Colonne d'Ercole
Oltre lo stretto di Gibilterra alla ricerca di "fondamentali"
dell'economia e della finanza migliori (o uguali?).
di
Luciano Martinoli
Da tutte le borse mondiali arrivano segnali di sfiducia, seppur altalenanti, verso le banche. E questo nonostante le prestazioni di alcuni campioni del settore, a parte alcune eccezioni, siano ottime; dalla nostrana Unicredit (1,7 miliardi di utili) alla Citigroup americana (17 miliardi di dollari di profitto l'anno scorso).
Perchè?
Una prima indicazione della debolezza strutturale del "fare banca" viene da una secca affermazione apparsa su ilsole24ore del 9 febbraio scorso: "per le banche l’aumento del costo del denaro resta un pilastro dei profitti".
Dunque nel mondo delle banche fare soldi è principalmente legato a fattori esogeni, non c'è management o strategia di sorta che possa, con l'attuale modo di fare banca, capovolgere la situazione?
Un ulteriore tassello ci viene proposto dal New York Times sempre del 9 febbraio: "gli investitori pensano che le banche faranno fatica a guadagnare solidi profitti in futuro". Dunque non vi è una particolare fragilità del sistema ma una sempre più diffusa convinzione che quel business sia "decotto", si avvii alla commoditizzazione, con tutto quel che ne consegue. Certo le cifre relative agli utili dei gruppi in salute sono somme importanti, ma pesano ancora incertezze relative ai crediti deteriorati (84 miliardi di euro lordi solo per Unicredit) e i bassi tassi di interesse che se è vero che stimolano la richiesta di prestiti allo stesso tempo li rendono meno profittevoli per le banche (e sostengono le aziende zombie che a loro volta, alla ripresa dei tassi, alimenterano le sofferenze).
Inoltre se con l'attuale modo di concedere prestiti hanno accumulato l'ammontare attuale di sofferenze, perchè non dovrebbero accumularne altrettante in futuro? La storiella della "ripresa economica" evidentemente non convince più nessuno; se infatti le performance delle banche dipendono esclusivamente da essa sono delle istituzioni che gestiscono il contingente (e a cosa ci sta a fare il management?). Se così non fosse, ed è tutto da dimostrare, perchè chi le guida non inverte questo trend?
Ma allora ci avviamo verso un mondo con banche "stagnanti" o, addiritura, un domani senza di loro?
Un possibile scenario futuro sul mondo dei prestiti ci viene suggerito dal Regno Unito dove l'anno scorso le piattaforme di prestito "alla pari" (peer-to-peer, ovvero senza intermediari) hanno prestato 2,2 miliardi di sterline, il doppio dell'anno precedente. Una modalità disintermediata che piace sempre di più a chi presta e a chi prende i soldi.
Inoltre queste piattaforme sono sistemicamente sicure perchè, in qualche modo, "NPL-free" in quanto il rischio è chiaramente esplicitato (fanno solo quello e lo dicono chiaramente), a differenza dell'uso che la banca fa dei soldi di un conto corrente o di un titolo bancario (azioni, obbligazioni subordinate o meno, ecc.). In aggiunta dimostrano che la semplice attività relativa ai prestiti può essere fatta con costi estremamente inferiori ed essere ancora redditizia ed attrattiva per chi la gestisce e per chi fornisce la materia prima.
Dunque morte delle banche? Per come sono oggi evidentemente sì. La loro sopravvivenza è esclusivamente legata a una riprogettazione imprenditoriale che le veda riappropriarsi prioritariamente di quel ruolo di servizio alle imprese, motori di qualsiasi economia, che hanno abbandonato perchè il contesto è cambiato e le loro competenze si sono dimostrate non all'altezza; prova ne sia l'ammontare delle sofferenze accumulate finora. Una rivoluzione di questo tipo però non appare all'orizzonte, da questa come dall'altra parte delle alpi. Essa dovrebbe partire dalla necessità di un nuovo ruolo e dall'acquisizione di conoscenze al momento estranee al mondo bancario.
Un piano industriale che illustrasse questa rivoluzione sorprenderebbe positivamente gli investitori. Purtroppo finora non se ne sono visti e, in mancanza, gli investitori, come chiunque di noi farebbe, si aspetta il peggio.
E vende le loro azioni.
Non è la fine delle banche ma il tramonto di un certo modo di fare banca.
RispondiEliminaOwner, 2030 FINANCIAL INCLUSION