di
Francesco Zanotti
L’occasione è un articolo del Sole 24 Ore di oggi che
rivela il continuo aumento delle sofferenze bancarie. Nei post passati ho
scritto più volte su questo tema. Ma, visto quello che sta accadendo, mi sembra
opportuno riproporre alcune idee chiave. La prima è una previsione: le
sofferenze non potranno che aumentare di molto. Le altre riguardano proposte
per fermare ed invertire questo fenomeno. Cioè proposte per costruire un nuovo
sviluppo.
Scrivevo il 21 luglio 2012 di un inevitabile declino di
una parte significativa del nostro sistema industriale.
“Tutti sanno che
una parte significativa (20-30 % .. oltre?) dell’attuale sistema industriale
non riesce a, come si dice, a “stare sul mercato”.
"Questo
significa, innanzitutto, che le sofferenze sono destinate a breve ad aumentare
bel al di là di quanto permetterebbe il patrimonio delle banche.”
Scrivevo il 20 aprile 2012 degli effetti recessivi di
certe prassi di ristrutturazione del debito.
“Considerate il
problema della ristrutturazione del debito. Stiamo usando una concretezza che
uccide. Le imprese chiedono alle banche di ristrutturare il debito. Le banche
chiedono di vedere un piano industriale che spieghi, quali cambiamenti farà
l’impresa in modo da poter onorare le nuove scadenze del debito. Bene,
legittimo, forse anche doveroso, no? In teoria, certo. In pratica si scatena un
circolo vizioso spaventoso. Perché le banche impongono (solo quelle sanno
riconoscere) una specifica via di cambiamento: la riduzione dei costi e delle
persone. Spendendo meno, si riescono a pagare di debiti. Siccome poi questo non
accade, perché dopo le riduzioni fatte le imprese non sono in grado lo stesso
di pagare i debiti (chiedete alla banche quanti piani di ristrutturazione hanno
avuto successo), allora si cerca di ridurre sempre più duramente e
risolutamente. Ma continuando a premere
l’acceleratore del rigore si uccidono le imprese.
Il problema è
che anche le imprese ritengono legittima la via della riduzione di costi e
persone.
Si crea così
una vera alleanza tra banche ed imprese, ma orientata al declino, non allo
sviluppo.”
Scrivevo il 25 aprile 2012 (su balbettanti poietici) degli effetti recessivi della spending review.
“Se si riducono le
spese dello Stato si riducono i ricavi di coloro che forniscono beni e servizi
allo Stato. Si diminuisce cioè l’imponibile complessivo. Su un imponibile
ridotto non si può diminuire la percentuale di tasse, occorre aumentarla per
mantenere lo stesso gettito fiscale.
Mi si può
obiettare che vi sono infiniti sprechi. Ma contro obietto dicendo che è meglio
spendere sprecando che non spendere. Certo è meglio spendere con qualità. Ma
questa è la vera alternativa. Quella di ridurre è un rimedio peggiore del male.
Una parte
rilevante della nostra economia vende prodotti e servizi verso lo Stato,
altrimenti lo stesso Stato non avrebbe tutti quei miliardi di Euro di debiti
nei confronti dei suoi fornitori. Per ridurre la spesa pubblica occorre, prima,
riconvertire queste imprese. Altrimenti quello che risparmieremo in costi lo
spenderemo in sussidi. Peggio: trasformeremo lavoratori in “sussidiati” (in
qualche modo), con tutto questo comporta anche in termini di motivazione,
partecipazione, apprendimento, autorealizzazione.”
Tutti i fenomeni precedentemente descritti non potranno
che aumentare anche le sofferenze dei crediti concessi alle persone e la
riduzione del risparmio.
E la soluzione?
Ne scrivevo (ed ora ripropongo) ancora il 21 luglio 2012
“I concetti
tradizionali di valutazione del rischio sono inutili. Il problema non è come
evitare rischi. Il problema è come fronteggiare la crisi di coloro ai quali i
crediti sono già stati concessi.
La soluzione
esiste. Le banche devono dotarsi di strumenti di valutazione dei Progetti
d’impresa. Questi stessi strumenti devono, contemporaneamente, essere capaci di
stimolare una nuova progettualità d’impresa.”
Ne scrivevo (ed ora ripropongo) ancora il 20 aprile 2012
“Diamo agli
imprenditori ed alle banche nuovi occhiali e nuovi linguaggi. Nuovi occhiali
per capire i processi di evoluzione di una impresa in un mercato. Scopriranno
che la competizione è costruita dalle strategie competitive. Più le strategie
competitive sono “dure” quanto più generano una competizione feroce … Scusate,
ma supponete che davvero una impresa riesca ad acquisire un vantaggio
competitivo per aver ridotto costi e persone, ma quanto tempo ci metteranno i
concorrenti a fare altrettanto, forse meglio? Ed allora corre ancora
ristrutturare in una lotta che non può portare ad una vittoria: cioè permettere
alle imprese di ritornare a produrre cassa.
Nuovi linguaggi,
ad esempio una mappa attraverso la quale orientarsi nel mondo per riuscire a
progettare una nuova imprese e non ristrutturare quella vecchia. Questa stessa
mappa potrebbe essere data alle banche. La capacità di sfuggire alla trappola
della competizione è proporzionale alla qualità della mappa che di cui le
imprese possono disporre per costruire nuovi cammini.
In sintesi,
certo miglioriamo la macchina dello Stato, ma, soprattutto liberiamoci dai
vecchi occhiali e da vecchi linguaggi poveri. Ed usiamo nuovi linguaggi e
linguaggi più ricchi.”
La conclusione la lascio al lettore …
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