di
Luciano Martinoli
L’economia è un sistema sociale. Il suo ambiente è costituito da tutti gli altri sistemi sociali quali la politica, i mass media, il sistema giuridico. Tra questi spicca, per importanza, quello finanziario il quale, storicamente, può essere considerato come nato da una sua costola.
Dal punto di vista ecologico, ovvero del rapporto di un sistema con il suo ambiente, l’economia sembra soffrire da un po’ di tempo di un accoppiamento strutturale “debole” con la finanza, che dovrebbe invece fornire le risorse aggiuntive per il suo sviluppo. Prova ne sia lo sforzo eccezionale, senza risultato, perpetuato da tempo dalle banche centrali di tutto il mondo (che sono istituzioni finanziarie) allo scopo di rianimare lo sviluppo asfittico dell’economia con immissioni di liquidità sul mercato.
Tale massa monetaria, i cui destinatari primari sono stati banche e operatori del settore, arriva solo in minima parte alla economia reale e fluisce invece, sempre di più, alla finanza stessa che crea luoghi virtuali di investimento, come quello dei mutui subprime americani di alcuni anni fa, col rischio di pericolose ulteriori bolle.
Le motivazioni per tali comportamenti, da parte della finanza, risiedono nella scarsa dinamicità dell’economia laddove questa lamenta la mancanza di finanza per riprendere lo sviluppo. Un circolo vizioso che non si capisce dove spezzare, un paradosso che dimostra l'inefficacia di interventi direttivi in circostanze la cui complessità richiede interventi ben più sofisticati.
Propongo, per affrontare il problema, una prospettiva da un punto di vista diverso, una vista "sistemica" della questione. Consentitemi quindi una piccola digressione. Una forma di accoppiamento strutturale tra due sistemi è la creazione di un “circolo cibernetico” tra di loro, ovvero una modalità di governo reciproco retroattiva. Per illustrarlo utilizzerò la seguente metafora. Considerate un appartamento dotato di un impianto di riscaldamento. La temperatura della casa è certamente una caratteristica dell’ “ambiente” di questo appartamento. Un termostato serve a mettere in connessione l’impianto di riscaldamento con la temperatura. Infatti, grazie ad esso, l’impianto è in grado di condizionare la temperatura, ma è possibile anche affermare il contrario, ovvero che la temperatura condiziona il funzionamento dell’impianto attraverso il termostato. Dunque è stato creato un meccanismo circolare di governo (tecnicamente il circolo cibernetico prima citato) che consente di mettere in relazione stretta due caratteristiche dei sistemi, in questo caso il funzionamento dell'impianto e la temperatura, e farli “comunicare” attraverso il termostato ( se volete una versione più divertente dello stesso concetto, leggete questa barzelletta: la funzione del termostato è svolta dall’indiano che va dal capo tribù allo sciamano e viceversa).
Se accettiamo questa prospettiva il problema del mancato collegamento tra economia e finanza, allora, non è un problema di liquidità, né di investimenti, ma di mancanza di “termostato” tra i due sistemi. Esso dovrebbe essere costituito da due componenti che mettono in collegamento le caratteristiche più importanti, e desiderate, da entrambi: la qualità del sottostante aziendale e la possibilità di comprenderlo e stimolarne un miglioramento. Questi componenti del termostato sono il Business Plan, dal lato delle aziende, il Rating dei Business Plan, dal lato della finanza. Infatti i primi servirebbero a presentare le occasioni di investimento in sviluppo aziendali per la finanza, il secondo consentirebbe di valutare tali occasioni ma in più, a differenza di altri strumenti valutativi oggi disponibili, di dare indicazioni, nei casi insoddisfacenti, di come migliorare i progetti. E’ l’accoppiata Business Plan/Rating dei Business Plan che consente il “circolo cibernetico”, e lo consente tanto meglio quanto più è sofisticato questo termostato. Altri strumenti non hanno questa capacità, non mettono in relazione i due sistemi, non sono termostati.
Un esempio delle conseguenze paradossali della sua mancanza (e di come tali paradossi emergano utilizzando solo interventi semplicistico-direttivi), è fornito da un recente breve articolo apparso sull’inserto del sole24ore dedicato al risparmio. In esso si ricorda lo strumento minibond, pensato per “fornire alle aziende un’alternativa di finanziamento al canale bancario tradizionale” e di come abbia parzialmente fallito “complice un andamento debole dell’economia”. Sottolineo qui l’evidente paradosso: uno strumento per fornire risorse all’aziende in crisi che non arrivano perché le aziende sono in crisi!
E’ un dilemma irrisolvibile con l’approccio input-output (faccio la legge e causo un effetto) e da qui la necessità di uno “circolare”. E' evidente allora la necessità del “termostato” la cui mancanza, e relative conseguenze in questo caso, sono ampiamente dimostrate dalle nostre passate ricerche su questo fenomeno nostrano e i cui perniciose effetti sono evidenziati nello stesso articolo con ulteriori paradossi: si ricorda come l’economia debole “sconsiglia un ricorso massiccio a strumenti di indebitamento a medio lungo termine per finanziare progetti di crescita” (ma chi non ha soldi propri come rimette in moto la propria azienda senza finanza esterna?) e che i soldi dei minibond “sono stati finalizzati all’ottimizzazione della struttura finanziaria o al rimborso di esposizioni debitorie verso il sistema bancario” facendo perdurare la situazione di crisi perché le risorse sono dirottate verso lo status quo piuttosto che verso “progetti di crescita” (che era l'effetto che il legislatore voleva generare!).
Inoltre non bisogna pensare che questa situazione paradossale colpisca solo l’economia reale delle piccole e medie imprese. Essa interessa anche le grandi aziende quotate con effetti che si manifestano nello “short-termism” (l’interesse delle aziende alla remunerazione degli azionisti al breve a discapito dei progetti di sviluppo a lungo termine, che sono di maggiore interesse degli azionisti!) e nella sensibilità degli investitori ai “rumors” ambientali invece che al sottostante dei titoli, nei quali pure investono (vedere mio post precedente).
Dunque il circolo vizioso del rapporto economia/finanza può essere spezzato, creandone uno virtuoso, solo accogliendo una prospettiva “sistemica” (e non puramente economica o finanziaria, come ci si ostina a fare oggi, con i risultati sotto gli occhi di tutti) e conseguentemente l’introduzione del termostato BP/Rating BP, la cui progettazione e qualità è l’unico strumento di autogoverno dei due sistemi in una direzione auspicabilmente virtuosa.
In assenza, come faranno le aziende italiane, ad esempio, a far capire di essere meritorie dei programmi di finanziamento recentemente annunciati dalla Cassa Depositi e Prestiti per l’Industria 4.0 o degli interventi del Fondo Italiano d’Investimento? E, viceversa, come faranno questi investitori a dare indicazioni nei casi specifici e, eventualmente, modificare i criteri di investimento per venire più vicino ad esigenze meritorie non considerate?
Purtroppo nel caso Italia ci sono altre variabili che influenzano l'ambiente e che esulano dalla tecnicità e che si possono riassumere nelle difficoltà (plurale) di fare impresa: culturale (c'è avversione al rischio e quindi intraprendere), aspettative del quadro politico incerto (giochi olimpici 2024?), burocrazia e imposizione fiscale, tecniche finanziarie poco sperimentate (project financing).
RispondiEliminaGrazie del commento. Certo che in Italia ci sono "altre variabili", ma il senso della proposta del post è proprio quello di come affrontare le variabili che influenzano l'ambiente. Gli interventi direttivi aggiustano una cosa (forse) e ne "scassano" (certamente) un'altra o più; o generano altri problemi a medio lungo. La proposta, anche per queste altre "variabili", non è quella di intervenire direttamente (nel caso dell'economia e finanza non sta funzionando) ma introdurre meccanismi autoregolatori che consentono ai sistemi di trovare una soluzione da soli.
RispondiEliminaInoltre la costatazione " se prima non si mette a posto questo non si fa nulla" è una scusa per l'inazione, per non far mai niente. Non è l'atteggiamento degli imprenditori, quelli veri. Infatti Nonostante tutti i problemi da lei citati Amazon e Apple recentemente hanno annunciato investimenti importanti in Italia, alla faccia delle difficoltà culturali, del quadro politico incerto, della burocrazia, ecc.
Concordo e aggiungo riferendomi alla "qualità aziendale" e l"a possibilità di comprenderlo". Il business plan è certamente lo strumento per farsi comprendere; quanti soggetti di piccole e medie dimensioni sono capaci di fare un business credibile? Quanti soggetti dall'altra parte del del banco sono capaci di leggere quanto proposto? Negli anni 80s c'è stato un boom di cui non abbiamo saputo approfittare, cioè reinvestendo; per le banche era più comodo sottoscrivere bot e btp con rendimenti elevati anziché accettare il rischio che è il loro mestiere. Anche di queste variabili poi divenute costanti dell'equazione sviluppo.
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