di
Cesare Sacerdoti
e Francesco Zanotti
In
un articolo scritto per Micromega (“tentativo di fare il punto sulla situazione
del sistema bancario italiano”), Marco Vitale ripercorre quelle che identifica
come le principali cause delle attuali criticità, sottolineando la necessità di
alzare gli occhi dalle
singole crisi bancarie e tentare di ricostruire una visione d’insieme.
Aggiungiamo un nostro contributo.
La sintesi delle opinioni del
Prof. Vitale
Le prime due cause che Vitale identifica, la
trasformazione da banca intermediaria a soggetto investitore in proprio e il
gigantismo bancario, non sono originate in Italia, ma il sistema bancario
italiano ha la responsabilità di essersi adeguato in maniera passiva in una
sorta di resa incondizionata e servile.
In particolare per la corsa alla crescita in dimensioni, Vitale ricorda come
fossero già forti i segnali e i richiami alla pericolosità di un sistema too
big to fail ma anche too big per essere governato e alla illusorietà degli
effetti dell’economia di scala sulle banche. E qui Vitale non esita a
sottolineare le responsabilità di una permissività eccessiva e acritica di
Banca d’Italia, che, peraltro, ha continuato la deleteria prassi di stimolare e, in
qualche caso, imporre delle fusioni come risposta impropria alle crisi
bancarie, nel tentativo di manipolare e nascondere la crisi invece di
affrontarla a viso aperto e con gli strumenti propri e tradizionali che hanno
sempre portato a buoni risultati.
Ma la crisi attuale, secondo Vitale, deriva anche dal
pensiero dominante che vede nella patrimonializzazione la priorità delle banche
(Vitale punta il dito contro l’affermazione di Salvatore Rossi: La stella polare è la forza
patrimoniale delle banche che si oppone in maniera
drammatica alle convinzioni dei grandi banchieri del secondo dopoguerra per i
quali la stella polare del fare buona
banca non sta nel livello del capitale ma nella fiducia di cui gode la banca,
nella onestà degli amministratori, e in rapporti equilibrati tra le varie forme
di attività e passività. Vitale, sconsolato, rileva
che non esiste capitale sufficientemente
alto per evitare gli effetti della “mala gestio”). E anche qui Banca
d’Italia, non solo non si è opposta a tale visione, ma ci si è adeguata, anzi,
se ne è fatta semplice portavoce, con
la pretesa di cercare di applicare
acriticamente da noi impostazioni, approcci e livelli patrimoniali, dettati da
paesi da noi molto diversi, in funzione dei loro interessi specifici.
E questo in forte contrasto con le
caratteristiche tipiche del nostro Paese, con la nostra economia di piccole e
medie imprese, con un ordinamento che
stimola le medie imprese a non crescere, con un mercato dei capitali asfittico,
con una classe imprenditoriale brava a fare ma non a governare, con un
familismo impressionante, con una dipendenza dall’intermediazione bancaria
esagerata, con delle condizioni del credito bancario che presentano livelli di
diversità inaccettabili a seconda delle dimensioni delle imprese, con un
livello di occupazione molto basso, con differenze territoriali drammatiche.
Vitale infatti sottolinea che Se ci mettiamo sulla strada delle grandi
dimensioni e del grande capitale siamo, per definizione, perdenti. Noi dobbiamo
concentrarci sulle cose che sappiamo fare e sulle dimensioni che riusciamo a
dominare e non scimmiottare gli altri, o farci imporre da altri soluzioni a noi
dannose.
L’ultimo aspetto che Vitale prende in considerazione è quello che definisce
La
guerra contro le banche territoriali e il tentativo di cancellare le Banche
Popolari. E’ questa una conseguenza diretta delle cause (Vitale le
definisce malattie) sopra descritte,
ma è una malattia tutta italiana. Per Vitale, e condivido il suo pensiero, le banche territoriali e il
credito cooperativo sono una fortuna per i paesi che li hanno. Sono gli unici
strumenti che possono contrastare ulteriori concentrazioni del potere
finanziario.
Ora, sia a causa della crisi economica che ha colpito il
sistema produttivo italiano, sia per le scelte compiute dal sistema bancario
nel suo complesso e dalla politica, ci troviamo di fronte al problema della
grave crescita dei crediti deteriorati la cui soluzione richiederà tempo e attenzione costruttiva A questo si
aggiunge poi il collasso di alcune banche che si sono trasformati in casi sociali di interi
territori. E questi, per Vitale, sono casi plateali di “mala gestio” e,
conseguentemente di “mala vigilanza” causata da una debolezza
politica e culturale dei vertici di Banca d’Italia.
A tutto ciò si aggiunge
l’effetto del “bail in” che in sostanza è una forma di procedura concorsuale,
ma che è stata dai nostri rappresentanti
subita e recepita con totale e silente passività, ignorando gli effetti sulle
operazioni in corso, dando al pubblico una informativa prossima allo zero, non
predisponendo strumenti per attenuarne gli effetti in sede di prima
applicazione, senza valutare gli effetti a cascata sul sistema, creando una
grave perdita nel rapporto di fiducia tra banche e risparmiatori.
L’ultimo aspetto che Vitale
prende in considerazione per i suoi effetti sul nostro sistema bancario è
l’entrata in vigore della Vigilanza europea che,
alla lunga, sarà un passaggio positivo, ma che per ora è portatrice di
complicazioni burocratiche enormi, di ritardi dannosissimi nelle operazioni di
risanamenti bancari, di manifestazioni di arroganza inaccettabili da parte dei
responsabili della Vigilanza europea, di imposizioni spesso estremamente
arbitrarie e dannose per il singolo istituto in ristrutturazione.
Vitale quindi punta il dito sulla guida di Banca d’Italia
nei 10 anni di crisi, sottolineandone le mancanza sia nel ruolo di guida
economica, per non aver saputo leggere correttamente la situazione economico
finanziaria, sia come ente vigilante, incapace di anticipare e prevenire le maggiori
crisi bancarie per cui, conclude Vitale, il vertice di Banca d’Italia dovrebbe presentarsi
alla propria assemblea dimissionario per favorire quell’indispensabile ricambio
culturale e operativo, che non può non ripartire dal vertice della Banca
d’Italia.
La nostra proposta
Condividendo quasi
integralmente le opinioni del prof. Vitale, non possiamo esimerci dal dovere di
un passo avanti: quindi cosa è possibile fare?
E’ possibile, doveroso fare almeno
tre cose. E tutte queste cose riguardano la conoscenza come risorsa chiave.
La prima: occorre che le
banche sviluppino nuove competenze di valutazione del merito del credito,
fondate su “ragionamenti” strategici, che sono gli unici che riguardano il futuro.
La seconda è che devono offrire servizi di progettualità strategica per
rilanciare la nostra imprenditorialità. Così facendo aggiungono alla
intermediazione finanziaria una “intermediazione cognitiva” riducendo così i
rischi del “prestare” e, contemporaneamente, aggiungendo ricavi da nuovi
servizi.
Come scrivevamo questi
obiettivi sono raggiungibili se le banche si dotano di conoscenze e metodologie
avanzate di strategia d’impresa di cui sono totalmente prive.
Vi è una terza cosa da fare:
evitare di innescare drammatici processi di cambiamento che generano solo
resistenze e frustrazioni. Li innescano ancora una volta per mancanza di
conoscenza. Sono legate a miti manageriali (leadership, motivazione, talenti et
similia) che le scienze umane a naturali hanno abbondantemente sbugiardato.
Purtroppo le banche non ci
sentono. Se date una occhiata ai loro Piani strategici non si dice nulla di
nuove competenze valutative, di nuovi sistemi di servizi di progettazione
strategica, di diversi processi di cambiamento.
E non ci sentono perché non
sanno sentire: non riescono a rendersi conto che il loro futuro sarà costruito
più con risorse di conoscenza che di capitale finanziario.
Ovviamente questo discorso
vale anche per la Banca d’Italia che non può esimersi anch’essa dall’acquisire
le nuove conoscenze che servino per fare emergere il sistema bancario del
futuro.
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