di
Francesco Zanotti
Cominciamo con un’affermazione che è tanto banale quanto trascurata: non
sarà possibile una ripresa alta e forte del nostro sistema industriale,
italiano e mondiale. E questo per due ragioni. La prima è che una ulteriore espansione
delle attuali strutture produttive e dei manufatti che genera sono
incompatibili con la Natura.
La seconda è che l’interesse per gli attuali manufatti va
inesorabilmente diminuendo.
La via obbligata è, quindi, quella di una riprogettazione radicale dei
manufatti che costruiamo ed usiamo e dei modi di produrli.
Il problema è che questa via non sarà percorsa. Almeno fino a che la
situazione economica, sociale ed ambientale non sarà peggiorata rispetto ad
oggi. A meno che non ci si decida ad usare l’arma della conoscenza.
Cerco di spiegare cosa intendo con questa affermazione.
Oggi si tenta di percorrere la via della produttività. Ma questa
via non può che peggiorare la
situazione.
Infatti il parlare di produttività, qualunque sia l’accezione di questa
parola che si usa, significa cercare di far funzionare meglio il nostro sistema
industriale attuale.
Questo, da un lato, è per noi mediamente molto difficile perché una
buona percentuale di PMI hanno perso ogni speranza di diventare competitive:
anche un impossibile raddoppio della produttività non è in grado di permettere
la sopravvivenza di terzisti abituati ad un unico cliente che, per primo, non
riesce più a stare sul mercato.
Dall’altro, la corsa alla competitività è, per tutti, una corsa verso
un baratro inevitabile. Ogni aumento di competitività costringe i concorrenti a
fare altrettanto ricostruendo un equilibrio competitivo ad un livello di
capacità di produrre valore più basso.
Questa battaglia competitiva senza esclusione di colpi avviene all’interno
del contesto che ho descritto all’inizio. Ripetendo quanto detto, in mercati
che, per i prodotti di cui si parla, tendono inevitabilmente a contrarsi. E in
un ambiente naturale che sopporta sempre meno le attività industriali attuali.
Ed allora?
Allora occorre percorrere subito una strada radicalmente diversa: la
strada della conoscenza.
Si insiste sulla strada della
competizione perché abbiamo in testa lo schema cognitivo della competizione. La
competizione è il filtro cognitivo attraverso il quale leggiamo il mercato. Se
usiamo questo filtro cognitivo, diamo per scontato che l’impresa non può che
fare quello che ha sempre fatto e ci perdiamo tutte le opportunità di sviluppo
rivoluzionario, le uniche che ha senso perseguire.
La soluzione è quella di diffondere schemi di analisi e progettazione
strategica più avanzati, usando quella cultura strategica che oggi è quasi
completamente sconosciuta.
Un’altra via, complementare, è quella di cambiare lo schema cognitivo
che porta a considerare, come modello insuperabile, il modello produttivo
Toyota che risuona in schemi cognitivi simili: dalla qualità totale alla lean
organization. L’alternativa è quella di usare le nuove conoscenze organizzative
che permettono di gestire non sono la componente tecnologica, ma anche quella
umana dell’organizzazione. Mi si può obiettare che il metodo Toyota cerca
appunto di gestire la parte umana dell’organizzazione, ma lo sa in un modo
psicologicamente, sociologicamente e antropologicamente primitivo.
Chi ha voglia di discutere e di sperimentare l’efficacia di discutere e
sperimentare queste idee?
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