"Se gli uomini non nutrono un ideale in un mondo migliore perdono qualcosa.
L'umanità non potrebbe funzionare senza le grandi speranze, le passioni assolute."
Eric J. Hobsbawm

domenica 29 marzo 2015

Il matematico e l’imprenditore

di
Francesco Zanotti


Ho trovato la miglior descrizione del mestiere dell’imprenditore (più efficace di quella di Shumpeter) in un testo di un matematico originalissimo, scomparso l’anno scorso (Alexander Grothendieck) che ho trovato citato nel capitolo “Il potere dell’innocenza” di Luca Barbieri Viale e Claudio Bartocci nel libro “Matematica ribelle” edito dal Corriere della Sera.

Lo riproduco con incisi che fanno riferimento al mestiere dell’imprenditore. Il post è un po’ lungo, ma non ho saputo togliere neppure una virgola al testo di Alexander Grothendieck.

“La maggior parte dei matematici (…) hanno la tendenza a confinarsi in un quadro concettuale, in un “Universo” fissato una volta per tutte – quello che hanno trovato bell'e pronto quando hanno fatto i loro studi. Possono essere paragonati a chi abbia ereditato una grande e bella dimora, arredata con tutte le comodità, con i suoi saloni, le sue cucine, i suoi laboratori, e le sue casseruole e attrezzi per ogni evenienza, con i quali c’è modo certamente di cucinare e di far tanti bei lavoretti.
La maggior parte dei manager (e qualche imprenditore di seconda e terza generazione) hanno la tendenza a vivere nelle case costruire dagli imprenditori.

Per quel che mi riguarda, sento piuttosto di appartenere alla stirpe dei matematici la cui vocazione spontanea, e la cui gioia, è di costruire senza posa case nuove. Strada facendo, costoro non possono sottrarsi anche al compito di inventare e forgiare man mano tutti gli arnesi, utensili, mobili e strumenti che sono necessari tanto per costruire la casa dalle fondamenta fino la colmo del tetto, quanto per rifornire in abbondanza le future cucine e i futuri laboratori, e arredare la casa per viverci con tutti gli agi.
L’imprenditore costruisce nuove “case”. Nuove imprese e nuovi settori industriali.

Ciononostante, non appena tutto è sistemato fino all'ultima grondaia e all'ultimo sgabello, è raro che l’operaio si trattenga a lungo nei luoghi in cui ogni pietra ed ogni trave reca traccia della mano che l’ha lavorata e posata. Il suo posto non è nella quiete degli universi bell'e pronti, per quanto accoglienti ed armoniosi possano essere – non importa se siano stati consegnati dalle sue proprie mani o da quella dei suoi predecessori.
L’imprenditore non si ferma a riposare nelle case che ha costruito. Anche perché sa che la “manutenzione” alla quale sarò costretto dalla competizione, non è certo così emozionante come il costruire nuovi mondi.

Altri compiti già lo chiamano su nuovi cantieri, sotto la spinta imperiosa di bisogni che è forse il solo a provare chiaramente o (ancora più spesso) anticipando bisogni che è il solo a presagire. Il suo posto è all'aria aperta.
L’imprenditore non serve esigenze già definite. Egli fa precipitare le mille potenzialità di futuro in un futuro specifico che, ex-post, viene visto come somma di specifiche esigenze.


giovedì 26 marzo 2015

Risparmio, Economia reale, Borsa

di
Luciano Martinoli


Mi sono messo nei panni di un rappresentante di un investitore, fondo pensione, assicurazione, family officer o, più semplicemente, di un ricco signore, che vuole investire in borsa.
Ieri si è chiusa la STAR Conference in Borsa a Milano, la manifestazione nella quale le aziende delll'indice STAR, appunto, si presentano alla comunità finanziaria. Nella veste di investitore mi sono iscritto e presentato agli incontri di due aziende. Non hanno importanza i loro nomi ma quello che hanno detto sì. 
Si potrebbe obiettare  che il campione è troppo piccolo, che non è significativo per sostenere che ciò che sto per dire sia vero per tutte le altre. Per rispondere all'obiezione rimando alla nostra prossima ricerca sul IV Rating Business Plan aziende FTSE MIB e STAR, che verrà presentata a Milano il prossimo 10 giugno, e, per chi fosse impaziente, invito alla lettura del rapporto dell'anno scorso scaricabile qui.
Ma cosa è stato detto di così importante?

Lettera aperta ad un Investitore

di
Francesco Zanotti


L’ecologia degli investitori è variegata e frammentata e questa frammentazione rischia di innescare bolle di valore (falsamente speculative).
Ma credo che il punto di vista che possa ricompattare gli interessi di tutti sia il seguente: le risorse di cui gli investitori dispongono o devono gestire hanno un impiego “sano” e non finiscono in bolla se vanno a finire a imprese che riescono a moltiplicarle in modo da remunerare coloro che alle imprese le risorse hanno fornito.

Bene, ma a quali imprese? Il ragionamento standard è il seguente: devono andare ad imprese sane oggi che, proprio perché sono “sane” (ben gestite etc.) oggi lo saranno in futuro e potranno restituire moltiplicate le risorse che sono state loro affidate.

Purtroppo è un ragionamento che non funziona più. Oggi occorre creare le imprese sane.

Innanzitutto, se consideriamo sane imprese che producono cassa, invece di assorbirla, allora queste imprese sono poche e, ovviamente, si autofinanziano. Non sono interessate a ricevere altra cassa. Questo significa che la rilevante massa di risorse finanziarie oggi disponibile non potrà essere impiegato in imprese “sane”.

Oggi in realtà il concetto di azienda sana sta diventando meno pretenzioso. Si guarda ai margini (EBITDA) e non alla cassa. E, allora, sono certamente di più le imprese che possono essere considerate “sane”. Ma, come dicevamo, è un “sano” un po’ meno forte. Ad esempio, il rischio di una crisi di liquidità è più elevato per queste imprese rispetto alle imprese considerate “sane” perché producono cassa. In più, accettando un concetto di “impresa sana” meno forte si costruisce il rischio “cognitivo” di considerare l’eccezione il generare cassa.
Queste imprese sono certamente di più di quelle della categoria precedente, ma anche aggiungendole all'elenco delle imprese finanziabili, non si raggiunge una massa tale da assorbire significativamente le risorse finanziarie in cerca di impieghi.

Ma, poi, esiste il problema del futuro.
Questo “problema” ci informa che non è detto, in nessun modo, che una impresa sana oggi (qualunque sia il concetto di “sano” che si usa) continui ad esserlo nel futuro. Non vale il ragionamento “Se è sana è perché è gestita bene. Se sarà sempre gestita bene, affronterà tutte le eventuali peripezie”. Non funziona perché i contesti di business stanno cambiando ed è quasi certo che uno stile gestionale che funziona oggi non funzionerà in futuro.

Ma poi, il problema del futuro tira in ballo un nuovo “riferimento”: le imprese saranno “sane” nel futuro se rivoluzioneranno la loro identità strategica. A modo loro e con i tempi loro, ma dovranno rivoluzionarla inevitabilmente. Le imprese oggi sane che rimarranno uguali a se stesse (anche quelle che oggi producono rilevante cassa) continueranno ad essere sane solo per poco.

Allora il focus, sempre più attento, di un investitore dovrà concentrarsi sul progetto di futuro di una impresa, sul suo Business Plan. Un investitore dovrà imparare a valutarne la qualità. Per fare questo, però, gli investitori dovranno acquisire risorse cognitive di cui oggi non dispongono: le conoscenze e le metodologie di strategia d’impresa.
Ma non basta. Le imprese difficilmente potranno sviluppare Business Plan alti e forti da sole. Avranno bisogno anche loro di nuove risorse cognitive. Ma quali? Ovviamente sono le stesse risorse cognitive che devono utilizzare gli investitori per valutarli.

Il messaggio fondamentale agli investitori è, allora. il seguente.
Innanzitutto le imprese sane non ci sono: vanno costruite. Con un linguaggio più tecnico: non ha più senso andare a cercare asset class promettenti. Le asset class promettenti vanno costruite.

Se questa è la sfida, allora non basta fornire risorse finanziarie alle imprese: occorre, prima fornire loro conoscenze e metodologie di strategia d’impresa per definire Business Plan alti e forti. E, poi, occorre che queste conoscenze vengano anche utilizzate in proprio dagli investitori.



sabato 21 marzo 2015

I Fattori di oggettiva ripresa economica (secondo Renzi)

lettera aperta al Presidente Renzi
di
Luciano Martinoli

Renzi parla di Europa e fa il fenomeno. Ma quel semestre italiano fu un flop

Invito al Panel della presentazione del 
IV Rapporto su Rating Progettuale dei Business Plan delle aziende dell’indice 
FTSE MIB di Borsa Italiana.
Milano 10 giugno 2015

Egregio Presidente,
Desideriamo invitarla all’evento in oggetto perché riteniamo sia di vitale importanza per un’azione efficace del governo che lei presiede in quanto fornisce una prospettiva troppo spesso dimenticata: quella delle singole attività delle aziende.

Recentemente Lei ha dichiarato che i cinque fattori di oggettiva ripresa economica sono per la quasi totalità sotto il controllo del governo. Mi consenta di aggiungerne un altro che costituisce le fondamenta, la base della piramide della società come è oggi, il primum grazie al quale gli altri fattori prendono senso: le attività correnti delle imprese e le loro intenzioni future.

Oggi le attuali attività delle aziende, non in tutte ma nella stragrande maggioranza dei casi, sono “povere”. La dimostrazione è la continua richiesta di supporti da parte loro: dal Jobs Act per le assunzioni agli interventi di finanza, ordinaria e straordinaria, reclamati a gran voce. 
Da questo punto di vista le do ragione quando, dopo il recente provvedimento sul lavoro, ha affermato che “le aziende adesso non hanno più scuse”. 

Infatti sono proprio “scuse” quelle che accampano perché la vera ragione del mancato sviluppo (che preferiamo rispetto a “ripresa”) è l’incapacità da parte di tante (troppe!) aziende di creare quella ricchezza di cui erano state capaci in passato. E questo non per motivazioni esterne ad esse ma perché i prodotti e servizi che offrono stanno perdendo sempre più di significato e interesse.

Le imprese hanno bisogno di una rivoluzione strategica della loro identità e dei loro sistemi d’offerta. Solo così si ristabilirà quell’equilibrio della società liberista, se vogliamo ancora questa, per la quale sono le aziende che creano la ricchezza sociale e mantengono lo Stato, non viceversa.

Da dove partire allora?

venerdì 20 marzo 2015

Senza senso, retorica pura

di
Francesco Zanotti


Riporto una frase letta sul Sole 24 Ore ed attribuita a Emma Marcegaglia:
“Persone (sta riferendosi agli innovatori) capaci di vivere in una nuova dimensione, quella del futuro, combinando in modo creativo tutti i diversi momenti del proprio percorso formativo per proiettarli in una dimensione tecnologica e globale capace di creare valore in ogni contesto.”.
Il titolo dell’articolo è: Il futuro è degli innovatori
A me sembra proprio che sia una frase senza senso che combina solo parole di moda.
Qualche esempio.
“Combinare i diversi momenti del proprio percorso formativo” cosa significa? Che devo mettere insieme le mie esperienze dall'asilo all'Università? In che modo?
Poi questa cosa che esce dal mettere insieme la devo proiettare in una dimensione “tecnologica”. Ma cosa significa “proiettare”. E che cosa è questa dimensione tecnologica che viene citata?
Realmente non capisco. Certo non eleggo una strategia di innovazione.

Lo stile dell’articolo mi ricorda un’antica pubblicità di un dentifricio “Con quella bocca può dire quello che vuole”. Ma è, appunto, una pubblicità antica.
Oggi dobbiamo piantarla di considerare sensato ed autorevole tutto quello che viene pronunciato dalle “persone che contano”. Perché sempre più spesso è retorica senza senso.


lunedì 16 marzo 2015

Ma quale ripresa!

di
Francesco Zanotti


Rischia che mi venga l’invidia verso i complottisti. Almeno loro una progettualità sistemica la ritrovano, sia pure in disegni oscuri, ma complessivi di una qualche oscura intelligenza.
Purtroppo non sono complottista. E vedo nelle classi dirigenti solo banalità, con qualche desiderio di autorappresentazione.
Oggi tutti dichiarano che finalmente la ripresa è arrivata. Ma con che coraggio parliamo di ripresa? Innanzitutto, stiamo parlando di qualche incerto “zerovirgola”, che, certamente, non ha senso statistico perché sta dentro l’errore sistematico del processo di misura dei dati. Poi, e più importante, è una ripresina fantasma che dipende da una contingenza di fattori del tutto esogeni e certamente non duraturi.
Quando questa contingenza sparirà (proprio perché è contingente) ricadremo nella più cupa disperazione?
Io penso, invece, che la ripresa sarà solo la somma delle progettualità di imprese che si doteranno di progetti di sviluppo (Business Plan) alti e forti. Una somma che porterà a costruire una nuova società. Niente di meno potrà generare non una ripresa ma, appunto, una nuova società.
Se le cose stanno così, allora dove stia la banalità diventa evidente: si spera di far tornare il passato riformando (anche se non si è d’accordo sul come) lo Stato e lasciando così come sono le imprese.
Mi si permetta un paragone. E’ come avere atleti spompati e pensare che diventino campioni solo cambiando la scarpette che usano. Occorre una nuova generazione di atleti a cui ovviamente dovremo dare le scarpette migliori. Ma, prima, nuovi atleti: nuove imprese, le imprese attuali rivoluzionate, imprese capaci di costruire una nuova società.


venerdì 13 marzo 2015

A cosa servono le banche?

di
Francesco Zanotti


Vi siete mai chiesti a cosa servono le banche?
La risposta classica è: servono a raccogliere il risparmio e fornirlo alle imprese che lo devono “moltiplicare” per remunerare il servizio delle banche e i risparmiatori. E per garantire le risorse che servono a tenere in piedi lo Stato.
Le banche garantiscono anche prestiti personali, ma questo ha senso se le imprese funzionano, altrimenti questi prestiti personali non saranno restituiti.
Orbene, oggi il mestiere precedentemente descritto rischia di perdere di senso.
Meglio: acquista senso solo se ad esso se ne aggiunge un altro …
Più in dettaglio, per svolgere il loro mestiere tradizionale e non fare un casino d’inferno le banche devono scegliere le “imprese buone”.
Ma vi sono due problemi.
Il primo è che le banche non devono scegliere le imprese che sono buone oggi, ma quelle che saranno buone domani. E non hanno alcuno strumento per compiere questa selezione.
Il secondo è che saranno poche le imprese che da sole riusciranno a essere o diventare buone domani. Hanno bisogno di nuove conoscenze e metodologie di strategia d’impresa perché possano sviluppare quei Business Plan alti e forti che, soli, potranno garantire loro di essere “buone domani”.
Allora, il mestiere della banca (il fornire denaro) ha senso solo se, accanto ad esso, se ne aggiungere un altro: fornire alle imprese (e dotarsene loro banche per prime) conoscenze e metodologie di strategia d’impresa.
Insomma il mestiere del fare banca deve cambiare profondamente perché non basta fornire soldi, ma occorre anche fornire conoscenza.



lunedì 9 marzo 2015

Falso in bilancio o povertà in Business Plan?

di
Francesco Zanotti


Il falso in bilancio è oggi argomento di dibattito. Prevalgono gli accenti politici (serve a colpire il mio nemico politico?) o giustizialisti (finalmente i cattivi privilegiati la pagano), ma è giusto che se ne parli.
Occorrerebbe, però, perché è molto più grave, parlare anche di un altro “reato”: la povertà in Business Plan.
“Reato” solo etico perché sarebbe follia pensare davvero di usare la leva penale per stimolare la creazione di Business plan alti e forti. Ma reato gravissimo. Disporre di un Business Plan burocratico o non averne punto è la via migliore (in una società in rivoluzionario cambiamento) per tarpare le ali al futuro.
Anche una impresa disastrata può essere rimessa in piedi. Ma una impresa che dice, implicitamente o esplicitamente, di voler rimanere ancorata al suo passato, certamente non avrà futuro.
Se, poi, l’impresa è grande e importante ad avere Business Plan banali, allora il danno non è solo verso gli azionisti, ma verso tutta la collettività. Se, infine, l’impresa è quotata, allora si tratta di una vera e propria “truffa etica”. Davvero non facciamo intervenire il penale, ma gli azionisti dovrebbero smetterla di pagare stipendi alti e forti a manager che sanno produrre solo Business Plan banali e debolissimi.



giovedì 5 marzo 2015

Veneto Banca: crediti valutati con rigore?

di
Francesco Zanotti


Sul Sole 24 Ore di qualche giorno fatto è riportata una dichiarazione di Veneto Banca che professava la sua convinzione di aver valutato con rigore i crediti.
Questa affermazione non può essere condivisa. Sarebbe come dire che si è valutato con rigore la stabilità di un palazzo guardandolo e basta. Non basta! Occorre fare misure precise e usare algoritmi adatti.
Nel caso dei crediti delle imprese la situazione è ancora più delicata.
Per valutare i crediti di un’impresa occorre riuscire a capire quale sarà la sua capacità di generare cassa nel futuro. Per fare questa valutazione occorre saper valutare la qualità del documento dove è “scritta” la strategia dell’impresa che quella che determinerà la sua capacità di generare cassa nel futuro: il Business Plan.
Più sinteticamente, per valutare i crediti di una impresa, occorre riuscire ad assegnare un Rating ai loro Business Plan.

Cosa che Veneto Banca non ha fatto. Quindi, come fa ad affermare che ha valutato il credito con rigore?

domenica 1 marzo 2015

Concorrenza e competizione: che confusione!

di
Francesco Zanotti


Quando si parla di utilities e professioni: si usa la parola concorrenza. Occorre introdurre più concorrenza. Si veda l’articolo di fondo di Giavazzi ed Alesina oggi sul Corriere che accusano Renzi di mancanza di coraggio perché non introduce abbastanza concorrenza.
Quando si parla di imprese, si usa la parola competizione. Occorre diventare competitivi per affrontare la competizione.
Mettendo insieme, l’ideologia che ne scaturisce è questa: il mercato è caratterizzato dalla competizione che costringe le imprese a migliorarsi continuamente. Le imprese (immaginando soprattutto quelle industriali) subiscono la competizione. I servizi e le professioni cercano di evitare la fatica di competere.
Il Governo ha come obiettivo quello di mantenere viva la competizione perché è da essa che nasce il meglio.
Ideologia banale e, quindi, negativa.
Il mercato è caratterizzato da mille opportunità di rivoluzione. Le imprese che hanno successo in termini di qualità dell’offerta e di generazione di cassa sono quelle che avviano rivoluzioni, dove ovviamente non hanno concorrenti. Appena la competizione appare, sia la qualità che la produzione di cassa diminuiscono e le imprese finiscono per considerarsi istituzioni. Cioè, hanno come obiettivo quello di essere trattare come utilities e notai.
Questo significa che il Governo dovrebbe spingere le imprese a costruire nuovi mondi.
E per utilities e professioni? E se costringiamo utilities e notai a competere? Accade la stessa cosa!
Ma è giusto che utilities e servizi notarili mantengano monopoli istituzionali? Se sono proprietà di privati, ovviamente no! Ma, mi si può obiettare, se sono proprietà del pubblico diventano carrozzoni. La mia risposta: questo accade perché, come anche la Pubblica Amministrazione, sono gestite con criteri dirigistici, manageriali o burocratici che siano.
E generalizziamo al tema dei Commons. Essi non possono essere delegati ai privati, ma neanche a élite manageriali o burocratiche che siano. Devono essere gestiti attraverso una riprogettazione sociale continua …

Ok … è un post troppo sintetico. Ma forse proprio così acquista una capacità di scatenare quel dibattito che solo permette di approfondire queste idee.