di
Francesco Zanotti
Alla veneranda età di 80 anni Leonardo del
Vecchio ha deciso di riprendere in mano la sua impresa perché serve uno spirito
imprenditoriale e non una gestione manageriale.
Oggi sul Sole 24 Ore Luigi Zingales fa un’apologia
dei manager di successo che hanno evitato lo spirito conservativo di azionisti
minoranza che vogliono fare il bello e il cattivo tempo. Denunciando che questi
ultimi usano i manager quando sono nei
guai, ma poi, appena non sono allineati li cacciano. E cita tra gli altri
proprio Andrea Guerra.
Ora, il primo problema è che Zingales cita come
risultato ottenuto dai manager l’aumento del titolo in borsa seguendo la
vecchia logica del “valore per gli azionisti”. Ignorando il fatto che oramai è
stato ampiamente dimostrato che la logica del valore per gli azionisti è non
solo parziale, ma anche distorcente.
Ma poi, alla fine, c’è del vero quando parla di
azionisti ottusi.
Non è, però, il caso di Del Vecchio. Non si tratta di un azionista ottuso, ma di un
azionista che considera i risultati dei manager troppo limitati. Conservatori,
dal suo punto di vista.
Allora proviamo a distinguere tra impresa
imprenditoriale e impresa manageriale. Il nostro prossimo futuro sarà di
sviluppo se trasformeremo imprese manageriali in imprese imprenditoriali.
In un ambiente in profonda
evoluzione gli atteggiamenti strategici che le imprese possono adottare sono
due.
Il primo è di partecipare a
costruire questa evoluzione: ridisegnare il proprio sistema d’offerta e,
conseguentemente, il proprio ruolo sociale come contributo a quel processo
emergente che è il creare una nuova economia e una nuova società. Definiamo
questo primo atteggiamento “imprenditoriale”. E’ l’atteggiamento “naturale” di
quell’attore economico che si definisce “impresa”. E’ l’atteggiamento che
permette all’impresa di generare valore economico e sociale nel continuo. E’
l’atteggiamento che costruisce sviluppo nel continuo per tutti gli stakeholder
che si riferiscono all’impresa.
Il secondo è di cercare,
anche inconsapevolmente, di difendere, conservare il sistema d‘offerta e il
ruolo sociale dell’impresa.
Questo secondo atteggiamento
strategico in un ambiente che evolve proprio per azione delle imprese
imprenditoriali è distruttivo. Le scelte strategiche finalizzate alla
conservazione sono controproducenti. Gli obiettivi che si immagina di raggiungere
si negano l’un l’altro.
Detto diversamente, in un
ambiente in veloce evoluzione l’impresa manageriale finisce per chiudersi in sé
stessa e, a causa di questo chiudersi, non riesce più a generare valore né
economico né sociale. La deriva inevitabile è che l’impresa diventa una
infrastruttura istituzionale, finanziata dallo Stato che non ha nulla
dell’intrapresa, ma tutto della burocrazia.