"Se gli uomini non nutrono un ideale in un mondo migliore perdono qualcosa.
L'umanità non potrebbe funzionare senza le grandi speranze, le passioni assolute."
Eric J. Hobsbawm

venerdì 28 agosto 2015

Anche negli USA si progetta poco: il caso "Shares Buyback"

di
Luciano Martinoli


Recentemente il New York Times ha pubblicato un articolo sul fenomeno dello Shares Buyback ovvero del riacquisto di azioni proprie da parte delle grandi aziende americane quotate in Borsa. E' un dibattito che si sta sviluppando, sia negli ambienti finanziari che in quelli politici, in quanto tale pratica comporta l'uso di risorse aziendali notevoli (si parla di 7000 miliardi di dollari dal 2003 al 2012), Tutti questi soldi potevano essere utilizzati in maniera diversa?

martedì 25 agosto 2015

Le crisi sempre insensate delle Borse

di
Francesco Zanotti


Il problema di fondo delle borse è il valore del sottostante.
I titoli sono carta. Ma rappresentano qualcosa. Nel caso più semplice: le azioni rappresentano pezzi di impresa. Per complicare un po’ le cose: un future rappresenta materie prime o commodities.
Il valore del titolo è rappresentato dalla quantità di moneta che si è disposti a scambiare per il possesso del sottostante. Il problema è allora quello di capire quale sia la quantità di moneta per ogni titolo. Questo problema è complicato dal fatto che occorre valutare anche il valore della moneta che non è universale e non è stabile. Posso esprimere il valore di un pezzo di impresa in Euro (posso denominare il valore dell’azione in Euro), ma il valore dell’Euro non è stabile.
Tutto questo è già complicato per conto suo. Ma esiste una ulteriore fonte di complicazione: i titoli che vengono scambiati sono sempre più slegati da qualche sottostante. Un derivato lo si può comprare ad una certa cifra, ma si capisce sempre meno quale sia il sottostante di quel derivato.

Detto questo, come interpretare una crisi finanziaria?
Occorre usare strumenti concettuali nuovi.
Fondamentale è la teoria dei sistemi autopoietici. Usandola si capisce che quando si attiva un mercato di scambio di titoli, si va a costituire un sistema autopoietico che auto evolve generando oggetti sempre più differenziati e complessi e sempre più sganciati da riferimenti esterni. Il fatto che si costruiscano titoli sempre più oscuri non è generato tanto da perversione o cattive intenzioni, ma da leggi sistemiche. Quando si costruisce un sistema autopoietico non può che accadere questo. Non ha importanza come lo regolamentate, è sempre un crescente scollamento col sottostante.
Da dove derivano le crisi? Quando qualcuno, direttamente o indirettamente dice “vedo”. Cioè si pone il problema di controllare se il valore del sottostante corrisponde al valore del titolo, al netto del valore della moneta di denominazione. Proprio perché un sistema finanziario è un sistema autopoietico, il valore non può mai coincidere. Quindi, dato un qualunque mercato finanziario, esso cadrà in crisi quando qualcuno si chiede quale sia il valore dei titoli che scambia.

Soluzione? Costringere sempre chi vende un titolo ad esprimerne il prezzo in termini del valore del sottostante e dei trend di evoluzione del suo valore.
Che è il modo per ricompattare finanza ed economia.

Ma se nessuno dice vedo, come evolve il valore di un titolo? E’ necessario capire quali sono i processi di evoluzione interni di un sistema autopoietico. Per farlo si stanno iniziando ad usare le concettualizzazioni della fisica quantistica.
Si sta apprendendo dalla meccanica quantistica (la prima forma della fisica quantistica) che ogni processo e strumento di misurazione influisce sul valore misurato.

Si stanno usando anche i modi di pensare tipici della teoria quantistica dei campi (la forma attuale della fisica quantistica) come ad esempio i processi di rottura di simmetria e il formarsi di “Bosoni di Goldstone”.

mercoledì 19 agosto 2015

Sono contro il risiko bancario prossimo venturo

di
Francesco Zanotti
L’occasione di questo post è la lettura di un articolo di Luca Davi e di una intervista di Carlo Festa a Alessandro Daffina, apparsi oggi sul Sole 24 Ore.
Sono contro il risiko prossimo futuro perché, da un lato, non si otterranno i benefici immaginati e, dall’altro, si bloccherà lo sviluppo strategico del settore. Perpetuando, anzi aggravando, la sua situazione di crisi.
Mi spiego.
Quali sono le ragioni per cui si dovrebbe concentrare il settore?
Ne parla esplicitamente solo Daffina. Osservo che il testo che riporterò non è “virgolettato”, quindi, tecnicamente, è una interpretazione dell’Autore dell’intervista.
Il ragionamento di Daffina è il seguente. Ci metto io le virgolette perché riporto fedelmente dall’articolo di Carlo Festa.
Le banche italiane, a causa dei tassi di interesse bassi e della crisi economica sono state costrette ad operare in condizioni particolarmente difficili.”. E, poi cita queste condizioni “margini di interesse inesistenti, necessità di accantonamenti sempre più elevati sui crediti non performanti, costi fissi eccessivi e infine un livello di tassazione tra i più altri d’Europa.”. Infine, la conclusione. “Non sorprende quindi che le banche abbiano avuto una redditività scarsa e un livello di patrimonializzazione inadeguato. Di qui la necessità di concentrazione del settore”.

Questo ragionamento mi sembra il mondo alla rovescia.
E’ come a dire: poiché le condizioni che generano scarsa redditività e, quindi, scarso patrimonio non si possono rimuove, allora occorre rendere le banche più forti facendole diventare più grandi. Io credo che, appunto, occorra ragionare in direzione opposta. Occorre pensare ad eliminare le cause, non cercare di riuscire a farle sopportarle meglio.
E, potrà sembrare strano, ma prima di tutto, occorre rimuovere proprio la causa che sembra meno rimovibile, mentre è la più facilmente rimovibile: la crisi economica.
Ma lo si può fare?

martedì 18 agosto 2015

Piano Juncker e imprese bancabili


di
Francesco Zanotti


 Il Sole 24 Ore, in un articolo a forma Isabella Bufacchi, fa il punto sul Piano Juncker.
Ad oggi l’unica impresa italiana a beneficiarne è l’acciaieria Arvedi. Ovviamente poco anche per un Piano (quello di Juncker) che rischia di essere troppo piccolo.
Ma lo si può usare più intensamente, per quello che può dare? Certamente sì. Ma, e qui siamo alle solite, solo per imprese bancabili.
Ma quali sono le imprese bancabili? Quelle che hanno una storia positiva alle spalle, un reputazione da “establishment” e più grosse sono meglio è.
Cioè sono bancabili imprese “tradizionali”.
Questa scelta strategica è scellerata. Infatti, le imprese tradizionali in un mondo che cambia sono le più rischiose. Sono bancabili oggi. Ma i soldi vanno restituiti domani. E, checché ne dica il poeta, “del doman” una certezza c’è: che sarà radicalmente diverso da oggi. Quindi il fatto di essere bancabile oggi non offre alcuna garanzia sul fatto di restituire i soldi ricevuti a prestito.

Occorre allora spostare il discorso sul domani. Le imprese da finanziare oggi sono quelle che saranno bancabili domani. Esse possono essere sia bancabili oggi, ma anche no! Il discriminante non deve essere “bancabili oggi o no”. Ma è l’avere un Piano di sviluppo alto e forte che le faccia produrre cassa domani.

giovedì 13 agosto 2015

Quanto valgono in termini di capacità di generare cassa le riforme istituzionali?

di
Francesco Zanotti

O ci prendono in giro o ci prendiamo in giro da soli.
Provate a pensare …
Il problema delle imprese è quello di aumentare il più in fretta possibile la loro capacità di generare cassa. Se non la aumentano o trovano qualcuno disposto a mantenerle o falliscono.
Bene, partendo da questo punto di vista (quale altro se no?), mi spiegate perché dovrebbe avere un qualche interesse per le imprese non solo il tipo di riforma del Senato, ma anche lo stesso fatto che la riforma si faccia o meno?
Non ha nessun interesse né sul breve nè sul medio periodo. Nel lungo periodo vale quello che diceva Keynes: il lungo periodo è quello in cui saremo tutti morti.
Ma se è così, perché a un telegiornale sì e a un altro pure, in un giornale sì ed in un altro pure, si sentono politici accapigliarsi per riforme che non ha alcun impatto sulla sopravvivenza (in grave dubbio) del nostro sistema industriale?
O ci prendono in giro. O ci prendiamo in giro da soli ad ascoltarli.

domenica 9 agosto 2015

Bene o male l’economia globale ad oggi, 9 agosto?

di
Francesco Zanotti


Se leggete la pag. 4 del Sole 24O re di oggi, la risposta è: le cose vanno male. Soprattutto vanno male i Paesi emergenti che, però, sono un po’ la speranza di tutti. Dove andranno le esportazioni se questi Paesi non importeranno più? La metafora di sintesi dell’andar male potrebbe essere quella proposta da Roberto Da Rin: l’inquinatissima baia di Guanabara dove si terranno le gare acquatiche delle Olimpiadi 2016. La incerta (per non dire nulla speranza) che le cose possa volgere al bello è la conclusione dell’articolo di Paolo Sorrentino “… non sembra che le attuali ricette (politico-economiche) disponibili siano in grado di curare il malessere".
Se leggiamo la pagina precedente, dove si analizza il monte utili delle Società degli indici FTSE Mib sembra che le cose vadano a gonfie vele.
Contraddizione? No!
Innanzitutto non tutte questa società vanno bene. Il caso peggiore è Saipem che perde nel 2014 920 milioni. (E’ un caso che ci abbiano detto con orgoglio che loro non espongono un Business Plan?). Poi se guardiamo le ragioni che spingono quelle che vanno bene, si trova una nicchia di Società industriali che producono beni di consumo che vanno bene perché sono nicchie di eccellenza. Ma non è con queste imprese che si sviluppano occupazione e redditi.
Un significativo segnale per capire come vanno le cose è quello delle banche che hanno migliorato tutte insieme. Questo significa che i loro ricavi non dipendono da strategia “proattive” (altrimenti i risultati non sarebbero omogenei), ma da contingenze favorevoli. Ad esempio: poche svalutazioni dei crediti. Se fossero necessarie altre svalutazioni i conti tornerebbero a soffrire. Ma saranno necessarie altre svalutazioni? Dipende da come andrà il sistema delle imprese a cui hanno affidato i soldi. Questo sistema non potrà certo andare bene in una economia mondiale come quella descritta nella pagina dopo dello stesso giornale.
Quello delle banche è un segnale significativo perché è generalizzabile, se guardate ai Business Plan delle società dell’Indice FTSE Mib, vedrete che sono conservativo-difensivi. Cioè affermano esplicitamente che i risultati dipendono da fattori esterni alle imprese. Dipendono dalle contingenze dell’economia che nella pagina successiva è vista molto male.
La mia conclusione? Generalizzo quella di Sorrentino: abbiamo una economia ed una società che stanno perdendo di senso. Possiamo ricostruire sviluppo solo con una progettualità alta e forte che immagini una nuova economia ed una nuova società.


martedì 4 agosto 2015

Salvare le banche greche?

di
Francesco Zanotti


Oggi Marco Onado sul Sole 24 Ore sostiene che per salvare la Grecia occorre salvare le banche greche attraverso l’European Stability Mechanism.
Supponiamo che questo si faccia. E con così tanti soldi da rendere le banche Greche le più solide al mondo.
E poi?
Se le imprese non hanno progetti per costruire un nuovo futuro, se le persone non hanno propri progetti di futuro, i soldi delle banche finiranno per diventare crediti inesigibili.
Allora proviamo una strada che si fondi proprio sui progetti.
L’European Stability Mechanism non capitalizzi le banche. Ma capitalizzi imprese e cittadini. Apra presso le banche conti correnti a imprese e cittadini. In questo modo le banche sono salve ugualmente. E ai cittadini e alle imprese si chieda come contro partita Progetti che permettano loro di generare cassa.
C’è un solo problema, ma non è finanziario: è culturale. Occorre che chi guida lo  l’European Stability Mechanism (o le banche da questo Fondo delegate) sappiano valutare progetti di futuro. E le imprese e i cittadini ne sappiano redigere di alti e forti.
Così non è. Ma la soluzione è a portata di mano: occorre che l’European Stability Mechanism, imprese e cittadini si dotino di adeguate conoscenze e metodologie di strategia d’impresa.
Vogliamo ascoltare Papa Francesco? “Non disponiamo ancora della cultura adatta ad affrontare questa crisi” (Laudato sì, pag. 90)


domenica 2 agosto 2015

Prima ricreiamo l’impresa, poi il lavoro verrà

di
Francesco Zanotti


Ho appena letto un articolo di Luca Ricolfi che ripropone con forza il problema del lavoro. Rivela non solo che non è stato risolto, ma che non si è neanche cominciato a risolverlo.
Propone anche tre “soluzioni”. La prima: anticipare gli sgravi IRES e IRAP. La seconda: trovare le risorse per prolungare la decontribuzione. La terza: sostenere solo l’occupazione incrementale.
Ecco la sua analisi della “stasi” dell’occupazione è convincente. Le soluzioni molto meno.
Infatti le sue soluzioni riguardano solo i costi: far pagare meno il lavoro alle imprese.
E i ricavi? Meglio: la cassa? La vera soluzione al problema del lavoro è che le imprese inizino a produrre molta più cassa di quella attuale. Non basta aumentare il fatturato perché si può anche produrre in perdita. Non basta aumentare gli utili perché i crediti (che costituiscono parte del valore della produzione) possono anche non essere incassati. Se gli imprenditori vedono che le imprese producono più cassa, si butteranno subito ad assumere.
Ma come si fa a far aumentare alle imprese la loro capacità di generare cassa?
Occorre aumentare la capacità progettuale delle imprese. E sono mille le direzioni lungo le quali si può sviluppare la capacità progettuale.
Oggi le imprese producono oggetti che interessano sempre meno. La progettualità consiste nel ridisegnare radicalmente i sistemi di offerta delle imprese.
Oggi le imprese sono guidate da logiche manageriali che non hanno alcun fondamento scientifico. Sono proprio i valori fondanti del management che vanno riscritti “come scienza comanda”.
Oggi le imprese non riescono a comprendere il rapporto che li lega con gli stakeholder. E’ urgente che comincino a farlo
Oggi le imprese dispongono di progetti strategici banali: sono poco più che budget di cassa. Cioè: la strategia è perpetuare il passato nel futuro. Perdente, ovviamente.
Il rapporto con le persone e la natura è di sostanziale sfruttamento, ma non perché si è cattivi e si guarda solo al profitto. Ma perché non si riesce a vedere nulla di diverso.
Ma e le imprese di successo? Sono troppo poche e niente garantisce la continuità del loro successo. Se poi guardiamo a livello mondiale, l’andamento della capacità di generare cassa delle imprese dovremmo spaventarci. Alla fine del 2014 i corporate bonds ammontavano a poco più di 50.000 miliardi di dollari. Uno pensa: se le imprese hanno chiesto tanti soldi è perché avranno progetti di sviluppo alti e forti. Tra due o tre anni ne avranno restituito buona parte grazie alla aumentata capacità di generare cassa che questi progetti avranno creato. Invece, no! La previsione è che i corporate bond saranno nel 2017 più di 70.000 miliardi di dollari. Le imprese assorbiranno cassa per 20.000 invece di produrne.
Aumentare la capacità progettuale è davvero l’unica soluzione che permetta di far aumentare alle imprese quella capacità di generare cassa che invoglierà ad assumere: ogni nuovo lavoratore permetterà di aumentare la capacità di generare cassa.
Ma come aumentare la capacità di generare cassa delle imprese? Ancora una volta è molto semplice: occorre aumentare il patrimonio di risorse cognitive di cui dispongono imprenditori e top managers. Quali? Ne abbiamo parlato a iosa in questo blog …