"Se gli uomini non nutrono un ideale in un mondo migliore perdono qualcosa.
L'umanità non potrebbe funzionare senza le grandi speranze, le passioni assolute."
Eric J. Hobsbawm

mercoledì 25 novembre 2015

Veneto Banca: i debiti che diventano “capitale”

di
Francesco Zanotti

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Veneto Banca ha emesso un prestito obbligazionario di 200 milioni con un rendimento del 10,50 % (Sole 24 Ore del 25 novembre 2015).
A cosa è servito il prestito? A far si che il suo Total Capital Ratio aumentasse di 80 punti base. Al di là dei discorsi tecnici, alla fine il senso della cosa è: la Banca aumenta i suoi debiti così è più sicura. Ora, quante imprese vorrebbero vedersi aumentare il merito di credito ogni volta che aumentano i loro debiti? Sarebbe una pacchia.
Il mondo della banche come mondo alla rovescia?
Credo che occorrerebbe cambiare nella seguente direzione.
Ad esempio chiedendo a Veneto Banca: “Cara Veneto Banca, per comprare le tue obbligazioni (a proposito, ma perché sei così generosa nei rendimenti?) mi dici qual è il tuo Progetto Strategico in base al quale produrrai l’utile sufficiente a pagare il 10,50 % e restituire il capitale? Convincimi che è un Progetto Strategico alto e forte. Non è che il tuo obiettivo di aumentare di 80 punti base una cosa che non so cosa sia mi emozioni granché. Mi piacerebbe, ad esempio, che i miei soldi fossero indirizzato a costruire un nuovo modo di fare banca. Certo se mi vieni a dire che il tuo Progetto Strategico è buttare fuori gente, non mi invogli per nulla.

Mi piacerebbe anche che mi convincessi che, d’ora in poi, riuscirai a non accumulare tante sofferenze con in passato. E, magari, anche mi assicurassi che non farai più operazioni discutibili come farti carico della Banca Popolare di Intra. Sai perché ti chiedo tutte queste cose? Perché dai primo gennaio, se fai stupidate, pago io”.

martedì 24 novembre 2015

Credito di filiera … ma …

di
Francesco Zanotti

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Non voglio fare nomi. Non citerò neppure l’articolo dal quale ho preso queste informazioni e dichiarazioni perché l’obiettivo non è fare polemiche con qualcuno. Commenterò solo informazioni e dichiarazioni.

Una informazione: sono stati erogati “crediti di filiera” ai fornitori strategici di imprese “affidabii” alle stesse condizioni che le banche fanno a queste imprese “madri”.
Nell’articolo si parla di  successo perché sono stati erogati crediti di filiera.
Il primo dubbio: il successo di un prestito si misura quando viene restituito, non quando viene erogato. Non ci vuole tanta abilità ad erogare un credito ed accettare un debito quando servono soldi.
Ecco, appunto servono soldi … ma per fare che?
Una dichiarazione: “Avevamo previsto di investire (ometto la cifra) per un nuovo impianto e in questo modo siamo riusciti a sfruttare il credito di filiera senza intaccare la liquidità aziendale, usata per aumentare i volumi.”.
Il secondo dubbio. Ma se servono soldi per aumentare i volumi significa che il produrre e vendere assorbe cassa. E questo a sua volta significa che si opera in un settore a bassa attrattività e si ha una posizione competitiva non fortissima. Se poi in questa condizione si vuole addirittura comprare un impianto significa che la cultura dei volumi ad ogni costo è bene radicata. 
In sintesi: l’impresa non saprà restituire il prestito, ma avrà bisogno di sempre maggiore liquidità.
Mi fermo qui.
E mi domando: ma come immaginiamo che si costruisca uno sviluppo sano quando le imprese stanno in piedi solo se non solo non sanno restituire i prestiti, ma li devono continuamente aumentare?


domenica 22 novembre 2015

Fallimenti, procedure di allerta e Business Plan

di
Francesco Zanotti

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E’ ovvio che è inutile chiudere le stalle quando i buoi sono fuggiti. Occorre cercare di capire la turbolenza dei buoi, la debolezza delle porte della stalla …
Leggo oggi sul Sole24Ore che lo schema di legge delega sulla riforma del diritto fallimentare sta per trovare la sua veste definitiva.
Uno dei temi chiave è costituto dalle procedure di allerta.
Esse sono certamente importanti per comprendere su nascere la crisi d’impresa. Ma cosa deve allertare?
A me sembra che, innanzitutto debba allertare la mancanza di un Business Plan: se l’impresa non ha un progetto di futuro come potrà sopravvivere in un mondo in drammatico cambiamento?
Secondariamente, occorre saper valutare la qualità di un Business Plan. Servono “Revisori strategici” che abbiano una metodologia di “Rating dei Business Plan”.
Post brevissimo, lapidario. Ma vuole stare scritto su di una pietra che segna la strada del futuro. Non su quella che racconta di un passato, pure glorioso, ma finito.


mercoledì 18 novembre 2015

Minibond per farci cosa?

di 
Luciano Martinoli


Il Corriere Economia del 9 novembre scorso ha pubblicato i risultati di una nostra ricerca sui primi minibond emessi a quasi un anno dall’utilizzo dei proventi incassati dall’emissione dei titoli.
Perdurando l’assenza del Business Plan, documento “principe” che dovrebbe  descrivere il progetto di sviluppo oggetto del minibond e di cui avevamo già rilevato la mancanza in una nostra prima ricerca, ci siamo concentrati sui documenti pubblicamente disponibili.
Lasciamo la descrizione del dettaglio dei risultati alla lettura dell’articolo. 
Al di là dei numeri, però, quale è la scoperta più significativa che abbiamo fatto?

martedì 17 novembre 2015

Quale è la differenza tra manager e imprenditore?

di
Francesco Zanotti

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Hanno due visioni del mondo e svolgono due attività completamente diverse.
L’imprenditore crede che sia possibile costruire mondi diversi dall’attuale e si impegna a farlo. Crea imprese, mercati e partecipa a creare società che prima non esistevano.
I manager invece gestiscono imprese, mercati e società esistenti. La cultura della competizione è una cultura manageriale, non imprenditoriale.
I manager vengono dopo. Dopo che gli imprenditori hanno creato imprese, mercati e società, tocca ai manager portarli a maturazione.
E a un certo punto, però, i manager devono lasciare. Perché imprese, mercati e società invecchiano e perdono di senso. Insistere sulla cultura del funzionamento e della competizione accelera il processo di perdita di senso e impedisce di vedere le potenzialità di creare nuove imprese, mercati e società.
Oggi a chi tocca? Oggi tocca di nuovo agli imprenditori, come nel dopoguerra. Le imprese, i mercati e il modello di società creati in quegli anni stanno perdendo di senso. La crisi è frutto del non prendere atto di questa perdita di senso e insistere in miglioramenti nel funzionamento di sistemi (imprese, mercati e società) che hanno perso di senso.
Ovviamente con “imprese” intendo tutte le imprese: da quelle industriali a quelle di servizio, banche in testa.
Particolarmente difficile è il caso della banca, settore in cui l’azione imprenditoriale non si è mai sviluppata. Anche gli “imprenditori” che hanno preso in mano qualche banca, l’hanno fatto con il più puro (ma modesto) agire manageriale.



sabato 14 novembre 2015

Bail-in: quando una banca è sicura?

di
Francesco Zanotti

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Non potevamo non affrontare subito il tema …
Per valutare se una banca è sicura o meno, tutti oggi si limitano a guardare il patrimonio. Certo che è importante, ma non è sufficiente. I patrimoni si possono anche dilapidare rapidamente. Soprattutto se sono esigui rispetto agli impieghi che oggi vengono affrontati come se fossero un gioco d’azzardo. Dico questo perché gli attuali sistemi di rating sono aritmeticamente sbagliati e valutativamente insignificanti. Pronto a un dibattito all’americana o a una contesa alla moda medievale su questa affermazione.
Cosa occorre considerare lo suggerisce la BCE: guardate ai loro Business Plan. La BCE nel suo SREP (Supervisory Review and Evaluation Process) per prima chiede e guarda quelli, come ha già informato Luca Davi sul Sole 24 Ore del 30 giugno 2015.

E come si valutano i Business Plan? Applicando la metodologia di Rating dei Business Plan che noi da quattro anni usiamo per assegnare un Rating ai Business Plan delle Società degli Indici FTSE Mib e Italia Star di Borsa Italiana. Ovviamente abbiamo assegnato i Rating anche alle Banche quotate.

E, poi, applicando alcuni macro criteri di valutazione semplici. Cito solo il primo: la Banca enuncia esuberi? Bene, allora è a rischio.  Significa che non è in grado di costruire uno sviluppo alto e forte, ma gioca in difesa. E giocare in difesa in un ambiente in drammatico cambiamento (oggi non si può che usare questa parola http://balbettantipoietici.blogspot.it/2015/11/parigi-13-novembre-2015.html ), la difesa (cioè una strategia di conservazione) è certamente perdente.
Ancora, non conosco un caso in cui una riduzione di personale abbia generato uno sviluppo alto e forte e non solo una stentata sopravvivenza nel breve. Una riduzione del personale serve solo a generare quella successiva, come proprio il sistema bancario insegna.


venerdì 13 novembre 2015

Banche. Che sindacati ed azionisti si ribellino!

di
Francesco Zanotti

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Gli esuberi nel settore bancario vengono “venduti” dai vertici delle banche come inevitabili.
Non è vero! Sono solo frutto dell’atteggiamento strategico e del tipo di strategia che essi hanno scelto.
Sarebbero possibili atteggiamenti strategici, prima, e strategie, poi, che aumentano sul breve e di molto l’occupazione e gli stipendi. Aumentando anche contemporaneamente, sia sul breve che sul lungo, il valore per gli azionisti.
I sindacati e gli azionisti devo chiedere conto del perché ci si ostina a seguire strategie perdenti per tutti.
Quale atteggiamento strategico, quali strategie alternative e molto più feconde sono possibili?
Innanzitutto un atteggiamento imprenditoriale: l’ambiente lo creano le imprese. Le organizzazioni come le banche che lo subiscono non sono imprese, ma istituzioni.
Poi, la scelta strategica di fornire alle imprese conoscenze e metodologie d’impresa per aumentare la loro capacità di generare cassa. E anche la scelta di usare le stesse conoscenze per rilanciare le imprese in sofferenza e non sbolognarle a qualche bad bank. Per realizzare queste strategie dovrebbero aumentare l’occupazione, ma aumenterebbe anche contemporaneamente il valore prodotto. Che potrebbe essere distribuito tra gli azionisti e il rafforzamento patrimoniale,
Stiamo predisponendo un documento dove spieghiamo tutto questo nei dettagli. Organizzeremo un grande dibattito sull’atteggiamento e le scelte strategiche delle banche. Perché cambino e velocemente per costruire un nuovo sviluppo che non sia lo sviluppo di pochi (poi anche effimero) al costo della miseria (duratura e dura) di molti.


lunedì 9 novembre 2015

La "forza" (mancante) che spinge l'economia

Il caso Pesenti

di
Luciano Martinoli


Sul Corriere di oggi vi è un articolo a firma Giavazzi che parla degli "Steccati da demolire (subito)" per "consolidare la ripresa della nostra economia". Leggendolo si ha l'impressione che secondo l'autore, come è tipico di tutti gli economisti che si occupano di economia da 10.000 metri d'altezza e poco dal "basso" (vedere articolo Harvard Business review a tal proposito), le prestazioni economiche sono sì frutto delle prestazioni dei singoli attori, le aziende appunto, ma che non hanno "vita propria". Come se fossero tante palline, piccole o grandi, su un piano inclinato: scendono più o meno velocemente secondo gli ostacoli che trovano (da qui il titolo dell'articolo Corsera).
Purtroppo le cose non stanno proprio così!  

sabato 7 novembre 2015

Dove stanno andando le Banche?

...e dove invece potrebbero andare? 
L'evidenza di un paradosso
di
Luciano Martinoli



Si moltiplicano gli annunci e i segnali di prossimi massicci licenziamenti nel settore bancario nonostante vengano annunciati, nello stesso tempo, risultati positivi o progetti per migliorarli.
Un recente articolo di una rivista on line parla di 12.000 esuberi solo da parte di Unicredit, anche se per vendita di asset, ai quali si aggiungono i 1800 circa che salteranno fuori dal risiko delle popolari.
I sindacati poi hanno fatto una stima che dal 2000 ad oggi sono state prepensionate 48.000 persone e altri 20.000 esuberi sono previsti nei prossimi 5 anni. 
Quale è il significato strategico di questi dati e quali considerazioni possono essere fatte?