"Se gli uomini non nutrono un ideale in un mondo migliore perdono qualcosa.
L'umanità non potrebbe funzionare senza le grandi speranze, le passioni assolute."
Eric J. Hobsbawm

martedì 27 agosto 2019

Cosa vuol dire "prima gli azionisti"?

di
Luciano Martinoli
luciano.martinoli@gmail.com


Certamente non sarà sfuggita la notizia, riportata anche dai giornali italiani, riguardante la dichiarazione congiunta di quasi 200 grandi aziende americane sulla loro volontà di porre maggiore attenzione ai clienti, dipendenti, fornitori e le comunità in cui operano rispetto alla priorità assoluta, finora perseguita, degli interessi degli azionisti. E' stata salutata come l'inizio di una nuova era, ma sarà davvero la fine della "dittatura del profitto" che tanti danni ha generato nell'economia e nella società non solo americana ma mondiale?

mercoledì 14 agosto 2019

In risposta a "Is the era of management over?" (2)

di
Luciano Martinoli
luciano.martinoli@gmail.com


Do seguito ai commenti sull'articolo Is the management Era Over? che ho iniziato nel precedente post. Tengo a precisare, come già fatto in precedenza, che il mio vuole essere un contributo al miglioramento, con critiche costruttive, delle attuali prassi manageriali e organizzative e non una difesa dello status quo. Purtroppo in questo, come in altri casi, si inneggia a pericolose ed ingenue semplificazioni che non tengono conto nè della realtà dei fatti nè della complessità delle situazioni quotidiane.

From "Controlling" to "Empowering"
In un mondo del lavoro sempre più complesso, la possibilità di "controllo" da parte di chicchessia è tramontata da tempo. Procedure o direttive, laddove ancora presenti, sono sempre più "sottili", limitate ad indicazioni generiche in quanto l'esplosione della pluralità delle attività rende impossibile già la loro enumerazione figuriamoci la loro disciplina. Il controllo dunque si limita alla definizione degli obiettivi e alla verifica del loro raggiungimento ma più come "scusa" per indicare una direzione di movimento che per altro. Inoltre di fianco, o meglio dietro, alla organizzazione formale esiste, come è noto sia nell'accademia che nella pratica quotidiana, una informale, importantissima perchè  sostiene la continuità aziendale. Questa infatti non solo non è controllata, altrimenti sarebbe formalizzata, ma consente di rafforzare (empowering) chiunque voglia dare il suo contributo in questo ambito. L'importanza di questa dimensione informale è dimostrata dal comportamento di coloro che volendo rallentare, se non addirittura bloccare, l'attività aziendale si limitano a fare esclusivamente ciò che "le procedure" prescrivono. Dunque oggi in qualsiasi azienda, tranne poche arretrate e sull'orlo del fallimento,  più che auspicare uno shift dal controlling all'empowering è da invocare il suo giusto mix a partire dal suo riconoscimento certamente già presente.

From "Planning" to "Experimentation"
Certamente uno spazio di "sperimentazione" delle pratiche lavorative sarebbe auspicabile, ma al di là del fatto che tali sperimentazioni vengono già costantemente eseguite informalmente da chiunque abbia a cuore il miglioramento del proprio lavoro, e del suo tempo speso sul posto di lavoro, lo shift proposto soffre di una vista alquanto ingenua del processo di planning. In tutte le aziende la pianificazione, se pure viene eseguita, è fatta poco e male. E' un processo esclusivo dei piani alti o di funzioni di staff dedicati, con una quasi totale assenza del resto dell'organizzazione che pure dovrebbe fornire la materia prima da pianificare. Ignorare il corpo organizzativo dal processo significa mettere a rischio l'esecuzione dei piani, come puntualmente accade. Laddove invece la pianificazione è ad uso e consumo della comunità finanziaria, i proprietari (shareholder) e/o i creditori (bondholder) dell'azienda, essa è ormai un rito che ha l'unico scopo di 'far finta' di comunicare che sia tutto sotto controllo. Prova ne siano la scarsa qualità di tali piani, come ricerche passate citate da questo blog hanno documentato, e che nessuno sia interessato ex post di verificare o commentare il puntuale fallimento di tali piani (o viceversa a celebrarne la sua realizzazione a riprova dell'eccezzionalità dell'evento). Dunque più che uno spostamento da "pianificazione" a "sperimentazione" è da auspicare un tempo per la pianificazione che veda coinvolta tutta l'organizzazione e, in questo ambito, prevedere spazi di sperimentazione; il tutto coerentemente all'attività produttiva dell'azienda.
  
From "Privacy" to "Trasparency"
Non vi è menzione di questo concetto nell'articolo, dunque non vi è la possibilità di cosa si intendesse di preciso. In generale vi è da rilevare, laddove si intenda per privacy quella dell'azienda, per quale motivo in un momento storico dove si ergono giustamente scudi in difesa della privacy di tutte le persone fisiche, la stessa non debba essere garantita anche per quelle giuridiche, ovvero le aziende. Ovviamente queste sono tenute alla trasparenza delle informazioni rilevanti ai fini amministrativi e ancor più penali, ma l'obbligo alla totale trasparenza non vedo come possa essere giustificato. In ambito sociale è noto che la comprensione delle informazioni non è contenuta nell'informazione stessa, dunque decisa da chi emette il messaggio, ma è arbitraria interpretazione da chi riceve il messaggio. L'azienda quindi ha il pieno titolo, sotto la sua responsabilità, di appellarsi ad un diritto di privacy, verso l'esterno e l'interno dell'organizzazione, per evitare cattive interpretazioni delle informazioni, siano esse in buona o cattiva fede. Ancora una volta più che uno shift radicale invocherei un migliore mix tra le due tendenze e un approccio coraggioso verso la trasparenza ispirato da una maggiore onestà intellettuale verso tutti gli stakeholder, sia interno che esterni.

In conclusione ritengo che se da un lato provocazioni di questo tipo sono utili ad aprire un dibattito sui temi caldi dl management e della gestione organizzativa, dall'altro per la loro ingenuità non offrono nessun serio spunto di ulteriore approfondimento e si limitano a commenti pro e contro al pari di un gossip scandalistico. Come spesso accade anche in altri ambiti di attività umane, senza una teoria alle spalle che motivi delle proposte, si vaga di moda in moda, senza nessuna ulteriore motivazione, qualora le si volesse abbracciare, se non quella di "così fan tutti". 
Si potrebbe obiettare che "le aziende di successo fanno così". Rispondo che le aziende di successo "dicono" di fare così, in realtà si comportano al loro interno peggio di quelle che hanno pratiche "desuete". Nel post precedente facevo riferimento alla cultura di Netflix, qui vi invito a leggere di Facebook ed Apple.

domenica 11 agosto 2019

In risposta a "Is the era of management over?" (1)

di
Luciano Martinoli
luciano.martinoli@gmail.com


Da tempo, e con sempre maggior frequenza, compaiono da varie fonti proposte di radicali cambiamenti nelle organizzazioni aziendali e critiche, se non veri e propri attacchi, agli attuali assetti e pratiche di gestione. Premetto che sono d'accordo con la volontà di mettere in discussione sempre e comunque lo status quo, di qualsiasi cosa si stia parlando, in quanto è l'unica modalità per consentire miglioramenti. Nel caso specifico però ritengo che le numerose critiche si limitino agli aspetti superficiali e confondino i mezzi con i fini laddove questi sembrano essere totalmente sconosciuti. Un recente documento apparso sul sito del World Economic Forum dal titolo Is the management Era Over? rappresenta una buona sintesi di queste critiche, soprattutto la figura qui sopra riportata. Questo mio post vuole essere il primo di una serie di risposte col modesto tentativo di dare un contributo nel fare chiarezza sull'argomento.

martedì 16 luglio 2019

A che servono i "dati"?

di
Luciano Martinoli
luciano.martinoli@gmail.com



Il grande fisico e cibernetico Heinz von Foerster sosteneva che: “Possiamo prendere una decisione solo sulle questioni indecidibili. Su tutte le questioni decidibili è già stata data una risposta. Ad esempio, alla domanda, 2 per 2 fa 4 o 5?, può essere data una sola risposta perché sono state accettate le regole della matematica”. C’è libertà di scelta quando si può rispondere ad una questione per principio indecidibile. In tutti gli altri casi parliamo di semplice calcolo. Infatti in una reale situazione di decisione le alternative date sono tutte ugualmente valide: non ci sono alternative migliori o peggiori, altrimenti non sarebbero reali 'alternative'.  Se tali alternative fossero di valore differente (nel qual caso, di nuovo, non sarebbero davvero alternative) non ci sarebbe alcuna necessità di decidere tra di loro in quanto la decisione sarebbe già stata presa. Dunque al cuore di ogni decisione vi è un paradosso: l'indecidibilità.
Ma allora a che servono i dati, di cui oggi tutti i manager sembrano essere affamati (o vogliono convincerli ad esserlo)?

giovedì 11 luglio 2019

Che fine ha fatto lo "shareholder value"?

di
Luciano Martinoli
luciano.martinoli@gmail.com


Gli inizi degli anni '80 del secolo scorso coincidono con la nascita di un nuovo modo di considerare lo scopo delle grandi aziende: la massimizzazione dello shareholder value, ovvero del ritorno per gli azionisti. Aver dato priorità alla proprietà dell'azienda, rispetto agli altri stakeholder, ha allineato tutte le sue attività, e sopratutto le attenzioni del management, principalmente a questo scopo subordinando tutte le altre ad esso. Ovviamente anche la struttura degli stipendi dei manager è stata pensata per incentivarli a raggiungere tale obiettivo. Se vogliamo si è trattato della più estrema definizione del soggetto aziendale come entità con scopo utilitaristico. Da tempo ci si interroga, e si critica anche, questo modo di vedere le aziende, sopratutto quelle grandi e quotate in borsa, ma la narrazione corrisponde davvero alla realtà? Oppure la complessità aziendale ha sbriciolato anche questo tentativo di 'linearizzare' la definizione e le operazioni dell'impresa?

martedì 11 giugno 2019

L'organizzazione aziendale non è fatta di persone!

di
Luciano Martinoli
luciano.martinoli@gmail.com


Il titolo non è una provocazione gratuita ma la proposta, molto costruttiva e feconda, di un diverso punto di vista. Partiamo dalle basi: cosa è un sistema?
La definizione più generale è la seguente: un insieme di parti, costituenti un'unità, che interagiscono per qualche scopo. Dunque partiamo dalle "parti" che costituiscono "l'unità" del sistema. Proviamo adesso a cambiare prospettiva.

venerdì 7 giugno 2019

Elogio dell'incertezza

di
Luciano Martinoli
luciano.martinoli@gmail.com


La paura dell'incertezza emerge periodicamente sulla stampa nazionale in occasione dell'innalzamento dello spread dei titoli di Stato. Ciò comporta un aumento degli interessi che dobbiamo pagare agli investitori ma, paradossalmente, la stampa nostrana presenta il fenomeno come paura, da parte loro, dell'incertezza. Perchè dovrebbero avere paura se poi guadagnano di più?

domenica 2 giugno 2019

Ma la politica economica serve davvero all'economia?

di
Luciano Martinoli
luciano.martinoli@gmail.com


Partiamo dai fatti e oggi il fatto più rilevante e recente che possiamo analizzare sull'argomento, anche perchè iniziano ad esser noti gli effetti, è la politica dei tagli alle tasse voluti da Trump. 
Uno studio del Congressional Research Service, agenzia non partisan che lavora per il Congresso degli Stati Uniti, ha reso noto i risultati dei tagli del 2017 sull'economia americana del 2018.

giovedì 16 maggio 2019

La vita è un cammino...

(...e quella dell'azienda pure. Una considerazione sistemica)
di
Luciano Martinoli
luciano.martinoli@gmail.com


Nell'ambito della teoria dei sistemi, e più in particolare di quelli autopoietici, uno dei concetti più sfuggenti, anche se evidenti, è quello della necessità di continuità delle operazioni del sistema affinche questo rimanga tale. In genere associamo la parola "sistema" alle macchine fatte da noi, che per questo vengono chiamati sistemi eteropoietici. In essi la necessità delle operazioni continue non esiste in quanto queste possono essere interrote e riprese in qualsiasi momento. Un computer o un automobile sono certamente sistemi ma lo sono senza dubbio quando "funzionano", sono accessi, i loro processi "girano" e assolvono i compiti per i quali sono stati costruiti. Anche se da spenti non svolgono tali compiti, nessuno li considererebbe per questo solo un ammasso di ferraglia o di elettronica.

venerdì 29 marzo 2019

Riacquisto azioni proprie: la fine del capitalismo industriale?

di
Luciano Martinoli
luciano.martinoli@gmail.com


C'era una volta un'azienda che andava bene e come lei ve ne erano tante altre. I risultati erano così positivi che produceva tanta di quella cassa che poteva fare investimenti senza indebitarsi. Questi erano motivati da una chiara visione del mercato e come risultato contribuivano a far andare ancora meglio l'azienda, permetterle di fare ulteriori investimenti e così via.
Quanto avrebbe potuto durare questo ciclo positivo? Cosa sarebbe accaduto alla fine?

martedì 12 marzo 2019

Amazon fallirà così come è sicuro che Bezos morirà

di
Luciano Martinoli
luciano.martinoli@gmail.com


Continua a fare scalpore un'affermazione che il fondatore di Amazon fece qualche mese fa a proposito del futuro della sua azienda. Ovviamente il titolo di questo post non vuole essere di cattivo auspicio per Bezos ma semplicemente evidenziare la banalità dell'affermazione con una similitudine scontata: tutto, prima o poi, finisce.

E' lo stesso Bezos che, nella conferenza dove ha pronunciato la fatidica battuta, ne specifica il senso. Più in generale però è da plaudire il coraggio dell'affermazione nel ricordare la caducità delle attività umane e l'impegno necessario a mantenerle in vita. 
Ma quale è la causa profonda della fine di un'azienda?

giovedì 28 febbraio 2019

Leadership e organizzazione come l'acqua per il pesce

di
Luciano Martinoli
luciano.martinoli@gmail.com



In varie discipline si sta affermando l’utilizzo della metafora sistemica come strumento cognitivo. Da tempo sono noti tali contributi in biologia, grazie ai lavori di Maturana e Varela, in sociologia, Luhmann, e in numerosi altri campi.
In breve, e in maniera estremamente approssimativa, l’approccio sistemico propone di considerare l’oggetto dell’osservazione non isolato dal contesto, o peggio sezionato in tutte le sue componenti (riduzionismo), ma inserito in un contesto (ambiente) del quale bisogna considerare la natura in quanto le interazioni con esso (accoppiamento strutturale) contribuiscono a definirne l’identità e a modificarla nel tempo. 

Da qui, ad esempio, lo studio di un animale “pesce” non può ignorare l’acqua nel quale esso vive. Un pesce, inteso come essere vivente, fuori dall’acqua non è che un corpo morto; le caratteristiche del pesce e il suo metabolismo è condizionato dalla qualità dell’acqua, come ben sanno i possessori di acquari domestici, e viceversa esso stesso condiziona l’acqua. Vi sono inoltre, secondo la natura dell’animale, “ambienti” diversi nei quali un pesce può vivere: un'orata morirebbe in un lago, un luccio avrebbe stessa sorte in mare mentre un salmone ha necessità sia di acqua dolce che salata.

Il concetto di ambiente però è un concetto “mobile” ovvero se l’oggetto dell’osservazione, nel caso precedente, diventa un lago, che è ambiente se studiamo un pesce, allora l’ambiente del lago diventano tutte le componenti che, interagendo con esso, ne determinano la vita e l’evoluzione: i pesci che vi abitano, le piante che si sviluppano all’interno e nelle vicinanze, le attività umane e animali che insistono su di esso, eccetera.

Torniamo all’oggetto di questo post: l’organizzazione aziendale. Essa è fatta di persone, addirittura c’è qualcuno, Ed Bastian CEO di Delta airlines, che sostiene che siano il fine dell’azienda, e il management non ne fa parte. Può sembrare un’affermazione poco credibile ma è supportata da numerosissime evidenze. Ad esempio in un’azienda che costruisce automobili sono operai e impiegati che sono capaci di portarle fuori dalle fabbriche pronte per essere vendute, il manager non sarebbe capace nemmeno di avvitare un bullone o effettuare un acquisto di quel bullone.
Anche nel mondo dello sport, spesso preso a prestito dalla pubblicistica sui temi aziendali, il “manager” (coach, allenatore o come lo si vuole chiamare) non fa parte della squadra, non scende in campo, non indossa scarpette, maglia o altra attrezzatura. E’ a bordo campo e, come ricorda un post di Pollini sulla pallavolo, “vede le cose dal punto di vista della squadra” ma non è in grado di schiacciare (o, se lo sapeva fare quando era giocatore, quanto meno non può farlo in partita adesso che è allenatore. Questa caratteristica è nota come chiusura operazionale).  
Dunque il management, dal punto di vista sistemico, è “ambiente” dell’organizzazione e le sue caratteristiche di leadership sono le specifiche qualità che ne determinano le interazioni con l’organizzazione aziendale.

Accogliendo questa prospettiva vi sono alcune conseguenze che possono indicare un nuovo modo di approcciare il tema e di svilupparlo. 
Tanto per cominciare non esiste “la leadership” ma ve ne sono di vari tipi, adeguati o meno secondo le caratteristiche dell’organizzazione (acqua salata, dolce, ecc.).
Non tutti i tipi di leadership vanno bene con tutte le organizzazione: l’acqua dolce ammazzerebbe un'orata. 
Le interazioni oggetto-ambiente modificano entrambi in un percorso evolutivo che ha l’unico fine di mantenere l’identità del sistema. Non esistono “cambiamenti”, come purtroppo si continua a parlarne nell’ambito aziendale (il famoso Change Management), ma “sviluppi” che vanno innescati, monitorati e tutelati ma i cui risultati sono sempre incerti e imprevedibili.

Mi fermo qui, anche se la lista potrebbe essere più lunga, ma già da queste poche considerazioni, se si accoglie la prospettiva sistemica, si possono trarre delle conclusioni,.
Tanto per cominciare non ha senso parlare di leadership in senso assoluto o che sia una necessità per le organizzazioni, visto che vi sono addirittura aziende che non ne hanno bisogno. Si sta diffondendo sempre di più infatti il fenomeno delle aziende senza capi che senz’altro hanno anche loro un ambiente ma tra le sue componenti non vi è il management e la leadership gerarchica.

L’innesto di capi in una nuova organizzazione è sempre operazione delicata, di certo non può essere un criterio esclusivo di scelta il successo che un leader ha avuto in un altro contesto. Riempire una vasca di lucci con l’acqua salata nella quale hanno proliferato le orate non è una buona idea. E’ pur vero che le interazioni soggetto-ambiente modificando col tempo entrambi, alla ricerca di un’identità, possono trovare una nuova modalità di sviluppo.

Accettando questo nuovo punto di vista allora, cosa si può fare per lo sviluppo dell’organizzazione? La risposta non è semplice, come per tutti i “sistemi” che si sviluppano da soli (autopoietici). Una prima indicazione, giusto per non scoraggiare e anzi incuriosire ulteriormente per accogliere questo punto di vista,  è la seguente: fornire strumenti per consapevolizzare ed esplicitare il proprio progetto di sviluppo.
Come farlo?
Una prima risposta al prossimo post…

mercoledì 20 febbraio 2019

Miti e ingenuità: Imprenditorialità e territorio

di
Luciano Martinoli
luciano.martinoli@intellegit.it


Spesso nelle interviste agli imprenditori, ma ancor più spesso si tratta di manager, viene evidenziato il legame che l'azienda ha col territorio e come contribuisca al suo sviluppo. Immediatamente il pensiero corre ad Olivetti, l'intervistato di turno si dichiara, o lo fa l'intervistatore, un seguace del pensiero di Adriano e ci si lascia con la bocca aperta dalla meraviglia per aver trovato un imprenditore "illuminato".

Memoria corta, e scarsa frequentazione della bibliografia sull'argomento, sono le cause di questa ingenuità che se è innocua per chi ne è oggetto crea, in modo più pericoloso, la falsa convinzione che il legame azienda-territorio sia un'eccezione e non la regola per far impresa. Forse allora più che andare a caccia di imprenditori "illuminati" sarebbe opportuno cercare e recensire quelli "spenti" che ritengono il fare azienda un fatto privato mirato unicamente al loro tornaconto.

Nel 1778, 123  anni prima della nascita di Olivetti, Ferdinando IV di Borbone decise di erigere un ospizio per i poveri della provincia di Caserta presso il quale assegnò un opificio per non tenerli in ozio. A tal scopo fece giungere sul posto delle imprese dal nord Italia. La colonia crebbe rapidamente così che si decise di costruire ulteriori edifizi per migliorarne le funzionalità tra i quali una parrocchia, degli alloggi per gli educatori e dei padiglioni per i macchinari. L'istruzione tecnica degli operai era affidata al Direttore dei Mestieri ciascuno per ogni genere. Ancora oggi alcune aziende seriche continuano la tradizione di eccellenza iniziata allora. 

Nel 1799, 101 anni prima della nascita di Olivetti, Robert Owen, avviò a New Lanark (Scozia), uno stabilimento per la filatura della lana in cui i bambini lavoravano meno e andavano a scuola e tutti i dipendenti vivevano in alloggi con acqua pulita, potevano comprare prodotti a prezzi ridotti, disponevano di una biblioteca e di uno spazio ricreativo e usufruivano di una sorta di assicurazione sociale.

Nel 1878, 23 anni prima della nascita di Olivetti, sulla riva dell'Adda, in provincia di Bergamo, nacquero la fabbrica e il villaggio di Crespi d'Adda per volontà della famiglia di industriali Crespi. L'idea era di dare a tutti i dipendenti una villetta, con orto e giardino, e di fornire tutti i servizi necessari alla vita della comunità: chiesa, scuola, ospedale, dopolavoro, teatro, bagni pubblici. (La foto è del villaggio di Crespi d'Adda).

Luisa Spagnoli, fondatrice della Perugina, nel primo dopoguerra si spese per migliorare le condizioni dei propri dipendenti, in particolare le donne. Asili nido, e spacci per consentire alle stesse, all’interno dell’azienda, di fare la spesa per la propria famiglia.

Mi fermo qui ma la lista potrebbe continuare e citare centinaia di storie simili in ogni parte del mondo. Dunque senza nulla togliere, anzi, alle capacità e la visione di Olivetti, è "normale" che un imprenditore si prenda cura delle persone e del territorio circostante in quanto costituiscono l'ambiente dal quale trae la linfa vitale che consentirà all'azienda di prosperare.
Laddove l'azienda impoverisce il contesto circostante, ci troviamo di fronte ad una anomalia che va riconosciuta ed evidenziata per tempo prima che generi i tristi disastri ai quali siamo abituati.

Prima ancora delle interviste, dovrebbero essere i "progetti di futuro" dell'azienda a svelare la loro normalità o meno. Quei progetti di "senso" che chiedono gli investitori, pochi: come Larry Fink, e che ignorano le amministrazioni, la politica e i sindacati tranne poi ricordarsene a disastro avvenuto. 

A quando dei periodici reportage su aziende con imprenditori e manager "spenti"?

giovedì 31 gennaio 2019

Scopo e Profitto: Vivere per respirare o respirare per vivere?

di
Luciano Martinoli
luciano.martinoli@gmail.com


Anche quest'anno Larry Fink, Ceo di Blackrock il più grande gestore di ricchezze al mondo, scrive ai suoi equivalenti di tutto il pianeta invitandoli ad una visione e azione di lungo termine in contrapposizione, come ormai è prassi da tempo, di breve termine. Certo lo fa per motivi di interesse del suo business, deve garantire rendimenti futuri delle risorse affidategli, ma ha compreso che la prosperità di lungo termine è intimamente legata allo "scopo" dell'azienda contestualizzato nella società in cui questa opera. Il profitto ne è una logica conseguenza non una variabile indipendente. Si respira (profitto) per vivere non si vive per respirare e se nella vita, anche di un'azienda, non c'è scopo oltre quello della mera sopravvivenza la fine è assicurata.