di
Francesco Zanotti
Un ulteriore dato è emerso in questi giorni
sulla stampa a confermare che siamo nei guai: le imprese dell’indice FTSE MIB
di Borsa Italiana nell'ultimo decennio hanno perso più del 50% del loro valore,
con punte di più del 90% nel caso di Montepaschi.
La prima osservazione, “di pancia” che mi nasce
spontanea è: ma vi ricordate la venerazione per molti dei manager che hanno
guidato queste imprese da parte della stampa e soprattutto di consulenti
bramosi di qualche brandello di lavoro senza mai accorgersi che qualcosa non
andava?
Non possiamo che concludere che la capacità di
giudizio di stampa e consulenti non era granché.
Ma credo che occorra andare al di là dei giudizi
sulle persone.
Il problema non è se i manager sono bravi o no.
Il problema è costituito dalle conoscenze e dalle metodologie gestionali che
hanno usato. Sono state conoscenze e metodologie gestionali “primitive”. Lo si
poteva sapere. Bastava guardare allo stato dell’arte delle conoscenze rilevanti
per parlare di ambiente socio-politico, strategie, organizzazioni e uomini per
verificare che la maggior parte e la più rilevante di queste conoscenze non
venivano usate.
Forse il caso più eclatante è quello delle
conoscenze e delle metodologie per definire e valutare strategie. Meglio: delle
conoscenze e delle metodologie che servono per elaborare e valutare i Progetti
Strategici (i così bistrattati Business Plan che sono oramai ridotti a prodotti burocratici
o frutto di ritualità). Solo una percentuale
residuale di queste conoscenze e metodologie sono state e vengono usate. Il risultato
è che la qualità dei Business Plan (come dimostra la nostra indagine annuale
sulla qualità dei Business Plan proprio delle società dell’indice FTSE MIB,
oltre che quella dei Business Plan delle Società dell’indice Star) è scarsa. Ed è ovvio che a Progetti Strategici
banali non possano corrispondere risultati rilevanti.
Forse è giusto aggiungere che i manager non
hanno usato le conoscenze disponibili anche perché i consulenti non gliele hanno
proposte. Se guardate alle proposte, ai sistemi di offerta, delle società di
consulenza, scoprite in fretta tutte le conoscenze rilevanti che vengono
trascurate.
Ma occorre sottolineare l’“anche”. Perché in qualche
modo anche i manager dovevano accorgersi che stavano usando conoscenze e
metodologie troppo banali per la complessità delle imprese che gestivano.
Ecco, ma così siamo arrivati ancora ad un
giudizio sugli uomini, manager o consulenti che siano. No! Perché non sostengo
che la colpa sia di manager inetti. Perchè in questo caso, la soluzione sarebbe banalmente
quella di sostituirli con manager capaci.
Sostengo, invece, che non possono esistere manager
che dispongono naturalmente dei talenti per guidare grandi organizzazioni. Le capacità
per governare organizzazioni complesse non sono un dono di natura. La qualità
del management dipende dalla qualità delle conoscenze e delle metodologie che
usano. Poi, certo, vi sarà chi sarà più bravo ad usare le conoscenze di altri.
Ma chi rifiuta la conoscenza o usa conoscenze banali, chiunque sia, non può che
generare guai. E i guai sono davanti agli occhi di tutti.
Dovrebbero essere soprattutto davanti agli occhi
degli azionisti che non possono accettare supinamente il dimezzamento del
valore delle loro azioni credendo alla ideologia di una crisi che
nessuno può contrastare. Se fosse così, questo significa che le capacità
gestionali sono solo marginalmente rilevanti. E’ l’ambiente che determina il
desiderio delle imprese. Se l’ambiente è benigno, allora, le aziende vanno
bene, se è maligno le imprese vanno male.
Si dovrebbero ribellare a questa ideologia
facendo ai manager che pagano due domande.
La prima: ma come è che, invece, ci sono le imprese che vanno bene?
La seconda. Ma se non hai spazio di azione e tutto dipende dal mondo esterno, perché ti pago così tanto?
La prima: ma come è che, invece, ci sono le imprese che vanno bene?
La seconda. Ma se non hai spazio di azione e tutto dipende dal mondo esterno, perché ti pago così tanto?
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