Cesare Sacerdoti
Io credo che il problema di fondo sia il
solipsismo “cognitivo” dei banchieri.
Un problema immediatamente risolubile …
Sul Corriere di ieri è pubblicata l’intervista
a Mussari, Presidente di ABI, che sostiene che “le banche non sono un servizio
pubblico” e che sia necessario “un dibattito
pubblico che chiarisca cosa sono e cosa debbono fare le
banche” (anche se poi sembra che il dibattito debba essere solo interno “ È stato convocato consiglio e comitato
esecutivo Abi e collegialmente valuteremo il da farsi. Il mio auspicio è che si
apra un dibattito sulla natura delle banche italiane, che venga fuori
chiaramente quale è la nostra natura e quale deve essere il nostro ruolo”).
L’intervento di Mussari si
inserisce in quel dibattito in corso da alcuni mesi, che vede le banche sul
banco degli imputati perché non aiutano a sufficienza le imprese (in
particolare le PMI): effettivamente nei
nostri giorni si tende a cercare il capro espiatorio di ogni situazione,
così come sono stati i giovani
“bamboccioni”, i dipendenti pubblici “fannulloni”, eccetera.
In un momento storico in cui
i valori tradizionali sono quanto meno appannati, e in cui non ci sono più i
nemici storici, a fare da collante per l’opinione pubblica sono classi di
persone o imprese che si ritiene non
operino a sufficienza per il bene pubblico. Al di là dei moralismi e degli
allarmi che queste nostre attitudini possono provocare, ritengo che questa
crisi possa essere superata solo se tutti, ma proprio tutti, cerchiamo di
andare al di là degli interessi strettamente personali o di categoria. E
quindi, ben venga che il sistema bancario si apra ad un pubblico dibattito sul
loro ruolo nella società.
Ma dovrebbero uscire dal loro solipsismo cognitivo.
Potrebbero ad esempio
prendere spunto dall’Osservatorio Sociale per le Assicurazioni, un’esperienza
straordinaria di tanti anni fa che ha sperimentato nuove metodologie di
progettualità sociale. Potrebbero riflettere sul senso del fare impresa che non
è più legato al modello “un’organizzazione che fa profitto con responsabilità
sociale”. Anche perché le banche sono imprese che gestiscono un bene comune
(Elinor Ostrom, Nobel per l’economia) come il risparmio che è la loro materia
prima. Credo che Mussari non dovrebbe dimenticare che le banche usano solo in
piccola parte il loro patrimonio come materia prima.
Certamente le banche hanno
avuto un ruolo storico nello sviluppo del Paese e della attuale società, un
ruolo positivo e propositivo, sono stati
autori o co-autori di una grande vision (si pensi, ad esempio, alla
storia della Banca Commerciale) che per esempio ha permesso la trasformazione
dell’Italia in potenza industriale , o
ha favorito la ricostruzione nel dopoguerra.
Ma per svolgere ancora una
volta questo ruolo di stimolo ad una nuova imprenditorialità dovrebbero uscire
dal loro solipsismo cognitivo. Mussari
sostiene che “Il credito sta ritornando ad affluire alle imprese”. Ma sostiene
anche che “… le richieste per nuovi
investimenti sono largamente minoritarie, ci chiedono fidi per l'attività
corrente”. Allora gli è chiara la necessità che il sistema bancario ridiventi generatore
di nuove vision, motore di nuova imprenditorialità. Ma perché allora il sistema
bancario non utilizza le conoscenze di strategia d’impresa che potrebbero far
fare un salto di qualità alle banche nella valutazione del merito del credito.
Cioè nel valutare business plan, nell’aiutare gli imprenditori a sviluppare
business plan migliori?
La via dell’Inferno è
lastricata di buone intenzioni. Mussari ed i banchieri sono certamente armati
delle migliori intenzioni. Ma rischiano davvero che rimangano retorica se non
aggiungono al loro afflato etico e sociale le conoscenze che servono a
trasformarlo in concretezza.
In sintesi, Signori
Banchieri, per riconquistare quella fiducia che ritenete necessaria, sono
necessarie nuove conoscenze che potreste acquisire in un attimo.
Domanda finale: perché non lo
fate?
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