"Se gli uomini non nutrono un ideale in un mondo migliore perdono qualcosa.
L'umanità non potrebbe funzionare senza le grandi speranze, le passioni assolute."
Eric J. Hobsbawm

lunedì 21 marzo 2016

Perchè le imprese hanno sempre e solo ragione (o sempre e solo torto)?

di
Luciano Martinoli


Prendiamo ad esempio il caso del rapporto con la scuola. Sul sole24ore di oggi sono riportati i dati di una ricerca, commentata da due articoli, sul fenomeno del mismatch e overeducation che affligge il nostro sistema formativo superiore e universitario. In sostanza i lavori offerti, e accettati, dai nostri giovani diplomati e laureati richiedono competenze inferiori a quelle maturate o si fanno lavori che non richiedono le conoscenze acquisite durante gli studi.
Si indicano come cause la solita recessione, che ha colpito duramente dal 2007, le università, che dovrebbero “parametrare corsi sulla domanda più che sull’offerta”, e la distanza tra scuola e imprese. Quindi alle imprese non si addebita nulla.
Propongo una lettura diametralmente opposta.

Come non ci stanchiamo mai di ripetere da queste pagine, la cosidetta recessione non è la causa ma l’effetto dello stato in cui si trova la nostra economia. La causa profonda è l’invecchiamento del nostro sistema produttivo (ciò che produciamo che non interessa più a nessuno, come lo produciamo che è sempre più costoso, pericoloso e insostenibile, ecc.) e un sistema “vecchio” come fa ad aver bisogno di competenze “nuove”? Allora è il sistema delle imprese che deve innovarsi attraverso l’acquisizione, in termini generali, di nuove conoscenze che è l’unico modo per attivare innovazione.

Se accogliamo questo punto di vista è ovvia la confutazione del secondo punto: le università. Certamente possono migliorare, ma appiattire l’offerta formativa sullo stato pietoso del sistema produttivo, le cui performance penose sono evidenti da tutti i punti di vista: da interi settori che annichiliscono e licenziano alle sofferenze bancarie stratosferiche che provengono da quasi tutti i comparti economici, sarebbe un suicidio. Inoltre la bontà dell’offerta formativa, ripeto: sempre migliorabile, la si vede proprio nel successo dei nostri laureati all’estero dove trovano un sistema economico meno arretrato che richiede, e premia, le loro competenze.

E’ facile, a questo punto, commentare la terza causa: la distanza tra imprese e scuola. Certo che c’è, ma perché è l’impresa che è “distante”, essendo rimasta indietro di qualche decennio ad un mondo che non c’è più. La politica può fare certamente qualcosa, come il mondo della finanza, ma non gioverà di certo l’irrorazione a pioggia di denaro a qualsiasi impresa “purchè respiri” (e faccia e mantenga un po’ di occupazione). Si dovrebbero premiare, finanziandoli (ma soprattutto sapendoli valutare), progetti di trasformazione d’impresa innovativi in modo radicale rappresentati in Business Plan tecnicamente all'avanguardia), che utilizzino e richiedano le migliori conoscenze in tutti i campi. 
Purtroppo così non è, ma nessuno osa vedere il problema come lo abbiamo posto e, colpevolmente, l’azienda continua ad essere oggetto di due atteggiamenti diametralmente opposti: dal demonizzarla, quando le cose vanno male, a prendere per buono, e dargli ragione, qualsiasi cosa faccia, o non faccia, rispetto ad altri "sistemi" (educativo, finanziario, politico, ecc.).

A quando un sereno dibattito su questo soggetto economico, e sociale che è l'azienda, che sia rispettoso dei ruoli ma anche costruttivamente critico?
Perché non iniziare proprio da una rapporto equalitario scuola- impresa?

Nessun commento:

Posta un commento