"Se gli uomini non nutrono un ideale in un mondo migliore perdono qualcosa.
L'umanità non potrebbe funzionare senza le grandi speranze, le passioni assolute."
Eric J. Hobsbawm

lunedì 2 aprile 2012

Lavorare sul numeratore …


di 

Cesare Sacerdoti


Ogni anno è caratterizzato da una parola che sembra diventare il leit motiv della nostra vita quotidiana, parole di cui spesso non comprendiamo il vero significato, ma che vengono usate per indirizzare la nostra attenzione, e quindi la nostra opinione, sui fatti quotidiani.
Tralasciando in questa sede di discutere sull’utilizzo politico di tali parole, vorrei soffermarmi sul termine “produttività”, la cui insufficiente crescita è considerata una delle cause della crisi del nostro sistema produttivo. A maggior ragione quando essa è citata assieme a “competitività
Ma cosa si intende per produttività? Io credo che nella maggior parte della gente, “produttività” evochi un concetto fordista di numero di “pezzi” prodotti per lavoratore nell’unità di tempo.
Al di là del fatto che una tale concezione porterebbe a considerare Fiat più produttiva di BMW (2,1 milioni di vetture/anno con 137.000 dipendenti contro 1,5 milioni con 100.000 dipendenti – dati 2010 v. en.wikipedia.org - ), in un periodo di contrazione di mercato tale parametro non può che portare a riduzioni di personale (per produrre un minor numero di auto a pari produttività devo diminuire i dipendenti) o al limite ridurre il costo del personale: ecco che allora gli industriali chiedono la riduzione dei contributi sociali o, come Marchionne, l’aumento delle ore effettive di lavoro (con la riduzione delle pause).
 Anche nel caso in cui “produttività” richiamasse un concetto di fatturato per lavoratore per unità di tempo (che riequilibrerebbe il confronto Fiat-BMW a favore di quest’ultima: 36 miliardi di € per Fiat contro 60 di BMW), nelle attuali condizioni di mercato si avrebbe l’unica opzione di diminuire i costi di produzione (in senso lato) o al massimo di riposizionare il proprio prodotto su una fascia di mercato più elevata (come dire, produrre meno Panda e più Thema, ma se poi nessuno le compra?).
In realtà gli indici di produttività a cui si riferiscono le analisi più serie, sono indici molto più complessi che tengono conto di vari fattori. L’indice Istat per esempio considera “il valore aggiunto, che viene utilizzato per stimare sia la produttività del lavoro sia la produttività totale dei fattori (PTF). Il calcolo della PTF trova la sua giustificazione teorica all’interno della cosiddetta “contabilità della crescita”, la quale consente di scomporre la dinamica dell’offerta nei contributi derivanti dai fattori produttivi primari (lavoro e capitale) e dalla produttività totale dei fattori, che invece esprime una misura di efficienza nella combinazione dei fattori primari… sono calcolate per 28 settori di attività economica, corrispondenti alle 31 sezioni e sottosezioni definite dalla classificazione Ateco 2002 (versione italiana della NaceRev1.1), per 6 macrosettori e per il totale dell’economia. Dalle 31 sottosezioni sono escluse: l’Attività di locazione di beni immobili; l’Attività svolta da famiglie e convivenze; le Organizzazioni ed organismi extraterritoriali e tutte le attività economiche che fanno capo al settore istituzionale delle Amministrazioni Pubbliche” (http://www3.istat.it/salastampa/comunicati/non_calendario/20100803_00/testointegrale20100803.pdf)
Semplificando, possiamo calcolare la produttività come valore aggiunto, al netto dei costi degli input intermedi – e la quantità di lavoro impiegato nella produzione”     (http://www3.istat.it/dati/catalogo/20110523_00/grafici/1_3.html).
In tal caso, per aumentare la produttività, anche in situazioni di mercato come quelle attuali si può pensare di operare sul numeratore (valore aggiunto) anziché sul denominatore (quantità di lavoro).
Lavorare sul numeratore è una proposta rivoluzionaria. 
Ma come si fa?

Una risposta di letteratura è: aumentiamo la conoscenza che sta dentro il prodotto. Ma si è solo spostato il problema rendendolo più generico, retorico.
Un’altra risposta è descritta in tanti post di questo blog: occorre riattivare una progettualità strategica profonda. Per farlo è necessario diffondere conoscenze e metodologie di strategia d’impresa. Con queste conoscenze e metodologie si possono avviare processi di Business Planning che abbandonano la loro attuale funzione burocratica e diventano un processo di mobilitazione reale delle mille risorse cognitive che stanno negli stakeholders di ogni impresa, banca etc.
In un post non si può dettagliare più di tanto. Rimando tutti al nostro prossimo seminario sul rating del business plan per  dettagli sociali ed operativi.
Ma mi scappa un’ultima proposta, definitiva. Ma perché non la piantiamo di usare la parola produttività per indicare l’obiettivo da perseguire, costringendoci poi a fare mille distinguo? Perché non ci poniamo il più semplice e mobilitante obiettivo di aumentare la cassa prodotta dalle imprese? 

1 commento:

  1. salve ing Sacerdoti concordo e sottoscrivo la necessità di ricorrere, e in fretta, al NUMERATORE. Questo è sinonimo di sviluppo, innovazione, conoscenza e consapevolezza. Assumiamoci la responsabilità del progredire e non demandiamo a questo o quel "tecnico" o "politico" o "manager" la scelta di ridurre o tagliare.
    Giovanni

    PS: come accennato Francesco Zanotti disponibile ad approfondimenti e a sviluppi operativi.
    Ci vediamo a Roma il 18 aprile.

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