"Se gli uomini non nutrono un ideale in un mondo migliore perdono qualcosa.
L'umanità non potrebbe funzionare senza le grandi speranze, le passioni assolute."
Eric J. Hobsbawm

lunedì 4 luglio 2016

A quando un cambio di prospettiva sulla crisi?

di
Luciano Martinoli



Pare che Einstein, al quale si attribuiscono più citazioni che lavori di ricerca scientifica, affermasse che " se si continuano a fare le stesse cose non ci si possono aspettare risultati diversi". Giustissima considerazione che dovrebbe sempre ispirare le azioni di intervento in situazioni che generano risultati che non giudichiamo soddisfacenti.
Come la crisi economica che ci attanaglia dal 2008.
Luigi Zingales sul sole24ore parla della necessità di "rimettere le banche in grado di effettuare prestiti", facendo capire che il problema principale è fare arrivare denaro all'economia reale, imprese e famiglie; sopratutto le imprese. Egli sostiene che se i soldi arrivano alle imprese tutto si risolve; affrontare questo problema è più importante del resto (riforme sul lavoro, fisco, ecc.).
Il ragionamento presuppone, evidentemente, che le imprese sappiano fare buon uso di questi denari ovvero che siano in grado di produrre (più precisamente: tornare a produrre) abbondante "cassa" ovvero ricchezza. Grazie alla cassa infatti saranno capaci di fare investimenti, ripagare il servizio del debito e restituire il capitale, pagare sempre più abbondanti e numerosi stipendi, pagare le tasse per sostenere i servizi dello Stato, insomma far ripartire l'economia.
Ma se le imprese non sono in grado di produrre questa cassa è il caso dargli soldi? In difetto non sarebbe meglio valutarli e stimolarli in tal senso? Gli economisti non si pongono questo problema, è fuori dei loro ambiti di interesse. Scelta rispettabile e condivisibile se non fosse per il fatto che quando ci si rivolge a loro, per avere consigli su come uscire dalla crisi, non specifichino questa auto-limitazione e si lancino a fornire ricette e consigli che ripropongono la situazione descritta da Einstein.

Forse pensano che sono le banche che potrebbero ( o dovrebbero) avere queste conoscenze e capacità (dare i soldi a chi lo "merita"). Purtroppo considerando lo stock di NPL accumulato negli anni parrebbe proprio di no. Non solo, non sembrano nemmeno in grado di evitare che si formino in futuro. Infatti nessuna banca ad oggi ha presentato un progetto strategico (contenuto nel loro Business Plan) nel quale evidenzia una capacità innovativa di supporto al credito d'impresa applicata, in primis e a dimostrazione della sua bontà, agli NPL. Leggendo i loro Business Plan le loro tre principali, se non uniche, priorità, sembrano essere il taglio costi declinato in riduzione sportelli, dipendenti e cessione NPL, correndo il rischio in questo ultimo caso di gettare il bambino con l'acqua sporca. 
E neppure i regolatori, in prima fila la BCE, vede nel "modo di fare credito" la chiave di volta per rilanciare non i prestiti ma tutta l'economia. Infatti la preoccupazione principale è dare copertura ai "buchi", non capire come i buchi sono stati creati e come evitare che si ricreino, col rischio che tappare i buchi abbia come unico scopo quello di consentire di produrne altri.
Forse anche nelle banche vi sono troppi economisti?

Dunque delle due l'una: o si inaugura un cambio di prospettiva sulla crisi e l'economia, e gli economisti (e i banchieri con loro), accettano di allargare le loro competenze e "sporcarsi le mani" con discipline, la Strategia d'Impresa, che forniscano strumenti per capire e stimolare i comportamenti virtuosi delle imprese (la produzione di cassa), o l'economia, che continua a sostenere semplicisticamente che basta il credito per farla ripartire, non serve per affrontare e risolvere i problemi nei quali ci stiamo dibattendo.

In difetto ha ragione Einstein: se si continuiamo a fare le stesse cose (dare soldi a imprese che non sappiamo se produrranno cassa) come ci si possiamo aspettare risultati diversi (la fine della crisi dal 2008)?

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