"Se gli uomini non nutrono un ideale in un mondo migliore perdono qualcosa.
L'umanità non potrebbe funzionare senza le grandi speranze, le passioni assolute."
Eric J. Hobsbawm

sabato 27 maggio 2017

I PIR, la pagliuzza e la trave…

di
Francesco Zanotti

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I PIR - Piani Individuali di Risparmio-  sono di gran moda. Ma per quanto riguarda i possibili problemi per i risparmiatori, però, si indica solo la pagliuzza, e ci si dimentica della trave.

Tutti conoscono il monito evangelico “Perché guardi la pagliuzza che è nell'occhio di tuo fratello, mentre non scorgi la trave che è nell'occhio tuo?” (Matteo 7:3-5).
Si applica letteralmente al caso dei PIR. La pagliuzza è costituita dai temi fiscali. Certamente è importante il tipo di imposizione fiscale. Una imposizione fiscale sfavorevole è certamente fastidiosa come una pagliuzza.
Ma ci fa dimenticare la trave. Una trave grande e pesante. E’ costituita dal rischio di perdere tutto il capitale. E’ costituta dal rischio che le imprese nei cui titoli sono finite i soldi dei risparmiatori falliscano.
Si dirà, ma chi le seleziona sa come distinguere il grano dal loglio, per continuare a usare un linguaggio evangelico (Matteo 13, 24 segg.). Chi le seleziona sa scegliere le imprese il cui titolo continuerà ad aumentare di valore.
Ecco, questo non è vero. Per mille ragioni. La più semplice è che l’andamento del titolo non è che segua così pedissequamente l’andamento dei risultati delle imprese. Ma la più rilevante è che chi seleziona le imprese non ha alcuno strumento per prevedere i risultati futuri delle imprese. Con gli strumenti a disposizione della finanza è come se si scegliesse a caso. E non è il caso di buttare il risparmio nel gioco della roulette. Rischia che sia una roulette russa.
Ma purtroppo della trave nessuno vuole parlare.  Qualcuno ci dà una mano a parlarne?


martedì 23 maggio 2017

Rapporto banche impresa: valutare gli elementi qualitativi. Ma …

di
Francesco Zanotti

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… ma quali sono questi elementi qualitativi da valutare e come fare a valutarli?

Oramai tutti stanno chiedendo alle banche di valutare il merito di credito delle imprese al di là dei numeri. Tutti stanno chiedendo alle banche di valutare gli “elementi qualitativi” delle imprese. Purtroppo nessuno dice quali siano e come vadano valutati.
Proviamo ad indicarne alcuni. Sono certamente rilevanti gli elementi soft dell’impresa: dai valori alle competenze, alla cultura e al clima. Ma anche la sua sostenibilità, la sua Governance, la qualità del management e la propensione all’innovazione. Ora questo è un elenco parziale: occorre allora trovare tutti gli elementi qualitativi necessari. E poi spiegare come si misurano tutti questi elementi e come si mettono insieme le misure per capire quale sarà la capacità futura di generare cassa delle imprese.
Chi ha una proposta sul come fare? Noi ce l’abbiamo, ma c’è qualcuno interessato ad ascoltarla?

sabato 20 maggio 2017

I capitali? Non a tutte le pmi, ma a quelle "brave"

di
Luciano Martinoli



I Piani Individuali di Risparmio (PIR) sono degli strumenti finanziari composti da titoli di aziende italiane medio piccole che, mantenuti per 5 anni, consentono di essere totalmente detassati. Grazie a questo vincolo, finalmente una parte del risparmio italiano potrà arrivare alle piccole e medie imprese nazionali per finanziare, si spera, i loro progetti di sviluppo. Dal lancio di questo strumento sono stati raccolti svariate centinaia di milioni di euro, dando soddisfazione al Ministero delle Finanze, che l’ha promosso, e agli intermediari finanziari che stanno effettuando la raccolta. 

Gli indici azionari dove sono quotate le aziende minori, AIM ma anche STAR, già stanno beneficiando di questo afflusso di risorse registrando un aumento percentuale importante da inizio anno. Già si intravede addirittura la possibilità di una scarsità di “materia prima”, alla quale gli operatori progettano di porre rimedio invitando ed aiutando le aziende non quotate ad andare in borsa.
E’ l’impegno, ad esempio, di Mediolanum che in un recente evento di presentazione della sua proposta PIR ha annunciato, tramite il suo AD Massimo Doris, che le molte aziende ed imprenditori loro clienti verranno messi “in contatto con strutture specializzate che organizzeranno la loro quotazione”.

Anche Fabrizio Pagani, capo della segreteria tecnica del Ministero delle Finanze, ha auspicato la possibilità di “trovare degli strumenti affinché tutta questa liquidità arrivi anche alle società meritevoli non quotate” e, in un'altra occasione, aggiunge “devono arrivare capitali non a tutte le pmi, ma a quelle brave”.
Dunque tutti a caccia di pmi “brave” e “meritevoli”, ma...chi lo decide? E come?

mercoledì 17 maggio 2017

La Ferrari sta andando malissimo perché le tasse sono troppo alte

di
Francesco Zanotti

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Occorre diminuire il cuneo fiscale altrimenti non riuscirà a vincere né il Campionato Piloti né quello Costruttori. E non riuscirà più a fare le auto più veloci del mondo!

Ovviamente si tratta stupidaggini. Innanzitutto la Ferrari non va male. Poi continua a fare auto che sono miti ricercati e strapagati. E il vincere in Formula 1 è frutto di un mix di tecnologia, conoscenze, uomini ed organizzazione del tutto unico. Il cuneo fiscale non c’entra nulla!
Mi si dirà: c’entra per le altre imprese che non sono come la Ferrari. Certo, ma c’entra proprio perché non sono come la Ferrari. C’entra tanto più quanto più le imprese non hanno alcun mix unico di tecnologie, conoscenze, uomini ed organizzazione.
Che fare, quindi? Innanzitutto rivelare alle imprese che il chiedere aiuti ambientali (come la riduzione del cuneo fiscale) è solo una cura sintomatica. Ed è una cura della quale occorrerà continuamente aumentare le dosi.

Voglio dire: per carità riduciamo pure il cuneo fiscale, ma diciamo chiaro e forte alle imprese che la via maestra è quella percorsa dalla Ferrari: partire da un sogno (fare le auto più veloci del mondo) e realizzare il sogno creando insieme mix unico di tecnologie, conoscenze, uomini ed organizzazione. 

lunedì 15 maggio 2017

Banche: proposte invece di baruffe chiozzotte

di
Francesco Zanotti

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Accanto agli scenari complessivi proposti dal Prof. Vitale e dal Prof. Minenna aggiungiamo la nostra proposta: le cose che una banca può fare subito per costruire una nuova redditività … E’ un vero peccato che non se ne parli mai. Ma si preferiscono stucchevoli baruffe chiozzotte come quelle su Banca Etruria. E sapete perché? Non perché siano temi decisivi, ma perché solo di quelli si sa parlare …

Riceviamo dal Prof. Vitale un incoraggiamento che ci fa piacere per l’autorevolezza professionale ed etica della persona.

Grazie per il commento al mio paper sulle banche. Sono totalmente d’accordo sulle Vostre tre proposte, tutte essenziali. Cordiali saluti Marco Vitale.

Ed allora ecco le nostre tre proposte che ogni banca potrebbe e dovrebbe mettere in atto da subito.

La prima: occorre che le banche sviluppino nuove competenze di valutazione del merito del credito, fondate su “ragionamenti” strategici, che sono gli unici che riguardano il futuro.
La seconda è che devono offrire servizi di progettualità strategica per rilanciare la nostra imprenditorialità. Così facendo aggiungono alla intermediazione finanziaria una “intermediazione cognitiva” riducendo così i rischi del “prestare” e, contemporaneamente, aggiungendo ricavi da nuovi servizi.
Come scrivevamo questi obiettivi sono raggiungibili se le banche si dotano di conoscenze e metodologie avanzate di strategia d’impresa di cui sono totalmente prive.
Vi è una terza cosa da fare: evitare di innescare drammatici processi di cambiamento che generano solo resistenze e frustrazioni. Li innescano ancora una volta per mancanza di conoscenza. Sono legate a miti manageriali (leadership, motivazione, talenti et similia) che le scienze umane e naturali hanno abbondantemente sbugiardato.

Purtroppo le banche non ci sentono. Se date una occhiata ai loro Piani strategici non si dice nulla di nuove competenze valutative, di nuovi sistemi di servizi di progettazione strategica, di diversi processi di cambiamento.
E non ci sentono perché non sanno sentire: non riescono a rendersi conto che il loro futuro sarà costruito più con risorse di conoscenza che di capitale finanziario.
Ovviamente questo discorso vale anche per la Banca d’Italia che non può esimersi anch’essa dall’acquisire le nuove conoscenze che servino per fare emergere il sistema bancario del futuro.


venerdì 12 maggio 2017

Il nuovo documento “To whom who might concern”: La strategia è una scelta filosofica

di
Francesco Zanotti

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La strategia non è una scelta obbligata dall’ambiente esterno all’impresa. E’ una scelta cognitiva profonda, che definisco filosofica. Poi viene giustificata come “imposta”, ma non è vero: le imprese possono fare la scelta che voglio. Solo devono essere consapevoli delle conseguenze … Riportiamo qui il testo, prima di renderlo disponibile come .pdf.


Ogni progetto strategico è ispirato, spesso inconsapevolmente, ma sostanzialmente, non su di un calcolo economico, ma su di una scelta filosofica a priori.
E’ solo all’interno di questa scelta che poi si fanno calcoli economici.
Mi spiego.
La scelta filosofica riguarda come l’essere umano considera l’ambiente esterno a se stesso e come si vuole relazionare con questo ambiente esterno.

Le opzioni che riguardano l’ambiente sono due. La prima: l’ambiente è dato e su di esso non posso intervenire. La seconda: l’ambiente è fatto di potenzialità che aspettano solo un autore che le attualizzi.
Le opzioni che riguardano il modo di relazionarsi con l’ambiente sono pure due: l’essere umano vuole essere attivo o passivo nei confronti dell’ambiente?

Allora le possibili scelte filosofiche che stanno a monte di ogni progetto strategico, a fondamento inconsapevole di ogni Business Plan, sono quattro.

La prima scelta filosofica: l’ambiente è fatto di potenzialità e voglio giocare un ruolo attivo. E’ quello di attualizzare, insieme agli stakeholder che mi scelgo, qualcuna di questa potenzialità. Definisco questa scelta “imprenditoriale”. E’ la scelta filosofica che hanno fatto tutti gli imprenditori di successo.

La seconda scelta filosofica: l’ambiente è fatto di potenzialità, ma io non riesco ad avere un ruolo costruttivo e sociale. Mi limito ad immaginare solipsisticamente tanti mondi possibili, ma rimangono storie senza concretezza. Definisco questa scelta “dei mondi virtuali”. E’ la strada velleitaria della comunicazione che cerca di ridare senso a contenuti stantii con la forma. E’ la strada di troppe start-up che pensano che basti ruminare tecnologia per costruire nuovi mondi.

La terza scelta filosofica: l’ambiente è dato. Quindi cerco di conoscerlo ed usarlo. Le parole d’ordine sono: qualità e competitività. Definisco questa scelta “manageriale”.

La quarta scelta filosofica: l’ambiente è dato. Mi accodo a coloro che vogliono usarlo e cerco di fare il mio mestiere dignitosamente. E’ la strada, personale, di chi cerca definite collocazioni organizzative. E’ la strada di tante imprese che cercano catene del valore nelle quali collocarsi. Definisco questa scelta “burocratica”.

In realtà, poi, esiste anche la scelta nichilista: Io so fare alcune cosa. Tocca agli altri fare in modo che io possa farle in santa pace: E’ la via di tutte le imprese che sono convinte di poter vivere solo di sussidi.

Le diverse scelte filosofiche, come dicevo all’inizio, si portano dietro scelte operative delle quali è possibile immaginare i risultati ottenibili.
Se adottate una strategia imprenditoriale riuscirete ad aumentare i flussi di cassa.
Se adottate una strategia manageriale un po’meno.
Se vi accontentate di fare efficienza, proprio per nulla.
Ma quale scelta filosofica è oggi possibile?

Ovviamente tutte: una scelta filosofica è proprio una scelta personale. Potete scegliere l’atteggiamento filosofico che volete. L’importante è conoscerne le conseguenze.

Esempio: le banche hanno fatto una scelta un atteggiamento burocratico-efficientista. Attendiamoci le conseguenze di questo atteggiamento: vedranno intorno a loro un ambiente sempre più ostile e vivranno solo grazie a continui aumenti di capitale. Potrebbero fare un’altra scelta; ad esempio, una scelta imprenditoriale? Certo … se volessero.

martedì 9 maggio 2017

Report di ieri sera sulle banche …

di
Francesco Zanotti

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Interessante. Certo prevale sempre la denuncia alla proposta. Ma non solo … se si individuasse davvero il problema chiave anche la denuncia sarebbe diversa, costruttiva. Ma purtroppo i media difficilmente sanno parlare di idee e proposte. Più facile lo scandalo …

Report ha soprattutto denunciato la logica relazionale della concessione del credito. Nel passato la logica relazionale si chiamava sinergia con le comunità locali ed era motore di sviluppo. Oggi essa è degenerata nell’attuale relazionalità collusiva che non ha nulla a che fare con lo sviluppo.
Che fare?
Innanzitutto accettare il fatto che oggi le banche non dispongono delle conoscenze per fare diversamente. Non hanno metodologie e strumenti per valutare il merito di credito con un sguardo al futuro. Gli uffici tecnici certamente predispongono i dossier sui quali Consiglieri, Presidenti, Sindaci etc. devono decidere, ma sono dossier troppo poveri. Anche se li studiate nottate intere, poi vi accorgete che gli elementi che vengono descritti non sono significativi. E vi rimane il vostro fiuto personale. Ovviamente il fiuto personale è un’ottima scusa per favorire gli amici. Ma è una scusa che le banche offrono su di un piatto d’argento.
Questa incapacità valutativa poi diventa esiziale quando non intervengono logiche relazionali, ma la valutazione del merito di credito diventa solo tecnica. E il problema è che si tratta di una tecnicità senza fondamenti ed efficacia …
La proposta, sia per non dare scuse al formarsi di relazionalità collusive, ma anche per proteggere le banche da affidamenti irragionevoli, è semplice, ma quasi irricevibile. Occorre fornire alle banche nuove conoscenze che permettano loro di valutare le potenzialità di generare economics nel futuro. Sono le conoscenze e le metodologie di strategia d’impresa.

Perché irricevibile? Perché propone una ricetta mediaticamente non comunicabile: cari banchieri mettetevi innanzitutto a studiare.

lunedì 8 maggio 2017

La valutazione del merito di credito: fare la media tra pere e mele! E altre “cose bancarie” Lettera aperta a Ferruccio De Bortoli

di
Francesco Zanotti

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Su l’Economia del Corriere della Sera Ferruccio De Bortoli affronta il problema delle banche. Egregio Dottore, lei ha ragione. Ma occorre guardare più nel profondo. Il problema riguarda le mele e le pere. Cioè la conoscenza. Vogliamo affrontarlo o attendiamo che agli 83 miliardi già spesi per salvare il sistema bancario (fonte “L’economia”) se ne aggiungano molti altri?

Iniziamo dalle perdite sui crediti.
Il Dott. De Bortoli scrive a chiare lettere che la causa delle perdite su crediti non può essere dovuta solo alla contingenza della crisi economica. Ma una qualche colpa devono pure averla anche le banche che hanno subito queste perdite.
Allora proviamo a fare chiarezza sulle modalità di valutazione del merito di credito. Oggi il merito di credito è “calcolato” facendo la media tra mele e pere su dati passati. Come si può pensare che funzioni?
Si prendono i bilanci, si sceglie una massa impressionante di indici, si valutano e poi si sommano le valutazioni.  Ma se due indici sono diversi, le loro valutazioni non sono sommabili. E tanto meno si possono fare medie. E’ come se si dicesse: sommo quattro pere e sei mele ed ottengo … Alle elementari mi hanno detto che si ottiene un risultato senza senso. Ora capisco che quel senza senso voleva dire: ecco come aumentare le sofferenze bancarie. Ah, aggiunga poi che gli indici di bilancio che si usano riguardano ovviamente solo il passato. Ed un passato anche non recente, visto le modalità e le periodicità di pubblicazione dei bilanci.
Sarebbe possibile fare diversamente? Ovviamente sì ma usando conoscenze e metodologie che sono completamente oscure alle banche. Mi riferisco alle conoscenze e alle metodologie di strategia d’impresa.

E arriviamo alla qualità del management e della Governance.
Anche qui è come se si cercasse di aggiustare a martellate un televisore convinto che sia il teatrino delle marionette.
Voglio dire che il management delle banche non dispone delle conoscenze necessarie per capire cosa sia una organizzazione fatta di uomini.
La dimostrazione è scientifica e sperimentale.
Scientifica: non si può pensare di capire organizzazioni fatte di uomini se non si usano i risultati resi disponibili da neuroscienze, psicologie, sociologia, antropologia. Cose delle quali nelle banche non si sa nulla.
Sperimentale: è uscita una ricerca pubblicata dalla Harvard Business Review dove si dimostra che il modo migliore di fallire è licenziare le persone.
Guardi ai Piani delle banche in crisi: sostanzialmente la salvezza si chiama: buttiamo fuori le persone.

Egregio dottore, davvero il tema chiave è quello della conoscenza. Purtroppo affrontarlo è difficile. Il primo passo che stiamo provando a fare è almeno ammettere che esista.

sabato 6 maggio 2017

Tesla: le scommesse sul futuro di cui abbiamo bisogno

di
Luciano Martinoli


L'ascesa in borsa del costruttore americano di auto elettriche appare, sopratutto a noi europei, incomprensibile. La chiave di lettura è nella direzione nella quale non siamo più, colpevolmente, abituati a guardare. Con una nota di merito, una volta tanto, per il mondo della finanza.

Tesla continua a battere i record di capitalizzazione in borsa, superando e mantenendo valori superiori ad aziende più grandi e più affermate. Un fenomeno che richiama alla mente le bolle, sopratutto nell'ambito tecnologico, che periodicamente si formano nei mercati.
Eppure vi è una motivazione più profonda che spiega il fenomeno.

giovedì 4 maggio 2017

Non siamo i soli a essere preoccupati per il sistema bancario



di
Cesare Sacerdoti
e Francesco Zanotti

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In un articolo scritto per Micromega (“tentativo di fare il punto sulla situazione del sistema bancario italiano”), Marco Vitale ripercorre quelle che identifica come le principali cause delle attuali criticità, sottolineando la necessità di alzare gli occhi dalle singole crisi bancarie e tentare di ricostruire una visione d’insieme. Aggiungiamo un nostro contributo.

La sintesi delle opinioni del Prof. Vitale
Le prime due cause che Vitale identifica, la trasformazione da banca intermediaria a soggetto investitore in proprio e il gigantismo bancario, non sono originate in Italia, ma il sistema bancario italiano ha la responsabilità di essersi adeguato in maniera passiva in una sorta di resa incondizionata e servile. In particolare per la corsa alla crescita in dimensioni, Vitale ricorda come fossero già forti i segnali e i richiami alla pericolosità di un sistema too big to fail ma anche too big per essere governato e alla illusorietà degli effetti dell’economia di scala sulle banche. E qui Vitale non esita a sottolineare le responsabilità di una permissività eccessiva e acritica di Banca d’Italia, che, peraltro, ha continuato la deleteria prassi di stimolare e, in qualche caso, imporre delle fusioni come risposta impropria alle crisi bancarie, nel tentativo di manipolare e nascondere la crisi invece di affrontarla a viso aperto e con gli strumenti propri e tradizionali che hanno sempre portato a buoni risultati.
Ma la crisi attuale, secondo Vitale, deriva anche dal pensiero dominante che vede nella patrimonializzazione la priorità delle banche (Vitale punta il dito contro l’affermazione di Salvatore Rossi: La stella polare è la forza patrimoniale delle banche che si oppone in maniera drammatica alle convinzioni dei grandi banchieri del secondo dopoguerra per i quali la stella polare del fare buona banca non sta nel livello del capitale ma nella fiducia di cui gode la banca, nella onestà degli amministratori, e in rapporti equilibrati tra le varie forme di attività e passività. Vitale, sconsolato, rileva che non esiste capitale sufficientemente alto per evitare gli effetti della “mala gestio”). E anche qui Banca d’Italia, non solo non si è opposta a tale visione, ma ci si è adeguata, anzi, se ne è fatta semplice portavoce, con la pretesa di cercare di applicare acriticamente da noi impostazioni, approcci e livelli patrimoniali, dettati da paesi da noi molto diversi, in funzione dei loro interessi specifici.
 E questo in forte contrasto con le caratteristiche tipiche del nostro Paese, con la nostra economia di piccole e medie imprese, con un ordinamento che stimola le medie imprese a non crescere, con un mercato dei capitali asfittico, con una classe imprenditoriale brava a fare ma non a governare, con un familismo impressionante, con una dipendenza dall’intermediazione bancaria esagerata, con delle condizioni del credito bancario che presentano livelli di diversità inaccettabili a seconda delle dimensioni delle imprese, con un livello di occupazione molto basso, con differenze territoriali drammatiche.
Vitale infatti sottolinea che Se ci mettiamo sulla strada delle grandi dimensioni e del grande capitale siamo, per definizione, perdenti. Noi dobbiamo concentrarci sulle cose che sappiamo fare e sulle dimensioni che riusciamo a dominare e non scimmiottare gli altri, o farci imporre da altri soluzioni a noi dannose.
L’ultimo aspetto che Vitale prende in considerazione è quello che definisce La guerra contro le banche territoriali e il tentativo di cancellare le Banche Popolari. E’ questa una conseguenza diretta delle cause (Vitale le definisce malattie) sopra descritte, ma è una malattia tutta italiana. Per Vitale, e condivido il suo pensiero, le banche territoriali e il credito cooperativo sono una fortuna per i paesi che li hanno. Sono gli unici strumenti che possono contrastare ulteriori concentrazioni del potere finanziario.
Ora, sia a causa della crisi economica che ha colpito il sistema produttivo italiano, sia per le scelte compiute dal sistema bancario nel suo complesso e dalla politica, ci troviamo di fronte al problema della grave crescita dei crediti deteriorati la cui soluzione richiederà tempo e attenzione costruttiva A questo si aggiunge poi il collasso di alcune banche che si sono trasformati in casi sociali di interi territori. E questi, per Vitale, sono casi plateali di “mala gestio” e, conseguentemente di “mala vigilanza” causata da una debolezza politica e culturale dei vertici di Banca d’Italia.
A tutto ciò si aggiunge l’effetto del “bail in” che in sostanza è una forma di procedura concorsuale, ma che è stata dai nostri rappresentanti subita e recepita con totale e silente passività, ignorando gli effetti sulle operazioni in corso, dando al pubblico una informativa prossima allo zero, non predisponendo strumenti per attenuarne gli effetti in sede di prima applicazione, senza valutare gli effetti a cascata sul sistema, creando una grave perdita nel rapporto di fiducia tra banche e risparmiatori.
L’ultimo aspetto che Vitale prende in considerazione per i suoi effetti sul nostro sistema bancario è l’entrata in vigore della Vigilanza europea che, alla lunga, sarà un passaggio positivo, ma che per ora è portatrice di complicazioni burocratiche enormi, di ritardi dannosissimi nelle operazioni di risanamenti bancari, di manifestazioni di arroganza inaccettabili da parte dei responsabili della Vigilanza europea, di imposizioni spesso estremamente arbitrarie e dannose per il singolo istituto in ristrutturazione.
Vitale quindi punta il dito sulla guida di Banca d’Italia nei 10 anni di crisi, sottolineandone le mancanza sia nel ruolo di guida economica, per non aver saputo leggere correttamente la situazione economico finanziaria, sia come ente vigilante, incapace di anticipare e prevenire le maggiori crisi bancarie per cui, conclude Vitale, il vertice di Banca d’Italia dovrebbe presentarsi alla propria assemblea dimissionario per favorire quell’indispensabile ricambio culturale e operativo, che non può non ripartire dal vertice della Banca d’Italia.

La nostra proposta