ovvero "Adda passà a nuttata"?
(Ha da passare la nottata? N.d.t)
di
(Ha da passare la nottata? N.d.t)
di
Luciano Martinoli
E' stato da qualche giorno pubblicata, da parte del Consorzio Camerale per il Credito e la Finanza, la nuova guida "I minibond, istruzioni per l'uso".
Soffermiamoci su uno dei capitoli introduttivi, il terzo a pagina 20, per evidenziare come sia necessario un punto di vista profondamente diverso.
La pagina 20 inizia così
L’autofinanziamento deriva dagli avanzi positivi di cassa prodotti dalla gestione aziendale. Le disponibilità monetarie generate dall’autofinanziamento sono da anni modeste, per due principali ordini di motivi.
Vediamo quali sono questi motivi secondo gli autori del manuale.
In primo luogo, il calo della domanda, interna ed internazionale, di beni di consumo e intermedi, ha prodotto per le imprese un calo generalizzato dei volumi di attività, quindi dei ricavi di vendita, cui si è affiancato un incremento della pressione fiscale.
E a cosa è dovuto questo calo della domanda ?
Ce lo si chiede in pochi. Forse per fatalismo, nella speranza che sia un fenomeno passeggero dovuto ad un nefasto allineamento di chissà quali astri maligni (la "nuttata"!). Oppure per paura della risposta: i ricavi diminuiscono perchè la stragrande maggioranza dei prodotti e servizi interessa sempre meno i clienti, almeno quelli del mondo occidentale!
In secondo luogo, il ciclo monetario del capitale circolante si è recentemente allungato in misura sensibile: si è ampliata la quota di clientela, sia privata che pubblica, che paga con dilazioni temporali molto lunghe o che manifesta situazioni di inesigibilità, a fronte di un sempre più diffuso irrigidimento delle condizioni di vendita imposte dai fornitori.
E non è questa l'esatta misura del disinteresse di cui sopra (con le catastrofiche conseguenze sulla filiera)?
Da quanto sopra, sempre secondo gli autori, ne discende che
La gestione operativa d’impresa assorbe così cassa invece di produrne e, di conseguenza, l’autofinanziamento non rappresenta più una fonte stabile di copertura dei fabbisogni finanziari aziendali.
Dunque se ne deduce che l'azienda, che fino a ieri era il soggetto che con la sua produzione di cassa, ha sempre creato ricchezza per tutti (stato, banche, dipendenti, società tutta) in un circolo virtuoso di benessere, adesso deve essere mantenuta pur di continuare a fare quelle cose che non interessano più!
Ieri l'azienda era al servizio della società, oggi la società deve essere al servizio dell'azienda?
A quest'ultimo interrogativo si trova risposta più avanti nella stessa pagina quando, a proposito di fonti di finanziamento, si legge
I finanziamenti pubblici risultano di ammontare sempre più limitato, a causa dei vincoli di bilancio stringenti e delle politiche di spending review adottate.
Facendo comprendere che lo Stato è sempre stato in passato un supporto al tessuto economico e si rammarica di non poterlo essere più. Dunque la società al servizio dell'azienda!
Mi sembra che seguendo, e sopratutto diffondendo, questo punto di vista la crisi non solo è costretta a peggiorare, ma non verrà mai risolta. Inoltre è un preoccupante segnale, visibile anche in altri ambiti, di una ricerca di scuse per evitare la fatica di cercare prospettive, e dunque soluzioni, diverse.
Per fortuna l'ipotesi alternativa ventilata all'inizio, le cose che si offrono hanno perso di senso, è stata presa in seria considerazione da (troppo) poche aziende (quelle che vedono il mercato perchè ci stanno dentro) che sono corse ai ripari e, guarda caso, non hanno problemi di autofinanziamento: producono infatti abbondante cassa.
Allora al di là del plauso al legislatore, per aver creato un quadro normativo per l'accesso alle nuove risorse, e agli operatori finanziari, che le hanno messe a disposizione, mi sembra che gli "attori di sistema" restanti, camere di commercio in testa, stiano facendo ben poco per cogliere il nocciolo della questione e stimolare il tessuto economico, con opportuni servizi, a risolverlo: la riprogettazione strategica di ogni singola azienda (per realizzare la quale i soldi ci sono) finalizzata al ritorno alla produzione di abbondanti flussi di cassa.
Quando sulle nostre strade iniziarono a comparire sempre più numerose le auto al posto dei cavalli e delle carrozze, molti maniscalchi chiusero o cambiarono mestiere.
E' arrivato lo stesso momento per tantissime aziende e settori merceologici. Chiudere è una opzione, che se fatta per tempo è anche meno dolorosa, e meno costosa per la comunità, di quanto si pensi.
Cambiare mestiere è più difficile e spesso l'imprenditore da solo non è in grado di farlo. Non è questione di soldi, che come si è visto ci sono, ma di risorse cognitive da mettergli a disposizione, a lui e a tutta l'impresa (se non a tutto il mercato), per consentirgli di vedere le mille opportunità che l'abbondanza di tecnologie in ogni angolo suggeriscono e creare nuovi significati, in nuovi prodotti e servizi, che il mercato forse già attende.
Troppo complicato? No, più semplice di quanto si pensi, basta andare cercarle o cercare chi questo lavoro l'ha già fatto e rende disponibile queste risorse in nuovi strumenti di progettazione strategica.
Potrebbe, dovrebbe!, essere il mestiere delle Pubbliche Amministrazioni, ma anche delle associazioni di categoria, territoriali, degli ordini professionali, e tanti altri attori che hanno a cuore il benessere del proprio tessuto economico e sociale.
Ma se si pensa di uscire da questo drammatico momento, come evidenzia il documento su citato, aspettando che passi la nottata, per dirla con Edoardo,...
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