di
Luciano Martinoli
Pubblichiamo la seconda intervista a commento della lettera aperta al Dott. Valeri, da noi scritta e pubblicata sul nostro blog il 18 aprile scorso. Ovviamente, la nostra lettera non ha ricevuto risposta.
Il nostro obiettivo è quello di avviare un dibattito sul futuro del sistema bancario italiano e sul suo ruolo sociale che sembra incerto e fumoso. Diciamo a ragion venduta perché stiamo assegnando, come ogni anno, un Rating ai Business Plan delle società FTSE Mib di borsa Italiana. Come tutti sanno in questo Indice sono inserite le banche più importanti. Il risultato che stiamo ottenendo è la “scoperta” che i Business Plan di queste banche stanno diventando sempre più conservativi. Sembra che la recente norma che costringe le Banche Popolari a diventare SpA abbia vieppiù distolto le stesse Banche dalla ricerca di innovazione profonda.
Speriamo che questo nostro dibattito stimoli una nuova riflessione strategica che produce Business Plan alti e forti invece che budget, sia pur professionalmente corretti.
L’intervista di oggi è quella al Dott. Rosario Altieri, Presidente di AGCI.
Altieri
Concordo perfettamente con la vostra analisi e rimango sorpreso che quelle dichiarazioni che avete commentato vengano da un esponente di una banca tedesca che, per quanto a mia conoscenza, è abituata a valutare, oltre alle garanzie reali, la credibilità dei progetti d’impresa.
Inoltre, dalle suddette dichiarazioni, si evidenzia una visione sufficientemente discutibile, che punta a supportare chi ha meno esigenze di liquidità e non invece le opportunità di crescita che derivano dalle giuste strategie imprenditoriali.
Un’impresa, ancorché capitalizzata, è destinata ad esaurire le sue riserve se non produce utili.
E sono anche molto d’accordo sul fatto che l’andamento imprenditoriale che genera utili ha prospettive di futuro, non banali preoccupazioni di sopravvivenza.
Martinoli
Come si pone allora l’AGCI in questo contesto? Cosa auspica?
Altieri
La nostra Associazione riunisce imprese, ma anche banche (di credito cooperativo), legate strutturalmente al territorio. La peculiarità cooperativa di coniugare capitale e lavoro ci “costringe” a collegarci all’attività imprenditoriale più che al patrimonio. Abbiamo provato in prima persona ad affrontare il nocciolo dell’attività bancaria avendo anche noi una nostra banca, la Banca AGCI S.p.A. Siamo riusciti in questa sfida tenendo conto delle esigenze delle imprese e, contemporaneamente, adottando cautela sull’uso delle risorse, contenendo i rischi ed i costi di struttura.
Martinoli
Allora avete trovato la “formula” per risolvere il paradosso della patrimonializzazione?
Altieri
Non abbiamo questa presunzione, ma siamo convinti di esserci sforzati a fare bene, coscienti che operando con cautela si può certamente fare meglio.
Tuttavia, il problema centrale è un altro, quello del rapporto banca-impresa. Vi è la necessità di un linguaggio comune, come ho recentemente sottolineato in occasione di una tavola rotonda al Salone del Risparmio, che si è tenuto qualche mese fa a Milano. Tale linguaggio, espressione di una nuova cultura, dovrebbe consentire di spostare il dibattito e l’attenzione dalle esigenze patrimoniali a quelle imprenditoriali.
Martinoli
A suo giudizio come dovrebbe avvenire questo cambiamento culturale che faccia scaturire questo nuovo linguaggio?
Altieri
Le banche fanno poco uso di esperti d’impresa e, d’altro canto, le imprese sono ancora legate ad un concetto di imprenditorialità non adeguato ai nostri tempi. Ci troviamo davanti ad un sistema imprenditoriale arretrato, che non tiene conto delle innovazioni, legato al ricambio generazionale indipendentemente dalle capacità delle nuove leve, non aperto a competenze e capacità che possano venire dall’esterno attraverso il management.
Martinoli
Mi consenta di approfondire la sua risposta nelle due componenti che ha identificato, la banca e l’impresa. Che tipo di esperti secondo lei mancano in banca?
Altieri
Sono d’accordo che lo strumento principe per valutare le esigenze imprenditoriali siano i Business Plan. Ma spesso gli uffici che abbiano queste competenze non sono sufficientemente strutturati, forse per gli ingenti costi da essi richiesti per cui anche le grandi banche risultano poco attente a questi aspetti, concentrando le loro strutture solo sulle grandissime operazioni. Si sono votate all’ottimizzazione del processo di raccolta-impieghi attraverso la ricerca di garanzie in solido e reali. Viceversa, le banche più piccole che risulterebbero, poi, più sensibili alle esigenze delle piccole e medie imprese, che tra l'altro rappresentano la quasi totalità del sistema imprenditoriale italiano, hanno oggettive difficoltà a dotarsi di uffici. Il risultato che ne deriva è la presenza di ostacoli sempre meno sormontabili da parte delle piccole imprese ad accedere al mercato del credito.
Martinoli
E le deficienze delle imprese?
Altieri
Oltre alla già accennata arretratezza, abbiamo un sistema troppo polverizzato del quale ho parlato nel rispondere alla domanda precedente: tutto ciò non aiuta a costruire successo e a prevenire le difficoltà prodotte dall'evoluzione dei tempi. La competizione la vince chi previene il cambiamento, non chi lo segue quando è avvenuto ed è ormai visibile a tutti. Inoltre, vi è anche un terzo attore che non ha aiutato: la politica. È dagli anni ’70 che non esiste più in Italia una politica industriale che crei le condizioni per favorire delle scelte. L’andamento dell’economia italiana deve essere opportunamente guidato e monitorato per consentirle performance apprezzabili; essa non è soggetta ad un destino al quale non ci si può sottrarre.
Martinoli
Cosa pensa del nuovo attore che si affaccia al mercato del credito alle aziende: gli operatori non bancari del mercato dei capitali?
Altieri
Sono preoccupato, non vedo una classe imprenditoriale preparata alle nuove interlocuzioni ed ai nuovi strumenti che questi attori propongono. Si rischia di appesantire le aziende ed affossare un sistema che pure potrebbe essere positivo per il mondo delle PMI. È un’economia florida e solida che produce e distribuisce ricchezza in maniera equa. La mancanza di attenzione verso l’imprenditorialità ed i piani industriali fa correre il rischio di arricchire pochi, i finanzieri, e impoverire tanti, le imprese prima di altri, perché mentre prima vi era un peso equivalente tra lavoro e capitale, oggi non è più così a scapito del primo.
Martinoli
In questo scenario quali sono state le performance e le proposte del sistema cooperativistico?
Altieri
Dai dati Istat in nostro possesso fino al 2012, dunque nel periodo più acuto della crisi, il sistema cooperativo ha contribuito in misura significativa al PIL, passando dall’8% al 12%, che è in parte giustificato dal calo delle altre tipologie d’imprese oltre che dall'aumento dei valori assoluti dei fatturati. Si consideri altresì che l’incremento del valore della produzione e dell’occupazione è stato del 2%. C’è anche da dire che, per le sue caratteristiche strutturali (ovvero l’assenza della conflittualità capitale/lavoro), la Cooperazione è anticiclica. Dunque, a tal proposito, il modello cooperativo suggerisce una modalità di sviluppo più solida: la socializzazione dei vantaggi, e non solo delle perdite, come avvenuto finora con i salvataggi delle banche.
Martinoli
Dunque maggiore “responsabilità sociale”?
Altieri
Mi fa sorridere questo termine perché troppo spesso è riferito a banalità, come se non fare falsi in bilancio o non ingannare fosse da considerare una virtù e non soltanto un dovere compiuto. Queste sono caratteristiche che dovrebbero appartenere a qualsiasi impresa, non eccellenze da documentare o ricercare. L’azienda, per definizione, ha una “responsabilità sociale”, in difetto della quale non produce quegli utili, abbondanti e stabili, di cui si parlava nel post e che sono alla base di una economia florida.
Martinoli
Allora questa responsabilità è equivalente a quelle di business e dovrebbe far parte della progettazione dell’attività d’impresa, descritta nei Business Plan, al pari delle altre attività?
Altieri
Esattamente, il “progetto d’impresa” deve contenere tutte le dimensioni. Solo così le previsioni economiche e finanziarie potranno essere credibili e sostenibili.
Martinoli
Vi sono degli ambiti dove il modello cooperativo può generare delle profonde innovazioni sociali, e non essere semplicemente un “altro modo” di fare impresa?
Altieri
Sì. Sono profondamente convinto che, nel campo dei servizi pubblici di qualsiasi tipo, oggi deficitari sotto tutti i punti di vista, vi sia la possibilità, grazie alla cooperazione di “comunità”, addirittura di sostituire intere municipalizzate che si occupano di trasporti, rifiuti, servizi sociali, servizi finanziari, ecc. con grande beneficio di efficienza ed efficacia per tutti.
Ci si permetta di proporre anche un nostro commento conclusivo. Crediamo che oggi alle banche ed alle imprese manchino le risorse cognitive necessarie per affrontare il tema dei loro rapporti reciproci in un ottica di sviluppo.
I 350 miliardi a cui sono giunte le sofferenze non sono il portato inevitabile della crisi. Sono il frutto di incapacità valutativa (della banche) e progettuale (delle imprese). Si supera questo problema non mandando a casa i vecchi banchieri e imprenditori da parte di ambiziosi ignoranti. Ma fornendo alle vecchie e nuove generazioni di banchieri ed imprenditori nuove risorse cognitive che permettano alla imprese di disegnare Progetti di Sviluppo (Business Plan) alti e forti. Ed alle banche di saper valutare se e quanto questi Business Plan siano alti e forti. Le nuove risorse cognitive che servono sono le conoscenze e le metodologie di strategia d’impresa che oggi sono pressoché sconosciute.
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