"Se gli uomini non nutrono un ideale in un mondo migliore perdono qualcosa.
L'umanità non potrebbe funzionare senza le grandi speranze, le passioni assolute."
Eric J. Hobsbawm

giovedì 31 gennaio 2013

Il "mistero" di Richard Ginori

di
Luciano Martinoli

Potrebbe essere un bel titolo per un giallo che tratta di un caso dell'ispettore Maigret o Sherlock Homes. Purtroppo è una tragedia reale, un fallimento che investe un'azienda eccellente e conosciuta in tutto il mondo. Ma allora perchè è un mistero? 
Semplicemente perchè nessuno sembra aver capito i motivi di questo fallimento. Mi sono formato tale convizione sentendo e leggendo due dei tanti servizi giornalistici pubblicati sulla vicenda: un articolo e videoservizio del Corsera del 23 gennaio e una trasmissione radiofonica di Radio3 interamente dedicata alla vicenda da parte della rubrica "Tutta la città ne parla" dell'8 gennaio. Dall'ascolto di esse, ma anche dalla lettura dei numerosi articoli sulla vicenda, non ne vengono fuori nemmeno due opinioni concordi sulle cause del disastro. Perchè?

lunedì 28 gennaio 2013

Classifiche dei CEO: solo capacità personali?

di
Luciano Martinoli

Harvard Business Review di Gennaio-Febbraio ha pubblicato la classifica dei 100 migliori CEO al mondo. Il prof. Finkelstein,della Tuck School of Business del Dartmouth College e autore del libro "Why smart executives fail", ha stilato invece quella dei peggiori 5. La lettura delle due, e degli articoli a commento, fa sorgere un dubbio davvero inquietante: il nostro destino è esclusivamente in mano ai “cavalieri bianchi”, o a quelli “neri”, che solo il caso può selezionare?
Oppure i “bravi” hanno solo avuto intuizione, e hanno messo in pratica, alcune “conoscenze” che, se rese disponibili a tutti, consentirebbero un salto di qualità generale nelle aziende? Quel salto di qualità, aziende che producono “cassa” in enorme abbondanza, che è l’unica ricetta radicale che può risolvere le cause profonde dello stato di crisi in cui versiamo?
Provo a spiegarmi con una metafora.

giovedì 24 gennaio 2013

Ma la conoscenza è importante o no?




Intervista a Eliano Lodesani
di Luciano Martinoli e Francesco Zanotti

Allarghiamo il pubblico degli interlocutori sul tema della conoscenza, questa volta (le interviste relative al tema dell’organizzazione sono disponibile sul blog Ettardi) più focalizzato su quella di strategia d’impresa, al mondo delle banche, uno dei più importanti stakeholder del sistema industriale. Lo facciamo con un interlocutore importante sia per la sua posizione nell’azienda, Intesa Sanpaolo, sia per la sua presenza sul territorio: il Dott. Eliano Lodesani, direttore regionale Veneto, Friuli, Trentino-Alto Adige.

Martinoli
Dottor Lodesani cosa ne pensa dell’uso parziale e “sbocconcellato” delle conoscenze di strategia d’impresa, linguaggio che dovrebbe essere chiave nella relazione banca-impresa, e della mappa che abbiamo costruito per identificarle e posizionarle tra di loro?

Lodesani
Penso che l’imprenditore a volte tema la possibilità di esplicitare il suo pensiero in termini strategici. Proprio recentemente ho avuto l’occasione di incontrare due di loro. Il primo alla mia domanda di come vedeva la sua azienda da qui a tre anni mi ha risposto che il suo obiettivo era quello di farla sopravvivere senza di lui. Nessun accenno alla crescita o ad altri parametri economici. Il secondo mi ha raccontato l’azienda come “sogno”. Riferimenti alle conseguenze reali di questo manco a parlarne. Di fronte a questo ritengo che la “dichiarazione strategica” sia una delle risorse che più manca nel mondo finanziario e industriale.

Zanotti
Vorrei chiarire quello che mi sembra un equivoco molto diffuso. Si parla di strategia tout court. Ma occorre essere più precisi. Esiste il “fare strategia” che si concretizza in un business plan. Ed esiste quel corpo di conoscenze che viene definito “strategia d’impresa” che costituiscono gli “strumenti” per fare strategia.
Abbiamo condotto una ricerca sullo stato dell’arte delle conoscenze e delle metodologie di strategia d’impresa e le abbiamo ordinate in una mappa. Ragionando su questa mappa, innanzitutto abbiamo verificato che solo una piccola parte di esse viene usata nella prassi corrente del fare strategia. Non solo dagli imprenditori delle nostre PMI, ma anche dalle aziende più grandi, come dimostra una nostra ricerca sui Business Plan delle società del FTESE MIB 40 della Borsa italiana. E poi abbiamo verificato che le conoscenze e le metodologie di strategia d’impresa oggi disponibili sono necessarie, ma non sufficienti. Abbiamo allora cercato di colmare questo gap tra il necessario e il disponibile ed abbiamo sviluppato un modello ideale di Business Plan ed una metodologia di processo per utilizzarlo.

Lodesani
Quello che mi presentate è qualcosa di più articolato e con maggiore significato di ciò che comunemente si intende per “business plan”. Io lo chiamerei “piano strategico”.

Zanotti
Sono d’accordo, anche se ciò non toglie che questo tipo di strumento sia fondamentale per consentire all’imprenditore di esprimere la sua volontà strategica che troppo spesso, proprio per mancanza di linguaggio, non riesce ad esplicitare.

Lodesani
Certamente. Ma, credo, anche se forse questa mia convinzione le potrà sembrare paradossale, che le banche siano l’interlocutore meno adatto a recepire la vostra proposta che è un vero e proprio nuovo sistema di rating. Non perché non sia utile, ma perché la banca deve essere anche attenta alle indicazioni di Organi di Controllo e Vigilanza che la portano a ragionare su diversi assi, tra cui il capitale assorbito e di rischio. Credo che la vostra proposta dovrebbe essere presentata direttamente alle imprese. Più concretamente a Confindustria. So che sta lavorando ad un progetto simile di “rating d’impresa” da integrare a quello bancario per trovare una “mediazione” tra i due.

Martinoli
Non pensa però che il problema del dialogo con l’impresa sia legato più che a differenza di strumenti, a differenze nella visione del mondo? A me sembra che, mediamente, le banche abbiano una visione “classica” del mondo: il mondo esiste e ci si deve adattare. E l’imprenditore ne abbia, invece, una visione “quantistica”: il mondo è da costruire?


Lodesani
Sono d’accordo con lei sulla necessità di “costruire il mondo”: basta parlare di crisi, bisogna iniziare a costruire un nuovo sviluppo. E per costruire un nuovo sviluppo sono necessari nuovi paradigmi. Mi permetta di ricordare una mia esperienza passata nella quale a noi giovani bancari con l’ambizione di diventare banchieri venivano presentati proprio tutti quei nuovi paradigmi che hanno messo in discussione la visione classica del mondo. Solo per citarne uno: la teoria dei sistemi autopoietici di Maturana e Varela.

Martinoli
Un problema di cultura allora.

Lodesani
Penso proprio di sì ed è proprio questo però che fa la differenza, nelle aziende, tra un bravo manager e un grande manager. E in questo frangente penso che abbiamo bisogno soprattutto di questi ultimi.



mercoledì 23 gennaio 2013

Cambiamo prospettiva …


di
Francesco Zanotti


Oggi tutti sembrano aspettare soluzioni dall'alto  le riforme. Sostanzialmente dello Stato. Se cambia la burocrazia, ad esempio, ci sarà la ripresa del sistema industriale con tutto quello che ne consegue.
Mi viene da dire: campa cavallo …
E peggio: supponiamo che il cavallo campi fino a che non si faranno tutte le riforme che servono. Ma a quel tempo (ma lontano quanto?) che tipo di ripresa ci sarà? Di che entità? Sarà sufficiente? E sufficiente per cosa? Nessuno di coloro che propongono le riforme come panacea fornisce la benché minima risposta a queste domande. Allora il cavallo deve sfiancarsi a campare e non sa né fino a quando né per cosa?

Proviamo ad invertire il corso dei pensieri.
Cominciamo a dire di che tipo di ripresa abbiamo bisogno.
Abbiamo bisogno che, a livello di impresa, i flussi di cassa aumentino, in tempi ragionevoli, in modo tale da:

permettere non solo una sostenibilità, ma anche una diminuzione progressiva dell’indebitamento,
permettere una remunerazione crescente del capitale,
implicare un rilevante aumento in quantità e permettere un altrettanto aumento in qualità della occupazione.

venerdì 18 gennaio 2013

Consulenza: solo "Temporary Management"?

(ovvero: la conseguente solitudine del capo)
di
Luciano Martinoli

Sul numero di Dicembre 2012 di Harvard Business Review Italia vi è un rapporto speciale sulla consulenza manageriale. Leggendo le interviste alle aziende committenti viene spontanea una affermazione: ma stanno parlando di Temporary Management"!
Infatti le proposte, e le richieste (e qui è difficile capire se nasca prima l'uovo o la gallina!) sono in un'ottica di sostituzione del management: ciò che dovrebbe essere fatto all' interno viene comprato da fuori. Come se ad un certo punto della "Partita" aziendale entrasse un uomo nuovo. Questa impressione è definitivamente confermata poi dal modello di pricing richiesto e offerto: la "success fee", il compenso a risultato. Proprio come un manager che, se non proprio tutto lo stipendio, ha un riconoscimento extra "a risultato".
Come farebbe un Amministratore Delegato, o un Imprenditore, ad accettare una logica di questo tipo? Ad ammettere che lui è "sostituibile" nella sua funzione di pianificazione strategica e, conseguentemente, indirizzo operativo?
E infatti...

mercoledì 16 gennaio 2013

L’imprenditore, il mare e un tram affollato


di
Francesco Zanotti


Fare impresa nel terzo millennio deve significare andare al di là di competitività, qualità ed efficienza che sono valori noiosi ed un po’ ipocriti.
Occorre vivere imprenditorialità, praticare progettualità e costruire significato!
Prima di spiegare questa tesi, eccovi come un poeta a cavallo tra ‘800 e ‘900 descriveva senza saperlo l’azione imprenditoriale.

Viandante son le tue orme
la via, e nulla più;
viandante, non c’è via,
la via si fa con l’andare.
Con l’andare si fa la via
e nel voltare indietro la vista
si vede il sentiero che mai
si tornerà a calcare.
Viandante, non c’è via
ma scie nel mare.
(Antonio Machado)

Ed ora veniamo alla prosa.
Oggi la prosa racconta di un perdersi dell’imprenditorialità …
Racconta di una competizione che trasforma il mare in un vecchio autobus sgangherato.

L’imprenditore che cammina per il mare non compete!

Ogni imprenditore si sente un navigatore solitario di mari inesplorati. Che osa l’inosabile. Che trascina l’organizzazione verso l’inosabile e che davvero costruisce la sua via che neppure lui mai più tornerà a calcare!

Nei mari inesplorati non si incontrano i chioschi della grattachecca. E non si incontrano neppure i concorrenti. Altrimenti sono inesplorati solo per gli imprenditori della domenica che durante la settimana fanno l’impiegato al catasto.
Quando, dopo la guerra, è stato creato il sistema industriale italiano gli imprenditori hanno trasformato le macerie delle bombe in un mare immenso dove tutti costruivano nuove rotte…

Ma oggi è costretto a sgomitare sul tram dei pendolari…

E’ affascinante guardare gli altri veleggiare liberi e avventurosi per il mare. Viene voglia di tentare anche noi. Ma solo un po’!
Correre per nuove rotte si rischiano secche, scogli e brutti incontri. Ed allora è meglio percorre vie già battute…
Ecco che il mare, lungo le rotte battute, è andato affollandosi! Guardandosi intorno l’imprenditore non vede più le onde, ma altri imprenditori. Che diventano sempre più numerosi. Tutti hanno lo stesso problema: il fatto che ci siano gli altri. Per non soccombere tutti cercano di farsi largo con lo stesso sgomitare: qualità, efficienza e flessibilità. I più deboli vengono calpestati, ma i più forti si trovano a combattersi sempre più duramente. Menando botte da orbi, gli imprenditori si sono arenati tutti insieme sul bagnasciuga.
Dalle caravelle di Colombo al tram dei pendolari che si contendono, sudati e puzzolenti, i sedili ed i finestrini. Ad aumentare la confusione sul tram è salito anche il venditore della grattachecca che pure lui ha abbandonato le onde di un mare che è tornato ad essere infinito, ma che nessuno percorre più.

Ed oggi veramente sgomita molto

C’è chi è più oppresso, chi ha trovato posto vicino ad un finestrino. Ma anche lui sente il puzzo di tutti e rischia che l’insistente venditore di grattachecca gliela versi sui pantaloni. Mentre il mare è sempre là fuori: da guardare e non navigare… Oggi vi sono anche dolci sirene che promettono paradisi fantastici.

Chi ha trasformato il mare nel tram costringendo il navigatore a competere?

Se i colpevoli che ammassano gli imprenditori nel tram della competizione sono la crisi, la globalizzazione o simili macro trend, allora non ci possiamo fare nulla.
Se non invocare la clemenza di Giove Pluvio o maledire il governo ladro che, insieme a Giove, è l’altro colpevole della pioggia, della fanghiglia…che ci aspetta caso mai il tram si dovesse fermare…


La competizione si fa con l’andare, cioè con il competere!
Una volta il mare era davvero infinito, poi è stato trasformato in uno stagno…
Il periodo in cui è nato il sistema industriale italiano è stato completamente dimenticato!
In quel periodo gli imprenditori sono riusciti in una grande opera di ricostruzione perché avevano proposte imprenditoriali forti. Il frigorifero, ad esempio. Era un prodotto che rappresentava non certo una innovazione tecnologica, ma molto di più: una nuova civiltà!
Era una innovazione esistenziale: di quelle che costano cuore e speranza, ma non soldi!
Poi abbiamo perso il coraggio del futuro. Abbiamo abbandonato le innovazioni esistenziali e ci siamo rifugiati nelle innovazioni tecnologiche. Alle quali non riusciamo a dare significato.
Il risultato è che ci troviamo con prodotti sempre più banali che, per poter essere venduti devono costare sempre meno.

Dobbiamo davvero smetterla di competere.

martedì 8 gennaio 2013

I maghi miopi e il futuro da creare

di
Luciano Martinoli
l.martinoli@cse-crescendo.com

Come ogni inizio di anno, tutti i giornali pubblicano articoli di prospettiva e previsione sull'andamento dei dodici mesi che ci aspettano. Con l'uscita del 3 gennaio 2013 anche il settimanale "L'Espresso" si è cimentato in questo esercizio pubblicando tra gli altri, nella sezione economica, un articolo sul risparmio dal titolo "Borsa delle mie brame". E' il risultato di un sondaggio, tra gli esperti di finanza e di economia, sui titoli e le attività mobiliari, italiane e non, su cui puntare. Il primo consiglio è su quattro "blue chip" del listino milanese: Enel, Terna, Snam, Generali, Intesa SanPaolo.
Perchè?