di
Cesare Sacerdoti
Il Sole 24 Ore del 17 febbraio 2012 sottolinea
che “nel 2012 si annunciano ampie ristrutturazioni” (pag 45), sottintendendo che ciò comporterà un effetto negativo sul
mercato del lavoro e un aumento della disoccupazione.
Perché nel linguaggio corrente
“ristrutturazione di un’azienda” significa automaticamente tagli occupazionali,
di solito accompagnata anche da una ristrutturazione del debito.
Ma è davvero così?
Se partissimo dalla considerazione che le
risorse umane sono uno degli asset principali di un’azienda (concetto condiviso
da tutti, a parole), allora tagliare posti di lavoro significa ridurre gli
asset aziendali. Ma, si obietterà, se non si tagliano i costi del personale non
si recupera competitività.
E qui riteniamo stia il problema
principale: la competitività, uno dei mostri sacri dell’economia attuale.
Ristrutturare l’impresa vuole dire
individuare un nuovo posizionamento strategico
che permetta all’azienda (o alla sua business unit) di costruire un mercato
ad alta attrattività in cui poter giocare un ruolo primario.
Significa, quindi, sviluppare un nuovo progetto imprenditoriale, che parta da una
vision quanto più ampia delle potenzialità del mercato, e dalla definizione di
una mission che specifichi il ruolo economico, sociale, politico, istituzionale e culturale che
si vuole esercitare.
E
per le risorse umane? Occorre accrescere il loro patrimonio di conoscenze ”libere”. Non finalizzate. Il patrimonio di “pensieri potenziali”. Essi non
riguarderanno solo la tecnologia (anche), ma permetteranno loro di guardare con
sguardo nuovo all’ambiente esterno ed interno alla impresa.
In
questo modo le persone (non solo risorse da usare) potranno diventare
protagoniste della redazione del nuovo progetto imprenditoriale.
Se
le persone diventano soggetti progettuali e non solo “meccanismi” esecutivi, si
riesce, contemporaneamente, ad uscire dalle secche strategiche della
competizione e dalla deriva conflittuale nella quale stanno sprofondano le
organizzazioni.
Ci
si può chiedere allora come finanziare questa ristrutturazione. Un business
plan con le caratteristiche sopra citate è molto più credibile, per una banca o
per un’istituzione finanziaria, che il classico piano di ristrutturazione che
passa attraverso una ipotesi di
riduzione di costi e un ancor più ipotetico aumento dei ricavi. A questo
scopo le banche dovrebbero dotarsi di un sistema di valutazione (o di rating)
dei business plan, che possa dare indicazioni serie sulla realizzabilità del
piano e, quindi, del rientro dei capitali eventualmente erogati.
e quindi?
RispondiElimina