di
Francesco Zanotti
Un bell'articolo di fondo di Marco Onado sul
Sole 24 Ore di oggi descrive con equilibrio pregi e difetti del decreto che
impone il cambiamento della logica del voto capitario nelle grandi Popolari.
Dice che certamente il decreto aiuta il superamento
di tutte le strumentalizzazioni del voto capitario. Ma propone una serie documentata
di dubbi che vale la pena di leggere direttamente sul giornale proprio per
apprezzarne la significatività.
In questo post vorrei rincarare la dose ed
avanzare altri due “dubbi strategici” che giustificano appieno il titolo di questo post.
Nella terza pagina dello stesso giornale Luca
Davi evidenzia la conseguenza di questo decreto: ora partono le aggregazioni.
Ecco le aggregazioni, appunto. Già nell'articolo
di Onado vi sono dubbi sui benefici che possono produrre i processi
aggregativi. Forse qualcuno ricorderà
che alla fine del secolo scorso le dieci Banche Centrali più significative
commissionarono un rapporto, il Rapporto Fergusson, dove si dichiarava, già
allora ed apertamente, che non vi era alcuna evidenza empirica dei vantaggio
dei processi di aggregazione. Mentre erano evidenti i rischi del “too big too fail”.
Condivido queste riserve, ma sostengo che oggi sono
più rilevanti i rischi che non sono stati evidenziati e che definisco, appunto, “strategici”.
Quali sono?
I
rischi sono che il management si concentrerà in operazioni societarie e si
dimenticherà della improrogabile esigenza di una rilevante innovazione
strategia ed organizzativa.
Innovazione
strategica. E’ indispensabile riprogettare il ruolo della
banca nello sviluppo dell’economia. La banca non può più limitarsi a fornire
denaro e servizi che riguardano il denaro. Non può limitarsi a decidere se una
impresa è buona o no.
La banca deve stimolare e saper valutare la
progettualità imprenditoriale. Per fare questo deve acquisire conoscenze e
metodologie di cui non dispone: le conoscenze e le metodologie di strategia d’impresa.
Così facendo potrà, da un lato, avviare una nuova area di business (la consulenza
strategico-imprenditoriale) e, dall'altro, potrà consolidare il suo stato
patrimoniale aumentando la qualità del credito.
Detto diversamente: non ha più senso parlare di
imprese buone (a cui prestare i soldi) e imprese “cattive” (a cui non darli). Le imprese attuali (tutte) devono cambiare
radicalmente la loro identità strategica. Devono avere progetti su come fare
questa rivoluzione. Allora il ruolo della banca non può che essere quello di
fornire alle imprese le risorse cognitive per attuare questa rivoluzione.
In sintesi, il ruolo della banca non può che essere
quello di far diventare buone le imprese nel futuro.
Evidenziata questa esigenza, ecco pensate a come
reagisce il top management se gli si proponete di riflettere su questi temi. Vi
dirà: sì, interessante (perché i top manager delle banche sono persone
squisite), ma ora sono in altre faccende affaccendato. I processi di
aggregazione appunto.
Potreste rispondere: ma che senso ha aggregare
debolezze che se non si fa qualcosa diventeranno ancora più deboli? Ma la vostra obiezione ve la fareste da soli perché
il top management è squisito sì, ma più di tanto non si lascia distrarre dalle sue
priorità …
Innovazione
organizzativa.
La banca (il management e gli azionisti) deve ricordarsi
che la strategia efficace (quella che genera il conto economico) è data dai
comportamenti delle persone, all'interno ed all'esterno.
Ora l’attuale cultura manageriale non offre né alcuna
idea, né alcuno strumento per poter governare i comportamenti delle persone. La
banca, accanto, insieme e sinergicamente ad una nuova cultura strategica, deve
acquisire anche una nuova cultura organizzativa.
Evidenziata questa esigenza, tornate dal top manager
di prima e ditegli che, mettendo insieme due organizzazioni, ne genera, ovviamente,
una terza più grande. In essa il problema di non saper governare i
comportamenti diventa, altrettanto ovviamente più grave.
Forse su questo tema non riuscite neanche a
parlarci.
Concludendo,
se le aggregazioni guidano l’agenda del top management delle banche,
attendiamoci che l’innovazione che le banche sapranno fare sarà, al massimo,
quella di cercare di trasformare la filiale in un supermercato. E le imprese
saranno lasciate sole a ... fallire. Con evidenti effetti devastanti sulle grandi
banche che nasceranno dai processi di aggregazione. A quel punto “grande banca”
significherà solo grandi costi perché gli asset (crediti alle imprese) diminuiranno
proporzionalmente a quanto le banche rifiuteranno di fornire alle imprese stesse
conoscenze strategico organizzative per avviare le rivoluzione strategiche che
permetterebbero loro di non fallire..
Se questo discorso ha valenze generali, esso è, però,
particolarmente significativo per le Banche Popolari. Esse erano le migliori
candidate ad avviare la rivoluzione strategica del sistema bancario.
Se le concentriamo sulle aggregazioni blocchiamo
completamente le speranze di rivoluzione strategica (dalla finanza alla
conoscenza) del sistema bancario.
Un bel pasticciaccio.
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