’impresa permetterebbero) dell’effetto di quelle
azioni.
Il sistema dei media dovrebbe anch’esso
utilizzare le conoscenze e metodologie di strategia d’impresa per leggere e
commentare i fatti economici.
Anche Consulenti, Advisor, Avvocati e
Commercialisti dovrebbero disporre delle più avanzate conoscenze e
metodologie di strategia d’impresa per proporli ai Clienti. Così dovrebbe
essere anche per funzionari ed esperti della diverse Associazioni Datoriali.
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