di
Ogni anno è caratterizzato da una
parola che sembra diventare il leit motiv
della nostra vita quotidiana, parole di cui spesso non comprendiamo il vero
significato, ma che vengono usate per indirizzare la nostra attenzione, e
quindi la nostra opinione, sui fatti quotidiani.
Tralasciando in questa sede di
discutere sull’utilizzo politico di tali parole, vorrei soffermarmi sul termine
“produttività”, la cui insufficiente
crescita è considerata una delle cause della crisi del nostro sistema
produttivo. A maggior ragione quando essa è citata assieme a “competitività”
Ma cosa si intende per
produttività? Io credo che nella maggior parte della gente, “produttività”
evochi un concetto fordista di numero di “pezzi” prodotti per lavoratore
nell’unità di tempo.
Al di là del fatto che una tale
concezione porterebbe a considerare Fiat più produttiva di BMW (2,1 milioni di
vetture/anno con 137.000 dipendenti contro 1,5 milioni con 100.000 dipendenti –
dati 2010 v. en.wikipedia.org - ), in un periodo di contrazione di mercato tale
parametro non può che portare a riduzioni di personale (per produrre un minor
numero di auto a pari produttività devo diminuire i dipendenti) o al limite
ridurre il costo del personale: ecco che allora gli industriali chiedono la
riduzione dei contributi sociali o, come Marchionne, l’aumento delle ore
effettive di lavoro (con la riduzione delle pause).
Anche nel caso in cui “produttività”
richiamasse un concetto di fatturato per lavoratore per unità di tempo (che
riequilibrerebbe il confronto Fiat-BMW a favore di quest’ultima: 36 miliardi di
€ per Fiat contro 60 di BMW), nelle attuali condizioni di mercato si avrebbe
l’unica opzione di diminuire i costi di produzione (in senso lato) o al massimo
di riposizionare il proprio prodotto su una fascia di mercato più elevata (come
dire, produrre meno Panda e più Thema, ma se poi nessuno le compra?).
In realtà gli indici di
produttività a cui si riferiscono le analisi più serie, sono indici molto più
complessi che tengono conto di vari fattori. L’indice Istat per esempio
considera “il valore aggiunto, che viene utilizzato per stimare sia la
produttività del lavoro sia la produttività totale dei fattori (PTF). Il
calcolo della PTF trova la sua giustificazione teorica all’interno della
cosiddetta “contabilità della crescita”, la quale consente di scomporre la
dinamica dell’offerta nei contributi derivanti dai fattori produttivi primari
(lavoro e capitale) e dalla produttività totale dei fattori, che invece esprime
una misura di efficienza nella combinazione dei fattori primari… sono calcolate
per 28 settori di attività economica, corrispondenti alle 31 sezioni e
sottosezioni definite dalla classificazione Ateco 2002 (versione italiana della
NaceRev1.1), per 6 macrosettori e per il totale dell’economia. Dalle 31
sottosezioni sono escluse: l’Attività di locazione di beni immobili; l’Attività
svolta da famiglie e convivenze; le Organizzazioni ed organismi
extraterritoriali e tutte le attività economiche che fanno capo al settore
istituzionale delle Amministrazioni Pubbliche” (http://www3.istat.it/salastampa/comunicati/non_calendario/20100803_00/testointegrale20100803.pdf)
Semplificando, possiamo calcolare la produttività “come valore aggiunto, al
netto dei costi degli input intermedi – e la quantità di lavoro impiegato nella
produzione” (http://www3.istat.it/dati/catalogo/20110523_00/grafici/1_3.html).
In tal caso, per aumentare la produttività, anche in
situazioni di mercato come quelle attuali si può pensare di operare sul
numeratore (valore aggiunto) anziché sul denominatore (quantità di lavoro).
Lavorare sul numeratore è una proposta rivoluzionaria.
Ma
come si fa?
Una risposta di letteratura è: aumentiamo la conoscenza che
sta dentro il prodotto. Ma si è solo spostato il problema rendendolo più
generico, retorico.
Un’altra risposta è descritta in tanti post di questo blog:
occorre riattivare una progettualità strategica profonda. Per farlo è
necessario diffondere conoscenze e metodologie di strategia d’impresa. Con
queste conoscenze e metodologie si possono avviare processi di Business
Planning che abbandonano la loro attuale funzione burocratica e diventano un
processo di mobilitazione reale delle mille risorse cognitive che stanno negli
stakeholders di ogni impresa, banca etc.
In un post non si può dettagliare più di tanto. Rimando
tutti al nostro prossimo seminario sul rating del business plan per dettagli sociali ed operativi.
Ma mi scappa un’ultima proposta, definitiva. Ma perché non
la piantiamo di usare la parola produttività per indicare l’obiettivo da
perseguire, costringendoci poi a fare mille distinguo? Perché non ci poniamo il
più semplice e mobilitante obiettivo di aumentare la cassa prodotta dalle
imprese?
salve ing Sacerdoti concordo e sottoscrivo la necessità di ricorrere, e in fretta, al NUMERATORE. Questo è sinonimo di sviluppo, innovazione, conoscenza e consapevolezza. Assumiamoci la responsabilità del progredire e non demandiamo a questo o quel "tecnico" o "politico" o "manager" la scelta di ridurre o tagliare.
RispondiEliminaGiovanni
PS: come accennato Francesco Zanotti disponibile ad approfondimenti e a sviluppi operativi.
Ci vediamo a Roma il 18 aprile.