"Se gli uomini non nutrono un ideale in un mondo migliore perdono qualcosa.
L'umanità non potrebbe funzionare senza le grandi speranze, le passioni assolute."
Eric J. Hobsbawm

venerdì 29 maggio 2015

Intervista a Dott. Rosario Altieri, Presidente di AGCI

di
Luciano Martinoli


Pubblichiamo la seconda intervista a commento della lettera aperta al Dott. Valeri, da noi scritta e pubblicata sul nostro blog il 18 aprile scorso. Ovviamente, la nostra lettera non ha ricevuto risposta.
Il nostro obiettivo è quello di avviare un dibattito sul futuro del sistema bancario italiano e  sul suo ruolo sociale che sembra incerto e fumoso. Diciamo a ragion venduta perché stiamo assegnando, come ogni anno, un Rating ai Business Plan delle società FTSE Mib di borsa Italiana. Come tutti sanno in questo Indice sono inserite le banche più importanti. Il risultato che stiamo ottenendo è la “scoperta” che i Business Plan di queste banche stanno diventando sempre più conservativi. Sembra che la recente norma che costringe le Banche Popolari a diventare SpA abbia vieppiù distolto le stesse Banche dalla ricerca di innovazione profonda.
Speriamo che questo nostro dibattito stimoli una nuova riflessione strategica che produce Business Plan alti e forti invece che budget, sia pur professionalmente corretti.
L’intervista di oggi è quella al Dott. Rosario Altieri, Presidente di AGCI.

Altieri
Concordo perfettamente con la vostra analisi e rimango sorpreso che quelle dichiarazioni che avete commentato vengano da un esponente di una banca tedesca che, per quanto a mia conoscenza, è abituata a valutare, oltre alle garanzie reali, la credibilità dei progetti d’impresa.
Inoltre, dalle suddette dichiarazioni, si evidenzia una visione sufficientemente discutibile, che punta a supportare chi ha meno esigenze di liquidità e non invece le opportunità di crescita che derivano dalle giuste strategie imprenditoriali.
Un’impresa, ancorché capitalizzata, è destinata ad esaurire le sue riserve se non produce utili.
E sono anche molto d’accordo sul fatto che l’andamento imprenditoriale che genera utili ha prospettive di futuro, non banali preoccupazioni di sopravvivenza.

Martinoli
Come si pone allora l’AGCI in questo contesto? Cosa auspica?

Altieri
La nostra Associazione riunisce imprese, ma anche banche (di credito cooperativo), legate strutturalmente al territorio. La peculiarità cooperativa di coniugare capitale e lavoro ci “costringe” a collegarci all’attività imprenditoriale più che al patrimonio. Abbiamo provato in prima persona ad affrontare il nocciolo dell’attività bancaria avendo anche noi una nostra banca, la Banca AGCI S.p.A. Siamo riusciti in questa sfida tenendo conto delle esigenze delle imprese e, contemporaneamente, adottando cautela sull’uso delle risorse, contenendo i rischi ed i costi di struttura.

Martinoli
Allora avete trovato la “formula” per risolvere il paradosso della patrimonializzazione?

Altieri
Non abbiamo questa presunzione, ma siamo convinti di esserci sforzati a fare bene, coscienti che operando con cautela si può certamente fare meglio.
Tuttavia, il problema centrale è un altro, quello del rapporto banca-impresa. Vi è la necessità di un linguaggio comune, come ho recentemente sottolineato in occasione di una tavola rotonda al Salone del Risparmio, che si è tenuto qualche mese fa a Milano. Tale linguaggio, espressione di una nuova cultura, dovrebbe consentire di spostare il dibattito e l’attenzione dalle esigenze patrimoniali a quelle imprenditoriali.

Martinoli
A suo giudizio come dovrebbe avvenire questo cambiamento culturale che faccia scaturire questo nuovo linguaggio?

Altieri
Le banche fanno poco uso di esperti d’impresa e, d’altro canto, le imprese sono ancora legate ad un concetto di imprenditorialità non adeguato ai nostri tempi. Ci troviamo davanti ad un sistema imprenditoriale arretrato, che non tiene conto delle innovazioni, legato al ricambio generazionale indipendentemente dalle capacità delle nuove leve, non aperto a competenze e capacità che possano venire dall’esterno attraverso il management.

Martinoli
Mi consenta di approfondire la sua risposta nelle due componenti che ha identificato, la banca e l’impresa. Che tipo di esperti secondo lei mancano in banca?

Altieri
Sono d’accordo che lo strumento principe per valutare le esigenze imprenditoriali siano i Business Plan. Ma spesso gli uffici che abbiano queste competenze non sono sufficientemente strutturati, forse per gli ingenti costi da essi richiesti per cui anche le grandi banche risultano poco attente a questi aspetti, concentrando le loro strutture solo sulle grandissime operazioni. Si sono votate all’ottimizzazione del processo di raccolta-impieghi attraverso la ricerca di garanzie in solido e reali. Viceversa, le banche più piccole che risulterebbero, poi, più sensibili alle esigenze delle piccole e medie imprese, che tra l'altro rappresentano la quasi totalità del sistema imprenditoriale italiano, hanno oggettive difficoltà a dotarsi di uffici. Il risultato che ne deriva è la presenza di ostacoli sempre meno sormontabili da parte delle piccole imprese ad accedere al mercato del credito.

Martinoli
E le deficienze delle imprese?

Altieri
Oltre alla già accennata arretratezza, abbiamo un sistema troppo polverizzato del quale ho parlato nel rispondere alla domanda precedente: tutto ciò non aiuta a costruire successo e a prevenire le difficoltà prodotte  dall'evoluzione dei tempi. La competizione la vince chi previene il cambiamento, non chi lo segue quando è avvenuto ed è ormai visibile a tutti. Inoltre, vi è anche un terzo attore che non ha aiutato: la politica. È dagli anni ’70 che non esiste più in Italia una politica industriale che crei le condizioni per favorire delle scelte. L’andamento dell’economia italiana deve essere opportunamente guidato e monitorato per consentirle performance apprezzabili; essa non è soggetta ad un destino al quale non ci si può sottrarre.

Martinoli
Cosa pensa del nuovo attore che si affaccia al mercato del credito alle aziende: gli operatori non bancari del mercato dei capitali?

Altieri
Sono preoccupato, non vedo una classe imprenditoriale preparata alle nuove interlocuzioni ed ai nuovi strumenti che questi attori propongono. Si rischia di appesantire le aziende ed affossare un sistema che pure potrebbe essere positivo per il mondo delle PMI. È un’economia florida e solida che produce e distribuisce ricchezza in maniera equa. La mancanza di attenzione verso l’imprenditorialità ed i piani industriali fa correre il rischio di arricchire pochi, i finanzieri, e impoverire tanti, le imprese prima di altri, perché mentre prima vi era un peso equivalente tra lavoro e capitale, oggi non è più così a scapito del primo.

Martinoli
In questo scenario quali sono state le performance e le proposte del sistema cooperativistico?

Altieri
Dai dati Istat in nostro possesso fino al 2012, dunque nel periodo più acuto della crisi, il sistema cooperativo ha contribuito in misura significativa al PIL, passando dall’8% al 12%, che è in parte giustificato dal calo delle altre tipologie d’imprese oltre che dall'aumento dei valori assoluti dei fatturati. Si consideri altresì che l’incremento del valore della produzione e dell’occupazione è stato del 2%. C’è anche da dire che, per le sue caratteristiche strutturali (ovvero l’assenza della conflittualità capitale/lavoro), la Cooperazione è anticiclica. Dunque, a tal proposito, il modello cooperativo suggerisce una modalità di sviluppo più solida: la socializzazione dei vantaggi, e non solo delle perdite, come avvenuto finora con i salvataggi delle banche.

Martinoli
Dunque maggiore “responsabilità sociale”?

Altieri
Mi fa sorridere questo termine perché troppo spesso è riferito a banalità, come se non fare falsi in bilancio o non ingannare fosse da considerare una virtù e non soltanto un dovere compiuto. Queste sono caratteristiche che dovrebbero appartenere a qualsiasi impresa, non eccellenze da documentare o ricercare. L’azienda, per definizione, ha una “responsabilità sociale”, in difetto della quale non produce quegli utili, abbondanti e stabili, di cui si parlava nel post e che sono alla base di una economia florida.

Martinoli
Allora questa responsabilità è equivalente a quelle di business e dovrebbe far parte della progettazione dell’attività d’impresa, descritta nei Business Plan, al pari delle altre attività?

Altieri
Esattamente, il “progetto d’impresa” deve contenere tutte le dimensioni. Solo così le previsioni economiche e finanziarie potranno essere credibili e sostenibili.

Martinoli
Vi sono degli ambiti dove il modello cooperativo può generare delle profonde innovazioni sociali, e non essere semplicemente un “altro modo” di fare impresa?

Altieri
Sì. Sono profondamente convinto che, nel campo dei servizi pubblici di qualsiasi tipo, oggi deficitari sotto tutti i punti di vista, vi sia la possibilità, grazie alla cooperazione di “comunità”, addirittura di sostituire intere municipalizzate che si occupano di trasporti, rifiuti, servizi sociali, servizi finanziari, ecc. con grande beneficio di efficienza ed efficacia per tutti.

Ci si permetta di proporre anche un nostro commento conclusivo. Crediamo che oggi alle banche ed alle imprese manchino le risorse cognitive necessarie per affrontare il tema dei loro rapporti reciproci in un ottica di sviluppo.
I 350 miliardi a cui sono giunte le sofferenze non sono il portato inevitabile della crisi. Sono il frutto di incapacità valutativa (della banche) e progettuale (delle imprese). Si supera questo problema non mandando a casa i vecchi banchieri e imprenditori da parte di ambiziosi ignoranti. Ma fornendo alle vecchie e nuove generazioni di banchieri ed imprenditori nuove risorse cognitive che permettano alla imprese di disegnare Progetti di Sviluppo (Business Plan) alti e forti. Ed alle banche di saper valutare se e quanto questi Business Plan siano alti e forti. Le nuove risorse cognitive che servono sono le conoscenze e le metodologie di strategia d’impresa che oggi sono pressoché sconosciute.

giovedì 28 maggio 2015

Ma di che impresa è la strategia di cui si parla?

di
Francesco Zanotti

Ricopio dal Sole24ore di oggi un brano del resoconto che una giornalista (Laura Galvagni) fa della strategia di una grande impresa, appena annunciata. Provate a leggere il testo e cercate di capire di che impresa si tratta. O, almeno, in che settore opera.

L’impresa XY deve conoscere i bisogni del Cliente e per farlo deve incrementare il tasso di dialogo e di confronto … (è di ieri la notizia che il gruppo sta trattando in esclusiva per l’acquisto di My Drive Solution, società specializzata nella profilazione dei clienti). Ciò può avvenire solo a fronte di cruciali investimenti in tecnologia utili anche a disegnare un nuovo portafoglio prodotti che vada incontro alle esigenze del mercato e dell’azienda. Il Gruppo ha messo in agenda da qui al 2018 1,5 miliardi di investimenti. Spesa che intende finanziare grazie al rigore che continuerà ad imporre sui costi, sono previsti 250 milioni di euro di risparmi l’anno, e con il contributo della cassa che verrà prodotta. Cassa che maturerà anche grazie alla ristrutturazione del portafoglio prodotti”.

Scommetto che non siete riusciti a capire né l’impresa né il settore.
Infatti si tratta di una strategia così generica che (salvo l’ammontare degli investimenti) va bene anche per il ristorante che sta al piano terra del palazzo da cui sto scrivendo questo post.
Poi parliamo di una crisi che ha colpito noi persone di buona volontà. La nostra è una crisi di banalità. E’ la nostra banalità che genera noia e, quindi, appunto, la crisi.


mercoledì 27 maggio 2015

Considerazioni finali 2015: almeno su due cose non siamo d’accordo

di
Francesco Zanotti

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E sono due cose non banali.
La prima riguarda la ripresa. Il Governatore (insieme a quasi tutti, in realtà) sostiene che la nostra economia è come una tigre in gabbia. Se la liberiamo, tornerà a fare balzi felini.
Dove non siamo d’accordo? Sul fatto che la nostra economia sia una tigre in gabbia che freme per tornare a dominare la giungla. E’ solo un vecchio gattone che si aspetta di essere mantenuto.
La crisi non è generata dal Fato, ma da scarsa capacità progettuale. Dalla crisi si esce fornendo a imprenditori e manager conoscenze e strumenti metodologici che ne aumentino la capacità progettuale in modo da avviare una rivoluzione strategica nelle imprese che la porti a costruire ed offrire prodotti e servizi radicalmente nuovi. Poi facciamo pure le riforme. Ma quali? Se siamo così sicuri che le riforme ci salveranno dovremmo essere d’accordo su quali riforme. Ma non lo siamo. Ed allora come facciamo a dire che le riforme si salveranno?
La secondo riguarda le banche. Alle banche occorre fare lo stesso discorso che abbiamo fatto per le imprese. Se per le imprese è necessario riconoscere che la crisi non nasce da qualche malvagia divinità che si diverte a seminare il cammino del capitalismo di periodiche trappole, ma nasce dal basso: da strategia e pensieri conservativi, allora anche le sofferenze accumulate dalle banche nascono dalle stesse cause.
Più precisamente: da strumenti di valutazione del merito del credito che privilegiano il passato e non sanno guardare la futuro. sanno analizzare bilanci, ma non Business Plan.
Anche alle banche occorre fornire nuove conoscenze e strumenti metodologici per guardare al futuro.
Le conoscenze e le metodologie che occorre fornire a banche ed imprese sono costituite dalle conoscenze e dalle metodologie di strategia d’impresa.
In sintesi, forse anche riforme e bad bank. Ma soprattutto conoscenza. E prime di tutto alle classe dirigenti che sembrano anche loro grassi gattoni che vogliono essere mantenuti a spese di coloro che governano.


martedì 26 maggio 2015

Il nuovo testo unico per le crisi d’impresa

di
Francesco Zanotti

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Il Sole 24 Ore parla del nascente nuovo testo unico per le crisi d’impresa. E racconta dei suggerimenti dei giudici. Questi i suggerimenti per individuare con tempestività una crisi nascente: riguardano i conti del passato: mancati pagamenti dipendenti, IVA e contributi.

Forse sono importanti, ma secondo me non sono sufficienti. Occorre trovare “indicatori” che riguardino il futuro. L’indicatore principe è il Business Plan e la sua qualità. E quello che dice questo indicatore è semplice: nessuna impresa può sopravvivere in tempi di cambiamenti radicali senza disporre di Progetti di Sviluppo (Business Plan) alti e forti. E’ un indicatore che dovrebbero usare le banche acquisendo una capacità di valutazione dei Business Plan che oggi non hanno. La predisposizione di un Business Plan che rispetti standard di qualità internazionali dovrebbe essere un obbligo che la Consob impone alle imprese quotate.

venerdì 22 maggio 2015

La sfida della Banda Larga

di
Francesco Zanotti


La prima domanda da farsi è: qual è il ruolo della banda larga all'interno del Progetto di Sviluppo del nostro Paese?
E’ una domanda alla quale non vi è risposta perché il nostro Paese ha mille leggi di stabilità, ma non un Progetto di Sviluppo.
Allora costruire un progetto per la banda larga (o larghissima) è come fare un progetto di sviluppo di una certa tecnologia in una impresa senza sapere, poi, cosa se ne farà.
L’ipotesi da cui tutti partono è che è evidente a cosa serva la banda larga. E, poiché è evidente a cosa serve, occorre solo decidere chi la fa.
E qui si scatena la bagarre che abbiamo visto nei giorni scorsi.
Che fare di fronte alla bagarre?
La mia proposta è che tutti che vogliono in qualche modo impicciarsi di questo tema presentino un Business Plan della loro società con dentro il progetto Banda Larga.
Purtroppo su cosa sia un Business Plan e cosa debba contenere grande è la confusione sotto il sole. E la qualità dei Business Plan attualmente sviluppati dalle più importanti società italiane (salvo qualche eccezione) non è che sia così eclatante: non sono progetti di Sviluppo, ma Budget professionali di continuità.
Allora è necessario che questi Business Plan utilizzino il modello più avanzato possibile che nasce solo dall'utilizzo delle più avanzate conoscenze e metodologie di strategia d’impresa.


mercoledì 20 maggio 2015

Tuteliamoci dalle tutele

di
Francesco Zanotti


… forse potrà sembrare una cosa banale …
Ma ho appena ricevuto un invito ad un Convegno dove si racconterà della necessità di tutelare qualcosa .. quell'impresa, quel settore.
E’ possibile che una economia viva di tutele? Oppure di incentivi che sono una forma specifica di tutele?
Come se un negoziante aprisse ogni giorno la saracinesca e si aspettare che qualcuno lo tuteli … Come se un artista cercasse tutele e non la vera tutela che è la qualità della sua arte …
Ragazzi, gli spiriti liberi e forti non chiedono tutele. Le offrono a quelli che sono deboli e incerti.
La nostra economia.. Dobbiamo piantarla di imprenditori che sanno vivere solo di tutele. Abbiamo bisogno di imprenditori che generano nuovi mondi. E non chiedono di conservare quelli vecchi tutelandoli.


mercoledì 13 maggio 2015

L’Italia fa crescere Unicredit ????

di
Francesco Zanotti


Così titolava un articolo del Sole di oggi…
Mi scuserà il lettore se inizio questo post con una provocazione … Ma se è l’Italia che riparte (anche se non è vero) e questo genera la crescita di Unicredit (e di molte altre banche), che ruolo hanno i loro manager pagatissimi?
Qualunque manager si metta al posto loro otterrebbe gli stessi risultati.
Battuta, sì. Ma solo fino ad un certo punto.
Indica una mentalità: le banche (ma purtroppo anche troppe imprese) stanno ad attendere la ripresa. Imprese “imprenditoriali” e non burocrazie dovrebbero fare il contrario.
Quando si è scatenato il miracolo economico, si è fatto il contrario: sono le imprese che hanno creato l’Italia…
Dobbiamo tornare a pensare al modo degli imprenditori di allora. Ma oggi sembra tutto scoperto, mi si obietterà … Non manchiamo di nulla …
Non è vero: oggi le potenzialità di sviluppo sono più intense di allora.

Gli imprenditori, però, devono volerle vedere … 

martedì 12 maggio 2015

Il Presidente Consob e la quarta bolgia dantesca

di
Luciano Martinoli

...ché da le reni era tornato ’l volto, 
e in dietro venir li convenia, 
perché ’l veder dinanzi era lor tolto...

Nel XX canto della Divina Commedia, Dante incontra maghi ed indovini costretti a muoversi, in un pianto ininterrotto, lentamente in cerchio con il corpo deformato: la testa girata all'indietro perchè era loro vietato guardare avanti.
Leggendo l'articolo di oggi su ilsole24ore sull'intervento del Dott. Vegas a proposito della finanza delle PMI si ha una identica impressione: tutti costretti, per chissà quale colpa, a guardare all'indietro in quanto impossibilitati a guardare avanti. E lagnarsi in cerchio.

venerdì 8 maggio 2015

Dalla BCE soldi per fare e realizzare progetti strategici

di
Francesco Zanotti

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Tutti pensano un gran bene dei soldi che la BCE sta stampando e sta mettendo in circolazione. Tutti hanno paura che si fermino nella finanza e non vadano all'economia. Ma non basta che vadano all'economia. Certo, mi risponderà il lettore, devono andare, più specificatamente, agli investimenti. Ecco, neanche questo basta. Anche gli investimenti possono essere una bolla. Una bolla, ad esempio, di capannoni e di macchine che producono ed immagazzinano cose che non interessano più a nessuno.

Allora occorre che gli investimenti vadano nella progettazione e realizzazione di Business Plan alti e forti. Occorre che gli imprenditori dispongano delle risorse cognitive adatte per disegnare business Plan alti e forti. E gli investitori dispongano delle risorse cognitive adatte a capire se i Business Plan nei quali sono chiamati ad investire siano davvero alti e forti. A meno che qualche investitore voglia investire solo sulla solidità del passato. Ma questi sarebbero gli investitori che creerebbero quelle bolle produttive di cui ho appena detto.

martedì 5 maggio 2015

L’Opinione del Dott. Maurizio Barnabè Direttore Generale BCC Valdostana

A seguito della lettera aperta che ho inviato al Dott. Flavio Valeri Chief Country Officer Italy Deutsche Bank, pubblichiamo l’opinione del Dott. Maurizio Barnabè. (FZ)

Il mondo delle Banche di Credito Cooperativo, di prossima riforma da parte del Governo sostenuto da Banca d'Italia e come diretta conseguenza della riforma delle Banche Popolari, non ha mai contratto il credito, né per le famiglie né per le Imprese.

In questi anni di crisi è stato, come movimento nel suo complesso, l'unico "rubinetto" aperto così anche come riconosciuto da tutto il sistema e dalle principali istituzioni.

Di fatto però, almeno nella maggior parte dei casi, e la Valle d'Aosta non fa eccezione, anzi acuisce il fenomeno, la clientela tipica "imprenditoriale" è di piccola media dimensione, passando dall'azienda a conduzione famigliare, all'artigiano evoluto e all'azienda (PMI) più strutturata. Sicuro vantaggio, rispetto alla grandi banche, è stato per le BCC operare senza vincolo di rating sui crediti : la conoscenza territoriale del cliente, l'estrema vicinanza con lo stesso, il rapporto socio-mutualistico-cooperativo, hanno contribuito ad affrontare le erogazioni con maggiore elasticità rispetto al mercato legato invece all'analisi degli indici di bilancio di ogni azienda.

Oggi se guardiamo alle evidenze del mondo delle BCC in termini di % sulle sofferenze ( comunque ben al di sotto rispetto alla media di mercato, elemento che conferma un processo di qualità di erogazione del credito anche in assenza di rating rigidi), nonché al fatto che per la stragrande maggioranza i bilanci degli ultimi tre anni delle aziende tipiche clienti, non importa di che dimensioni, sono in negativo o in stretto pareggio, la valorizzazione delle idee, delle capacità degli imprenditori, del capitale dell'azienda stessa, risiede proprio nella redazione di piani industriali, business case o plan che dir si voglia, convincenti e credibili perché sostenibili e con un alto indice di probabilità di accadimento.
Finanziare il passato (bilanci) rispetto al futuro (BP) è affrontare in modo completamente diverso il concetto di ripresa nonché il ruolo che anche gli istituti di credito devono avere nei confronti dei propri clienti o, come nel nostro caso, dei nostri soci.

Sir Wiston Churchil , e personalmente lo associo proprio all'analisi di bilancio, diceva che "se il presente cerca di giudicare il passato perderà il futuro".

I dati di cosa è successo non sono dei dogmi, le garanzie, comprese quelle ipotecarie, hanno sempre minor valore nell'analisi del credito (il lavoro delle banche non è escutere garanzie... ma dar bene e con qualità il credito a chi se lo merita…non puntare a diventare immobiliaristi) rispetto alla capacità di generare flussi finanziari ed economici che sostengano progetti e che, per quanto possibile, ripaghino ed autofinanzino l'investimento stesso richiesto alla banca anche con una base di mezzi propri che per quanto possibile rafforzerà anche il patrimonio.

Tracciare una rotta in un BP che preveda anche più ipotesi (best, worst, normal) deve diventare l'ABC di chiunque abbia un'attività imprenditoriale, sia essa commerciale, turistica, di servizio, di produzione, non importa di che dimensione: essere imprenditori vuol dire sapere cosa fare, come farlo, in che contesto e in che tempi. Per far questo, se l'azienda non è pronta o non ha le capacità e le risorse, deve necessariamente farsi sostenere da chi questo lo fa per mestiere (consulenti strategici, commercialisti, fiscalisti, avvocati, …), con costi ragionevoli, ma soprattutto deve avere fin da subito una visione di sviluppo e di diversificazione, quindi una idea, sia per prodotto che per mercato cercando di sviluppare la giusta strategia in uno scenario competitivo sempre più complesso in cui i margini, sia economici che di errore, si sono ridotti e in cui la tattica diventa la necessaria messa a terra di una strategia che non deve essere pindarica o semplicemente autocelebrativa.

La Banca deve ricevere e seguire con il proprio cliente, i suoi consulenti, il rispetto del piano ed aiutare ed intervenire, anche suggerendo, azioni correttive sia ex post ma anche ex ante proprio per mantenere la natura organica del BP che come strumento deve essere costantemente non una "palla di cristallo" ma una vera e propria bussola sul proprio business in cui la "mappa non è il territorio". Il BP è uno strumento che non è scritto nella pietra ma deve trovare continuo confronto nei risultati attesi, ecco eprchè tanto maggiore sarà il grado di dettaglio tanto migliore sarà l’analisi dei fenomeni e degli scostamenti di rotta. Il BP deve diventare per quanto possibile uno standard, forse anche giuridicamente vincolante in alcuni casi, perché, di fatto, concretizza il valore delle idee imprenditoriali di chi chiede credito senza azioni di brand marketing piuttosto che di mera “politica imprenditoriale” ma con l'unico fine di far capire, anche alla banca di supporto, come si genera valore stabile nel tempo, valore che ritroveremo tanto dei flussi che nel patrimonio che nel capitale.

Già gli Antichi dicevano che per ogni opera, il BP del passato, sono necessari tre elementi: saggezza nelle idee, forza nel sostenerle, bellezza nel realizzarle (intesa come equilibrio). Dal buon senso quindi passiamo a strumenti concreti che analizzino per ogni azienda il valore attuale e prospettico della stessa rendendoli "necessari" e standardizzati per tutti così come lo sono i Bilanci.

Maurizio Barnabè
Direttore Generale BCC Valdostana

Per consultare una scheda sui dati fondamentali del Bilancio 2014, clicca qui.


venerdì 1 maggio 2015

Le cause della crisi: discorso serio e semiserio sulla noia

di
Francesco Zanotti


Il sistema delle imprese, nella società industriale, ha avuto come mission (ovviamente individuabile solo oggi, ex post, una mission emergente) quella di soddisfare le esigenze “igieniche” (cioè di sopravvivenza materiale) di grandi masse di popolazione. Impresa compiuta, almeno nelle società occidentali. Ma l’aver avuto successo sta generando l’esigenza di qualcosa di nuovo, sia nelle società occidentali e sia nel resto del mondo.
Come a dire che l’attuale sistema delle imprese sta esaurendo la sua funzione storica.
L’indicatore fondamentale con cui misurare l’intensità di questo fenomeno di degenerazione è la noia.
La noia, come preconizzava Moravia, è forse il sentimento più tipico della fase avanzata della società industriale … Specularmente, la perdita della capacità di suscitare stupore è il problema del nostro sistema imprenditoriale perché genera la noia dei … clienti ...
Fino a qui il discorso “serio”. Ma aggiungo anche un discorso “semiserio”, ma brillante.
Un post che dà un sapore specifico della noia che si sta opprimendo e che purtroppo sta generando la tragedia della crisi. Un post semiserio (perché tratta di un mondo frivolo per definizione: la moda), ma che diventa sempre più serio a mano a mano che lo si legge, perchè è una bella conferma della gravità del problema della noia.
Ecco il link

Conclusione, dobbiamo riuscire a fare emergere una nuova generazione di imprenditori che è capace di rigenerare stupore per una nuova società.