"Se gli uomini non nutrono un ideale in un mondo migliore perdono qualcosa.
L'umanità non potrebbe funzionare senza le grandi speranze, le passioni assolute."
Eric J. Hobsbawm

venerdì 25 settembre 2015

Queste aziende servono ancora alla collettività?

(o la collettività serve a loro?)
di 
Luciano Martinoli



Il caso Volkswagen è oramai noto a tutti. Ritengo allora utile rivederlo da una prospettiva "sistemica" a partire dalle notizie riportate dal Corsera di oggi su vari suoi aspetti. Lo scopo è quello di cercare una risposta alla domanda su formulata. 
E' una domanda legittima che sorge spontanea sempre più frequentemente, purtroppo con la stessa aumentata frequenza di notizie di questo tipo (ad esempio, in casa nostra, l'annuncio di un importante aumento della profittabilità di un gruppo bancario e la contemporanea decisione di tagliare 10.000 posti di lavoro).

giovedì 24 settembre 2015

Giovanni (Agnelli) chiede soldi a Enzo (Ferrari)

di
Francesco Zanotti

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Dichiaro che non conosco l’operazione nei dettagli. Ma mi fido del risultato finale descritto da Laura Galvagni sul Sole 24 Ore di oggi (pag. 37): Ferrari avrà 1,9 Mld di debiti. Ma la Ferrari non produce cassa? Sì, ma sta depositata nelle casse FIAT (così la Galvani). E, con questa operazione, è destinata a rimanerci in quelle casse.
Ricordo una scena della fiction della Rai su Ferrari.
Un giorno invernale a Torino. Due uomini seduti su una panchina di un parco innevato: Enzo Ferrari e suo figlio Piero. Ferrari era reduce da un colloquio con l’Avvocato a cui aveva finalmente deciso, dopo lungo corteggiamento, di vendere la sua azienda, dopo il naufragio dell’accordo con la FORD. Enzo e Piero stavano mangiando al freddo un panino. E Piero: “Ma papà, l’Avvocato non ti ha invitato a pranzo?”. Si ha risposto Enzo, ma io preferisco … qui.”.

Chissà cosa avrebbe pensato Enzo se avesse potuto immaginare che un giorno Giovanni (i suoi eredi) avrebbero utilizzato i soldi prodotti dalla sua Ferrari per sopravvivere. Il panino gli sarebbe andato per traverso.

martedì 22 settembre 2015

Minibond. Per non buttare i soldi: cassa e posizionamento strategico

di
Francesco Zanotti

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Come già scritto, in questi giorni stiamo studiando come “stanno andando” i primi minibond emessi.
La logica di valutazione è quella che dovrebbero avere tutti gli investitori che usano soldi altrui. Cioè, quasi tutti. La seguente.
La capacità di generare cassa nel fare il suo mestiere è la prestazione chiave di una impresa.
Allora, essi dovrebbero, innanzitutto, misurare questa capacità.

La capacità di generare cassa di una impresa avviene a livello di Unità di Business.
Quindi servirebbe una descrizione precisa delle Unità di Business, disponendo di un metodo avanzato di descrizione che non si riduca ad esempio, alle combinazioni prodotto/mercato la cui significatività è già stata contestata da Abel nei primi anni ’80.
E, poi, servirebbe un conto economico a livello di Unità di Business.

Purtroppo, nella documentazione pubblica disponibile, non c’è mai né l’una (una definizione avanzata delle Unità di Business), né l’altro (un conto economico strutturato per Unità di Business).

Poi sarebbe necessario capire se le azioni che l’impresa chiede di finanziare serviranno ad aumentare e di quanto la sua capacità di generare cassa.

venerdì 18 settembre 2015

E se fosse colpa dell’economia reale e non della finanza?

di
Francesco Zanotti
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La conferma di questa convinzione mi è venuta leggendo un trafiletto sul Sole24Ore di oggi.
Cito dal trafiletto “Un segnale (il fatto che la FED non ha aumentato il costo del denaro) che potrebbe spingere gli investitori che hanno puntato sull’azionariato USA sulla spinta della ripresa a preferire altre asset class meno legate alle fluttuazioni del ciclo economico.”.
Ragioniamoci sopra. Ma se le imprese generassero utili abbondanti non pensate che i finanziari investirebbero nei capitali delle imprese? E perché oggi le imprese non producono utili? Perché la loro identità strategica è invecchiata e non hanno progetti di sviluppo strategico (Business Plan) alti e forti.
Vogliamo rivoluzionare la logica dei mercati finanziari? Inondiamoli di Progetti di Sviluppo alti e forti.
Sì, lo so! I finanzieri non capiscono nulla di strategia d’impresa. Ma, dopo tutto non per colpa: nessuno ha mai detto loro neanche che esiste una disciplina che si chiama strategia d’impresa.
Non capiscono nulla di strategia d’impresa, ma possiamo insegnare loro questa disciplina e renderli capaci di apprezzare Business Plan alti e forti.
Non capiscono nulla di strategia d’impresa, ma tonti non sono. Quando si accorgeranno che esistono imprese che generano rilevanti utili perché hanno realizzato Progetti di sviluppo alti e forti, allora in quelle investiranno.
Se così è, allora, al fatto che i finanzieri si siano abituati a inventarsi titoli su cui investire non sono estranee le imprese. Invece di disegnare progetti di Sviluppo alti e forti si sono ridotte a piagnucolare sulla crisi e a chiedere aiuti di Stato per sopravvivere.


domenica 13 settembre 2015

Non facciamo retorica sugli imprenditori …

di
Francesco Zanotti

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.. ma facciamo scienza!
Oggi tutti sono felici (e a regione) per le due ragazze tenniste che hanno sbaragliato gli “Open” USA. Merito a loro ed alla organizzazione (famiglie comprese) che le hanno sostenute.
Ma non facciamone retorica imprenditoriale.
Oggi sul Sole24Ore Alessandro Merli (Un mix di qualità ed estro: così riparte l’economia) credo si lasci scivolare verso questa deriva. Soprattutto nella parte conclusiva.
Inneggia alla concorrenza tra le ragazze come fattore di successo.
E conclude che il made in Italy ce la può fare, ma solo con il talento, il sacrificio e il duro lavoro di Flavia e Roberta.
Attenzione, la concorrenza, intendendo questa parola in senso tecnico, è la sciocca metafora proposta da un furbetto del Management che si chiama M. Porter e che dai primi anni ’90 quasi tutti gli studi di strategia d’impresa stanno dimostrando non solo semplicistica, ma anche dannosa. Essa porta sempre a una competizione di prezzo che distrugge la capacità di generare cassa delle imprese. Un imprenditore che genera cassa non vince una competizione, ma produce e vende cose che non hanno concorrenti. Quando appaiono i concorrenti significa quello che fa non è più nuovo. E se non riesce a inventarsi ancora qualcosa di nuovo, ma accetta di competere, allora finisce nel buco nero della competizione di prezzo.
A meno che non si allarghi il concetto di competizione alla “naturale” predisposizione degli esseri umani a superarsi. Ma questa “naturalità” vale oggi solo per attività semplici come lo sport. L’arte non è mai competizione. Qualche volta gli artisti litigano come comari, ma i loro capolavori non sono mai in competizione. Sono “manufatti” che arricchiscono tutti insieme, cooperativamente, mi viene da dire, la Storia umana. Semplificando: non è che il “Canto notturno di un pastore errante dell’Asia” si metta in competizione con che ne so … con “I Sepolcri” con l’obiettivo che nei licei se ne legga uno solo.
Torniamo all’imprenditore. Ecco, il fare imprese che generano cassa è come costruire opere d’arte. Il problema della crisi è che gli imprenditori hanno smesso di fare opere d’arte. Si abbarbicano al passato nella folle speranza di poter competere. E le imprese non producono più cassa.
Ma allora si torna alla esortazione di Merli: qualità ed estro.
No, è necessario scoprire come è possibile far sì che i nostri imprenditori ritornino a costruire imprese opera d’arte e chi decide di investire nelle imprese sappia riconoscere le opere d’arte.
E la ricetta è semplice: occorre fornire loro nuove risorse cognitive. Esse sono come un linguaggio nuovo che può permettere agli imprenditori di poter poetare. Quali sono queste risorse cognitive? Sono le conoscenze e le metodologie di strategia d’impresa e la nuova scienza che sta emergendo dalla crisi delle scienze classiche.


giovedì 10 settembre 2015

Come vanno i primi minibond?

di
Francesco Zanotti

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Ci siamo chiesti: ma come stanno andando le imprese che hanno emesso i primi minibond?
La domanda è legittima e la risposta significativa perché dalle prime emissioni sono oramai passati due anni che corrispondono a circa al 30/40 % della durata del prestito obbligazionario per queste stesse prime emissioni.
Poniamo la domanda in modo più concreto: le imprese che hanno emesso i minibond stanno aumentando la loro capacità di generare cassa in modo da riuscire a rimborsare i minibond nei tempi necessari?
Diciamo “stanno aumentando” perché l’obiettivo dell’emissione non era il mantenimento in vita di quelle imprese, ma il loro sviluppo.
I soldi sarebbero dovuti servire per fare delle “cose” che le avrebbero portate a produrre tanti soldi abbastanza (almeno) da riuscire a rimborsare il prestito.
Allora la domanda diventa: oggi, che le imprese devono aver fatto buona parte delle cose che hanno detto sarebbero servite al loro sviluppo, si stanno vedendo i frutti della fatica (delle imprese) e dell’investimento (dei sottoscrittori)?

Per cercare di rispondere a questa domanda, stiamo usando solo dati pubblici. Essi sono costituiti dai bilanci pubblicati. Non sono disponibili i Business Plan che hanno convinto i sottoscrittori di minibond a mettere mano al portafoglio. Certamente i sottoscrittori saranno in grado, disponendo dei Business Plan di fare meglio il punto di quanto accaduto e capire se il futuro permetterà alle imprese di rimborsare loro il prestito obbligazionario…
I primi risultati sono molto preoccupanti. Nei primi due anni le azioni svolte dalle imprese che hanno emesso minibond non sono state in grado di aumentare significativamente la loro capacità di generare cassa.
Saranno decisivi i prossimi anni. Ma quello che faranno le imprese nei prossimi anni dovrà essere realmente molto eclatante. Dovranno essere in grado di generare un improvviso e rilevantissimo aumento della loro capacità di generare cassa. Ci piacerebbe vedere i Business Plan in mano ai sottoscrittori … Ma detto questo ci viene in mente una domanda ancora più drammatica: questi Business Plan esistono? E se non esistono, i sottoscrittori su cosa si sono basati per decidere l’investimento? E come fanno oggi a decidere come sta andando il loro investimento?

Ci piacerebbe generalizzare il discorso alle ristrutturazioni del debito. E vedere non tanto quante promesse sono state disattese, ma la qualità di questa promesse. La qualità dei Business Plan su cui si è basata la decisione di ristrutturare il debito.


giovedì 3 settembre 2015

Stiamo uscendo dalla crisi grazie a uno 0,3%? A conferma dei dubbi…

di
Francesco Zanotti
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Oggi in una intervista al Corriere, Giuseppe Pisauro, Presidente dell’Ufficio Parlamentare del Bilancio, rivela che “A determinare la variazione del PIL, alla fine è la ricostituzione delle scorte. Cresciute moltissimo, da parte delle imprese".
L amia domanda di ieri (ma l’aumento del PIL significa un aumento della cassa prodotta) la riposta è chiara: no!
Non si sa neanche se vi sarà un aumento del fatturato.
Di certo, però, vi sarà un aumento dell’indebitamento delle imprese. Ed un aumento del rischio delle banche.

Non si può chiamare crescita un aumento dei debiti …

mercoledì 2 settembre 2015

Stiamo uscendo dalla crisi grazie a uno 0,3%?

di
Francesco Zanotti

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Il Governo afferma che l’aumento evidenziato dall’Istat del PIL sta ad indicare che “L’Italia sta ripartendo”.
E’ vero?
Per rispondere a questa domanda bisognerebbe innanzitutto discutere della precisione dei dati disponibili, della loro coerenza temporale etc. Il poter distinguere tra decimali (cioè affermare che 0,3 è significativamente diverso da zero) richiede strumenti e processi di misurazione molto accurati. Ma lascio questo tema alla discussione degli esperti.

Poi bisogna ricordare cosa contiene il PIL. La formula è PIL = C + G + I +X – M.
Tra le cose che formano il PIL vi è, ad esempio, anche “G” che è la Spesa dello Stato. Proprio quella che vorremmo diminuire. La domanda è: quale di queste voci ha contribuito all’aumento dello 0,3 % del PIL. Fa molta differenza se l’aumento dipende da una voce o dall’altra.

Ancora, bisogna capire se abbiamo qualche merito in questo aumento del PIL. Soprattutto se c’entrano e perché dovrebbero c’entrarci a breve (infatti stiamo parlando di una variazione a breve e discutiamo delle cause di questa variazione a breve) riforme come la riforma istituzionale. Il Presidente di Confindustria Squinzi sostiene esplicitamente che l’aumento del PIL non è merito nostro, ma del calo del prezzo del petrolio, della svalutazione dell’Euro rispetto al Dollaro e dal QE della BCE. Se è vero, cosa accadrà quando questi fattori cambieranno? Mica possiamo giocare il nostro futuro, ad esempio, sul fatto che l’Euro continui a svalutarsi.

Da ultimo, ma secondo me più importante: all’aumento di fatturato delle imprese (se è questa effettivamente la voce del PIL che è aumentata) corrisponde un aumento della capacità di generare cassa delle imprese? Se così non è, ad un aumento del PIL corrisponde un aumento dell’indebitamento. Se guardate alle condizioni di pagamento con le quali vengono vendute, ad esempio, le auto che sembra abbiano dato un grande contributo all’aumento del PIL di cui stiamo discutendo, non si tarda a riconoscere che questo modo di vendere (cioè di generare PIL)  peggiora la generazione di cassa del produttore. Purtroppo non vi sono dati sulla produzione di cassa.
Quindi?
Quindi, proviamo a cercare di capire come sta andando la varabile che, da sempre, ha fatto la differenza: la qualità della progettualità strategica delle nostre imprese. Essa va mediamente malissimo. Una delle più rilevanti conferme di questa affermazione la si ottiene guardando ai rating che abbiamo assegnato alle imprese più importanti del nostro Paese: le Società dell’Indice FTSE Mib di Borsa Italiana. Rating desolanti: invece di progettualità.

Se la progettualità strategica va malissimo, significa che nessuno sta progettando un nuovo futuro, ma si spera di uscire dalla crisi con un ritorno del mondo al passato. Follia, anche non desiderabile.