di
Cesare Sacerdoti
I giornali riportano la frase di Squinzi a Benevento: “Riteniamo prioritario fare le riforme nel nostro paese”.
Innanzitutto ci si chiede
prioritario rispetto a cosa? Sperando che la frase non voglia dire “noi stiamo
fermi, aspettiamo le riforme e poi ci rimettiamo in moto”, anche perché, nel
frattempo il mondo cambia e non è detto che le riforme auspicate oggi, ci
chiediamo, proprio alla luce della situazione attuale, se siano adatte al mondo
di domani.
In seconda istanza viene
spontaneo chiedersi quanto le riforme che cerchiamo di fare possano dare un
contributo sostanziale per permettere alle aziende italiane di riprendere a generare
cassa. Abbiamo detto tante volte su questo blog, quanto questo sia l’obiettivo
primario per il sostentamento delle aziende stesse e con esse per il
miglioramento delle condizioni
economiche e sociali del nostro Paese.
Io credo che l’attesa di qualche intervento risolutivo, che provenga dal di
sopra (politico e istituzionale) delle nostre aziende, suoni sempre più come un
alibi, un alibi che giustifica la ridotta capacità di generare autonomamente sviluppo
del nostro sistema di imprese.
Un esempio concreto,
semplice, ci viene da Expo 2015: lasciando stare le diatribe sul tema, sulla
location, sulle infrastrutture, sulla corruzione ecc., potremmo vedere questo
evento come un’opportunità che i nostri Governi hanno fornito a Milano, ma
anche alla Lombardia e ai territori circostanti, per generare sviluppo
duraturo, per definire nuove strategie territoriali, per far nascere nuove
imprese, nuovi centri ricerca, ecc., che diano al territorio nuove prospettive
future, approfittando della grande visibilità e del volano di interessi a breve
che Expo2015 ha generato in questi anni di preparazione, e genererà nei 7 mesi
di esposizione.
E, invece, vediamo il nulla: non si è praticamente mai parlato altro che di
infrastrutture da realizzare e di come utilizzarle dopo la fine dell’evento.
Non si è discusso di
contenuti. Non si è definito un nuovo posizionamento strategico di Milano. Non
si sono attirati investimenti. Non sono nati nuovi poli industriali nei temi
che l’esposizione tratta direttamente (cibo e energia) o indirettamente
(rapporti nord-sud del mondo, smart city tanto per fare degli esempi). Non sono
nate nuove facoltà universitarie o nuovi centri di ricerca.
Ma, al momento, non si vede neanche una
capacità delle nostre imprese e delle istituzioni di sfruttare l’occasione per
promuovere i propri prodotti, i territori.
Ci è stato detto che Expo2015
impatterà su un’area di almeno 300 km di diametro (cioè da Torino a Vicenza, da
Como a Bologna), eppure al di fuori del centro di Milano la parola Expo è
sconosciuta: non si vedono pro loco che attirino turismo, né associazioni di
produttori dei vari cibi o bevande che promuovano eventi per farsi conoscere.
Eccetera.
Allora la domanda che viene
spontanea è: la colpa è davvero di chi ci governa? È del Presidente del
Consiglio che non ci dà i fondi? O della Regione? O del Sindaco?
E perché non delle
associazioni industriali o commerciali? E giù fino alle associazioni di categoria o alle associazioni territoriali?
E, poiché esse sono formate da Imprese, da Enti, da Istituzioni locali, allora,
forse, tutti noi abbiamo la responsabilità di non cogliere l’opportunità che ci
è stata fornita.
Tornando quindi alla frase di
Squinzi, ci viene spontaneo chiederci se allora la “priorità” non debba essere
quella di ridare alle imprese la capacità di generare sviluppo. E questa non dipende dal Governo o dalle
sue strutture: là fuori c’è un mondo da creare e lo creeremo tutti insieme, se vogliamo, se ci crediamo.
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