di
Luciano Martinoli
Prendetevi qualche minuto di relax e godetevi questo bellissimo video sugli edifici più straordinari finora costruiti, o invia di costruzione.
Fantastici vero? Sono una dimostrazione della genialità umana. Ognuno è diverso dall'altro e i loro progettisti hanno avuto la possibilità di esprimere la loro creatività senza, apparentemente, nessun tipo di vincolo.
Ciononostante hanno una caratteristica strutturale in comune: stanno in piedi da soli. Senza nessun supporto esterno, anzi progettati per resistere a diverse sollecitazioni (venti, terremoti, uragani, ecc.), staranno in piedi per decenni, forse secoli.
Probabilmente ogni certo numero di anni potrà capitare che avranno bisogno di un sostegno, un intervento di manutenzione, ma sempre allo scopo di farli ritornare allo stato originario: stare in piedi senza aiuto esterno. Infatti laddove ciò non sarà possibile dovranno essere abbattuti prima di un loro rovinoso crollo.
Il metodo con il quale, una volta ideati, sono stati costruiti è particolarmente efficace. Infatti ogni singolo edificio non è stato innalzato per tentativi: si è edificato il primo, se fosse crollato si sarebbe indagato sulle cause e se ne sarebbe costruito un altro tenendo conto di queste, se il secondo fosse crollato se ne sarebbe costruito un terzo e così via fino ad ottenerne uno stabile.
Troppo dispendioso.
Non ci si è nemmeno rivolti ad un unico progettista "illuminato", sempre lo stesso, che avendo empiricamente intuito le regole con le quali un qualsiasi fabbricato stia in piedi, abbia messo a disposizione la sua "esperienza" a coloro che volevano costruire tali meraviglie.
Il metodo, che funziona da qualche secolo, è quello del progetto, inteso come un piano del futuro edificio, stilato secondo una disciplina che ne garantisce i requisiti di solidità futura senza intaccare la creatività e l'innovazione dei progettisti: la Scienza delle Costruzioni. Essa non è un vincolo alla libertà di espressione degli ideatori, anzi è un valido supporto, anche ispiratore, per realizzare in concreto la loro idea. Grazie a questo metodo gli edifici risultanti stanno in piedi da soli.
Si può dire qualcosa di analogo per le aziende?
Certo che sì!
Vi sono tanti tipi di aziende quanti quelli del video sugli edifici. Forse anche di più. L'equivalente dello "stare in piedi" per le aziende è la capacità di autofinanziarsi ovvero produrre costantemente flussi di cassa. Laddove ciò inizia a mancare, per un qualsiasi motivo, un intervento esterno di finanziamento dovrebbe avere lo stesso scopo degli edifici: ricostruire la capacità di autofinanziarsi (stare in piedi da sole), ovvero ritornare a produrre flussi di cassa.
Tali interventi esterni allora, di qualsiasi natura essi siano, dovrebbero sempre essere accompagnati da un piano che descriva come l'intervento rimedierà alla perdita di stabilità strutturale dell'azienda.
Come dovrebbero essere fatti tali piani? A quale disciplina dovrebbero far riferimento per risultare attendibili?
L'azienda, a differenza degli edifici, non è un oggetto statico ma una comunità umana, la sua organizzazione, che si confronta costantemente con un ambiente multidimensionale (i clienti, i fornitori, le istituzioni, la finanza, la natura, ecc.) ed entrambi, organizzazione ed ambiente, in continua evoluzione autonoma.
Questa evoluzione può, e deve, essere guidata di continuo in modo progettuale. I progetti di continua realizzazione dell'identità dell’impresa (in termini tecnici identità strategica), o quelli di interventi straordinari per ridargli autonomia finanziaria, sono i business plan (o piani industriali, o strategici).
Essi, come i progetti degli edifici, non possono essere redatti solo secondo esperienza, intuito o fantasia, ma devono avvalersi di una disciplina di riferimento che, analogamente ai piani per gli edifici, diano credibilità ai futuri risultati economici attesi, primi fra tutti la produzione di cassa.
La disciplina di riferimento per i progetti d’impresa è la Corporate Strategy che, allo stesso modo che la Scienza delle Costruzioni per gli edifici, non limita la creatività e il senso di fare impresa, ma le da supporto, fornisce alla creatività d’impresa (l’imprenditorialità) un linguaggio affinchè sia credibile e diventi realtà stabile.
Cosa accade invece oggi?
Innanzitutto si sostiene un paradosso. Come ultimamente apparso sulla stampa, si sostiene che "aziende sane corrono il rischio di chiudere per mancanza di credito da parte delle banche". Ma un'azienda se è sana si autofinanzia e se ha bisogno di finanziamenti esterni non lo è più!
Tale malinteso, ma anche altre errate convinzioni sulla natura profonda dell’impresa, si fonda su una prevalente visione statica e passiva dell’azienda. Si pensa che questa debba, e possa, vivere in eterno così come è a patto che le condizioni esterne ad esse rimangano immutate (clienti, mercati, concorrenti, regole, ecc.). Se ciò non accade sono altri attori che devono ripristinare le condizioni ottimali per la continuazione delle attività d’impresa.
Vi è però anche un’altra grave carenza proprio nella disciplina che dovrebbe guidare la continua progettazione aziendale, la Corporate Strategy.
Oltre ad essere totalmente e colpevolmente ignorata, laddove utilizzata non arriva a giustificare i flussi di cassa, dunque la stabilità futura dell'impresa.
I piani allora così redatti sono dunque un mero proposito di buona volontà che coloro che forniscono le risorse per realizzarli (la finanza) giudicano in base allo loro esperienza, all'intuito o fidandosi delle prestazioni del passato. La Strategia d’impresa allora, quando viene usata, si limita a evocare una giustificazione, o a fornire suggestioni che possano giustificare, gli andamenti economici futuri desiderati.
La conseguenza di tale situazione è drammatica. I rapporti tra imprese e fornitori di risorse finanziarie sono malati o con scarse probabilità di efficacia. Malati perché, soprattutto nel caso delle banche, si limitano a sostenere una strutturale debolezza a patto che venga costantemente remunerata (classico esempio è il finanziamento del circolante). Con scarse probabilità di efficacia perché i piani di intervento straordinario sono incapaci di descrivere e giudicare un vero cambiamento strategico dell’impresa, che si manifesterà nella capacità di ritornare a produrre cassa.
Dimostrazioni di queste mie affermazioni sono dappertutto. Provate a prendere i piani, laddove disponibili, di un’azienda quotata in borsa italiana. Sono carenti, parziali, incapaci di dar conto degli andamenti economici futuri che si pretende di realizzare.
Sul sito della Consob vi sono prospetti informativi di quotazioni, emissioni obbligazionarie, minibond. In essi vi è un paragrafo standard chiamato “Ragioni dell’offerta e utilizzo dei proventi”. Dovrebbe essere chiave in questo tipo di documenti in quanto, a fronte di una sollecitazione di pubblico risparmio, dovrebbe specificare perché l’azienda chiede soldi e cosa se ne farà. Dovrebbe contenere la descrizione approfondita e dettagliata del “piano”. In genere consta di una o due generiche paginette su un corpo di 600/800 pagine che parlano di rischi, management, risorse economico-finanziarie (passate), immobili, macchinari, impianti, insomma tutto tranne quello che si vorrà fare. Come se in un progetto di uno degli edifici del video ci fosse descritto il contesto in cui verrà costruito (clima, struttura del terreno, ecc.), le apparecchiature per costruirlo, i nomi dei responsabili, le loro esperienze, i loro lavori passati, insomma tutto tranne l’edificio che si vorrà costruire!
Provate anche a girovagare su internet alla voce “business plan” per vedere cosa suggeriscono di fare le associazioni industriali di categoria (allorquando si cimentano sull’argomento), i consorzi e le associazioni bancarie (ad esempio PattiChiari), l’ordine dei commercialisti.
Proposte frammentate, con usi slegati di tecniche di Corporate Strategy antiquate (Swot Analysis, anni ’60, Schema di Porter, anni ’80, ecc.) utili più a creare suggestioni che a rendere credibili, giustificandoli, i prospetti economici previsionali.
A fronte di un lavoro pluriennale di ricerca sulla Corporate Strategy, e altre discipline fondamentali, abbiamo messo a punto uno strumento, basato su di essa, per la pianificazione strategica di una impresa che giustifica i risultati economici futuri desiderati. Se volete l’equivalente di un progetto edile.
Sarebbe auspicabile che venisse valutato, adottato o criticato soprattutto allo scopo di migliorarlo per inoltrarsi verso una nuova, la prima, vera stagione di progettualità strategica intesa come capacità di costruire, e realizzare, il futuro di una impresa.
Nessuno avrebbe voglia di metter piede in un edificio fatto male col rischio che gli crolli addosso. Tutti mettiamo risorse finanziarie (principalmente i nostri risparmi!) in operazioni finanziarie che, essendo male o non progettate nel senso prima indicato, crollano bruciando risorse, creando disoccupazione, generando crisi.
Non è colpa del destino, né di congiunture astrali sfavorevoli né di esotici e maligni concorrenti se versiamo nello stato in cui siamo.
Se le aziende, come gli edifici, crollano è perché sono state mal progettate o perché gli interventi a supporto non sono stati concepiti per ridargli la stabilità necessaria.
Cosa aspettiamo ad iniziare ad occuparcene seriamente?
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