di
Cesare Sacerdoti
La lettura
dell'ultimo libro di De Benedetti, ieri ripreso in tv da Fazio, mi ha colpito
per lo spirito quasi rassegnato che pervade l'intero lavoro, a partire dalla
visione apocalittica del libro La strada
di McCarthy, fino alla assenza di quello spirito propositivo rappresentato da
quella metafora delle 100.000 punture di spillo del suo precedente lavoro del
2008.
Ovviamente
non si può non condividere che, come dice De Benedetti, ”un intero paradigma
produttivo” sia “fortemente messo in discussione”, né che si debba “ puntare su
un nuovo modello produttivo”, sulla “valorizzazione dello spirito
imprenditoriale” e “sulla forza innovatrice, sul talento” dei giovani.
E non posso
che trovarmi d'accordo sulla considerazione che ”il più grande fattore di
innovazione delle nostre economie sarà sempre lo spirito creatore di un uomo o
di una donna che, con i propri sogni e la propria volontà vuole migliorare il
proprio destino”.
Ma, nel
prosieguo del libro, non trovo le indicazioni pratiche, concrete, come mi sarei
aspettato da De Benedetti.
Egli
denuncia che vede “ troppa rassegnazione, poco coraggio, poca determinazione e
capacità di mettersi in gioco” in particolare nei giovani: essi hanno bisogno
di “un obiettivo e un sogno” più personale, più coinvolgente di quello generico
e forse strumentale, in un mondo in cui le frontiere sono sempre più labili, di
“un'Europa finalmente unita e patria dell’innovazione” richiamato dall’Autore.
Inoltre
credo che non dovremmo continuare a evocare guerre di qualunque genere, nella
fattispecie la guerra sul lavoro, così come altri autori (E. Fazi) parlano di
terza guerra mondiale, o altri ancora paventino le varie guerre possibili per
l'accaparramento delle risorse naturali: temo che a furia di evocarle si rischi
di cominciare a crederci.
Io credo che se le risorse, il lavoro,
eccetera rischiano di non essere sufficienti per le generazioni a venire, si
debba pensare a come crearne di nuove, di alternative, piuttosto che accanirsi
a spartire quelle esistenti. Nella fattispecie: 3 miliardi di persone
devono contendersi 1,8 miliardi di posti di lavoro? (aspetto ripreso anche da
Fazio nella sua intervista). Facciamo in modo che si creino nuovi lavori, nuove
economie, nuovi sogni per le nuove generazioni: la mia non è una proposta
utopistica, infatti, questo è stato fatto anche nella nostra storia più
recente, non solo, come ricorda De Benedetti, ai tempi dei luddisti, avversari della
rivoluzione industriale: ci dimentichiamo quanti posti di lavoro si sono persi
per l'introduzione dell'automazione e del computer nelle aziende e nelle
istituzioni? Eppure il numero dei lavoratori anche nei paesi occidentali ha
continuato a crescere, almeno fino all'inizio della crisi del 2008; questo
perché in parallelo si è fortemente ampliata l'industria dei servizi oltre a
tutti i posti di lavoro creati dall'informatica, dalle telecomunicazioni e in
generale dalle nuove tecnologie.
E come sarà possibile colmare questi
fabbisogni di risorse, di posti di lavoro eccetera?
Io credo che questo sia possibile attraverso l'iniezione di nuova conoscenza strategico-organizzativa, che può nascere dai nuovi paradigmi di pensiero che sono ampiamente disponibili nei mondi delle scienze, dalla fisica quantistica alla matematica, dalla biologia alle scienze cognitive. Fornendo nuove risorse cognitive, possiamo permettere alle nuove generazioni di vedere il mondo con occhiali diversi da quelli con cui noi vediamo e organizziamo il nostro mondo. E allora si potranno creare nuovi posti di lavoro, nuovi “prodotti”, che necessiteranno di materie prime diverse (non necessariamente fisiche). Allora si potrà dare un nuovo sogno alle generazioni future e si scongiureranno i vari tipi di guerra.
Io credo che questo sia possibile attraverso l'iniezione di nuova conoscenza strategico-organizzativa, che può nascere dai nuovi paradigmi di pensiero che sono ampiamente disponibili nei mondi delle scienze, dalla fisica quantistica alla matematica, dalla biologia alle scienze cognitive. Fornendo nuove risorse cognitive, possiamo permettere alle nuove generazioni di vedere il mondo con occhiali diversi da quelli con cui noi vediamo e organizziamo il nostro mondo. E allora si potranno creare nuovi posti di lavoro, nuovi “prodotti”, che necessiteranno di materie prime diverse (non necessariamente fisiche). Allora si potrà dare un nuovo sogno alle generazioni future e si scongiureranno i vari tipi di guerra.
E tutto ciò
è possibile da subito; e dipende solamente da noi, da ciascuno di noi. E solo
così potremo pensare di lasciare ai nostri figli un mondo migliore di quello
che abbiamo ereditato dai nostri padri.
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