"Se gli uomini non nutrono un ideale in un mondo migliore perdono qualcosa.
L'umanità non potrebbe funzionare senza le grandi speranze, le passioni assolute."
Eric J. Hobsbawm

venerdì 28 marzo 2014

Star Conference: quali sono le prospettive future di queste aziende?

di
Luciano Martinoli


Si è tenuta il 25 e 26 Marzo presso Palazzo Mezzanotte la conferenza di presentazione delle aziende quotate nell’indice Star della Borsa di Milano. Lo scopo della conferenza era, citando le parole degli stessi organizzatori:
… offrire agli analisti e agli investitori italiani e internazionali l’opportunità di fare il punto sui risultati raggiunti e sulle prospettive future delle piccole e medie imprese italiane che rappresentano l'eccellenza del tessuto imprenditoriale italiano.

Non erano presenti tutte le 68 aziende dell’indice STAR alle sessioni di presentazioni pubbliche e quindi il campione può non essere significativo. 
Dalle presentazioni pubbliche alle quali abbiamo assistito, come CSE Crescendo, ci è sorto spontaneo e legittimo il quesito sulle prospettive future in quanto queste non erano chiaramente esplicitate. 

venerdì 21 marzo 2014

Quando il legislatore è "avanti": le reti d'impresa

di 
Luciano Martinoli

La "Rete d'Impresa" è un contratto che consente alle imprese di mettere in comune delle attività e delle risorse allo scopo di "accrescere individualmente e collettivamente la propria capacità innovativa e competitiva sul mercato". Sono disponibili su vari siti svariati e pregevoli e-book che illustrano, anche nel dettaglio, le modalità operative e le ragioni per costituire una "Rete d'impresa" (a titolo di esempio vi segnalo questo).
L'intento del legislatore dunque non era certo quello di fornire uno strumento per prepararsi al peggio, come evoca la vignetta, ma, viceversa, costituire un contesto, a partire dalla rete, più prospero per le aziende partecipanti e, di conseguenza, per tutto l'indotto esistente o che si andrebbe a costituire. Uno strumento di sviluppo, dunque, non di conservazione. Tale intendimento è espresso chiaramente nella disciplina legislativa che, in uno specifico articolo, specifica chiaramente a proposito dei contenuti minimi del contratto, l'obbligo di:

...esplicitare gli obiettivi strategici di innovazione e dell'innalzamento delle capacità competitive dei partecipanti e le modalità concordate tra gli stessi per misurare l’avanzamento verso tali obiettivi.

Va da se che per scongiurare il rischio che tali obiettivi rimangano mere esortazioni retoriche, essi devono contribuire al miglioramento delle prestazioni economiche finanziarie future (prime fra tutte i flussi di cassa) dei singoli partecipanti, che dunque dovrebbero essere esplicitate.
Cosa accade nella pratica?

giovedì 20 marzo 2014

Elettrolux: quale piano?

di
Francesco Zanotti



La richiesta della politica è quella di “fare un piano industriale più adatto ai benefici” chiesti da Elettrolux. Poi come aggiunta, Zaia dice che c’entra in qualche modo anche la ricerca e sviluppo.
Così poste le cose, il futuro è chiarissimo: una negoziazione durissima riuscirà a far sì che l’impresa riesca a campare un po’. La ricerca e sviluppo di cui si parla è generica. Per avere senso si dovrebbe dire quale ricerca e sviluppo e come questa ricerca e sviluppo influirà sulla definizione del business e, quindi, sul posizionamento strategico (che non è il posizionamento competitivo).
Ecco, ma il discorso si fa tecnico …
E come diavolo altrimenti dovrebbe essere?
Esiste un patrimonio di risorse cognitive che è costituito dalle conoscenze e dalle metodologie di strategia d’impresa. Sonio le risorse cognitive che dovrebbero suggerire quali sono i contenuti che dovrebbe avere un piano industriale e come è necessario un Progetto Strategico che definisca il senso del Piano industriale.
Il problema è che nessuno degli attori coinvolti sembra avere la più pallida idea delle conoscenze e delle metodologie di strategia d’impresa.
Come prendere i primi cinque che passano per la strada e chiedere loro di progettare un sistema tecnologico avanzato senza disporre delle conoscenze scientifiche e tecnologiche necessarie. Auguri ai dipendenti dell’Elettrolux.


lunedì 17 marzo 2014

M. Porter: la fine di un mito …

di
Francesco Zanotti


In questo blog abbiamo sempre sostenuto che l’analisi competitiva di M. Porter è uno strumento superato. Forse non è mai stato attuale. Abbiamo sostenuto che il concetto stesso di competizione è fuorviante: porta a cercare i costruire un vantaggio competitivo sostenibile che è impossibile.
A supporto delle nostre tesi vi sono praticamente tutti più qualificati esperti di strategia, ma fino ad ora il discorso è rimasto tra specialisti.
Poi ho trovato un articolo di Forbes che parla del fallimento della società di consulenza di Poter. In quello stesso articolo sono riassunte anche le critiche che anche noi abbiano presentato.
Si sostiene tra l’altro che il successo della teoria della strategia competitiva è stato solo frutto di una brillante operazione di Relazioni Pubbliche che ci siamo “bevuti tutti” un po’ ingenuamente.
Ecco il link all'articolo.

La domanda è: quando la pianteremo di usare i linguaggi e gli schemi della competizione per progettare a valutare, tra gli altri, i piani di futuro delle imprese?

mercoledì 12 marzo 2014

Le banche non devono aspettare

di
Francesco Zanotti


Non devono aspettare una ripresa che venga da qualche iperuranio misterioso, non devono aspettare che il sistema paese diventi più competitivo, non devono aspettare che, di seguito e solo per questo, diventino più competitive le imprese.
Queste cose non accadranno mai!
La ripresa sarà solo la “somma” di mille e mille imprese che si doteranno di progetti di futuro alti e forti. La ripresa sarà solo frutto di progetti di futuro alti e forti.
Il problema è che oggi le imprese non sono in grado di generare questo tipo di progetti. Questo accade perché si è spento lo spirito imprenditoriale? No! Accade perché le imprese non hanno le risorse cognitive per fare progetti in una società complessa come la nostra. E non parlo solo delle PMI. Parlo anche delle grandi imprese. Di quelle che sono in grande crisi e di quelle che non lo sono perché possono comportarsi da istituzioni: riescono sempre a trovare chi compra i loro titoli di debito.

Se qualcuno non fornisce le risorse cognitive necessarie a manager e imprenditori è la fine. Le risorse cognitive necessarie sono le conoscenze e le metodologie di strategia d’impresa.

Chi le deve fornire alle imprese? Le grandi imprese se le possono procurare da sole. Speriamo che escano presto da una auto sufficienza cognitiva che non ha alcuna ragione di essere.
E per le PMI? Sarà compito di qualche manager buttato fuori da qualche grande impresa che si vuole rifare dello smacco subito e che non può ammettere di dover imparare?
No! Tocca alle banche. E lo sanno perché oramai hanno accettato che il rapporto banca-impresa non può che essere una alleanza solidale per lo sviluppo. Lo sanno, ma non dispongono delle conoscenze e delle metodologie di strategia d’impresa per, innanzitutto, renderle disponibili al sistema delle PMI. Poi per poter valutare i progetti e la realtà delle grandi imprese.

Speriamo che accettino di procurarsele. Noi faremo di tutto perché accada.

domenica 9 marzo 2014

Minibond: sempre e solo sopravvivenza

di
Francesco Zanotti


La nostra ricerca sui “Minibond” ha evidenziato la voglia di pura e semplice sopravvivenza delle imprese. Non abbiamo trovato progetti di Sviluppo “alti e forti”. Piuttosto richieste non esplicite, ma sostanziali, di aiuti.
A dare “man forte” alla rinuncia al futuro arriva anche la grande accademia. Leggo oggi sul Sole un articolo a firma di Silvio Bencini e Guido Tabellini sui minibond che è oggettivamente, anche se inconsapevolmente, un supporto alla cultura e alla prassi della pura sopravvivenza. Che non hanno nulla di alto e forte.
I nostri due Autori descrivono i minibond solo dal punto di vista “tecnico”: come strumento per fare arrivare soldi alle imprese.
Non vi è alcuna osservazione sul problema di fondo: ma che se ne fanno le imprese dei soldi? Vogliono finanziare un progetto di sviluppo o vogliono sopravvivere?
Perché questa ricercata, costruita, praticata cecità verso il futuro?
Per mancanza di conoscenza! La capacità di progettare il futuro dipende dal patrimonio di conoscenze di cui si dispone. In particolare delle conoscenze e metodologie di strategia d’impresa.
Se non buttiamo queste conoscenze nelle mani di imprenditori e finanzieri (e accademici, a quanto pare), non si accorgeranno neanche che stanno cercando disperatamente di far sopravvivere il passato.
Vi è una frase rivelatrice nell'articolo di Bencini e Tabellini “L’accesso al credito non bancario è un problema soprattutto per le piccole e medie imprese, di cui è difficile valutare il merito di credito.”
Signori, è difficile se non si dispongono delle conoscenze e delle metodologie di strategia d’impresa. Se si usassero queste conoscenze e metodologie, si saprebbe fare molto di più che valutare: banche e imprese potrebbero costruire insieme e, sempre insieme, continuamente aggiornare, il progetto di sviluppo dell’impresa (il suo Business Plan). Certo se di queste conoscenze non si dispone, allora diventa tutto complicato: il futuro è solo un allungamento del passato, merita il credito chi è andato bene nel passato, il problema è solo come far sopravvivere le imprese fino a che non sarà passata la crisi.
Purtroppo la crisi è frutto del cercare di bloccare il futuro, di non volerlo vedere. Lo sviluppo può essere solo figlio di progetti alti e forti che possono nascere solo se chi li deve immaginare dispone delle conoscenze e delle metodologie per farlo.


venerdì 7 marzo 2014

Da dove vengono le bolle …

di
Francesco Zanotti


Lo stimolo che ha fatto precipitare le mie riflessioni sul tema delle bolle è un articolo di Morya Longo sul Sole 24 Ore di oggi dove descrive il rally dei mercati finanziari concludendo con un commento scettico su una convinzione della Yellen “Non vedo  bolle nei principali asset finanziari”.
La paura che ogni vivacità dei mercati finanziari nasconda una bolla è il tema dell’articolo.
Per capire se la paura è fondata è, però, necessaria una teoria delle bolle.
Allora mi ci provo a proporla. Sono ovviamente, solo primi passi …
Utilizzo una teoria sistemica nota, ma mai usata (a quanto ne so) per spiegare le dinamiche dei mercati finanziari: la teoria dei sistemi auto-poietici.
Essa ci rivela che ogni sistema, che abbia confini definiti, si sviluppa seguendo una propria logica interna che non traspare all'esterno. A mano a mano che la crescita prosegue il sistema diventa sempre più incomprensibile all'esterno. Fino a che nessuno chiede conto al sistema del senso della sua identità, il sistema continua a crescere. Quando qualcuno chiede conto ... il senso del sistema esplode. La crescita del sistema si rivela una bolla vuota di senso.

Come usare questa teoria nel caso delle bolle?
Guardiamo al mondo delle obbligazioni aziendali. Oggi è un mercato chiuso, come tutti i mercati finanziari. Nel senso che il valore delle obbligazioni (come degli altri titoli) è determinato da logiche interne al mercato finanziario. Prevale la logica dell’analisi tecnica. Nessuno si preoccupa del “sottostante” del titolo, che è quello che gli dà senso: la capacità di generare cassa della società che ha emesso obbligazioni. Fino a che questa capacità non si perde, il valore delle obbligazioni può continuare a dipendere dalle logiche interne (domanda ed offerta) al mercato azionario. Quando la società perde la sua capacità di produrre cassa la gente comincia a farsi domande non più sul valore di mercato del titolo, ma sul valore reale del sottostante. Scoprendo che, mentre nel mercato obbligazionario si scambiavano titoli il cui valore era determinato dalla domanda e dall'offerta in quel mercato, il valore del sottostante stava sparendo. E si scopre che il re è nudo, che un bulbo di tulipano non può valere un palazzo, che le obbligazioni di quella grande azienda sono carta straccia.
Come prevenire le bolle?
Tornando ad una nuova analisi fondamentale. Investiamo nel vero valore del sottostante. Nel mercato obbligazionario: investiamo cercando di capire la capacità futura di generare cassa delle imprese che emettono obbligazioni. Questa futura capacità di generare cassa la si legge solo nei Business Plan delle imprese che emettono obbligazioni.
Quello che vale per il mercato dei bond aziendali, vale anche per gli altri tipi di mercato? Io penso di sì, ma sarà oggetto delle mie prossime ricerche.


martedì 4 marzo 2014

E' possibile uno sviluppo senza progetto? Il caso Minibond

di
Luciano Martinoli



Al 14 febbario 2014 erano presenti sul mercato Extramot PRO di Borsa Italiana 17 titoli di debito, emessi da 15 aziende italiane, per importi inferiori ai 25 milioni di euro. Escludendo le cambiali finanziarie e i titoli per importi maggiori, tipicamente emessi su altre borse europee e scambiati successivamente anche sul nostro mercato, si tratta dei primi "Minibond" emessi grazie alle normative che consentono alle aziende non quotate questo tipo di  indebitamento.
Come detto più volte, su questo blog e da varie fonti stampa, lo strumento è stato salutato come il primo vero mezzo non bancario per finanziare "sviluppo". 
Ma quale sviluppo? Cosa si intende per questa parola? Come queste 15 aziende hanno "progettato" il loro sviluppo (che dovrebbe, tra l'altro, consentirgli di onorare il debito contratto e pagare gli interessi)?

sabato 1 marzo 2014

Ma cosa deve contenere un Business Plan?

di
Francesco Zanotti



Cosa deve contenere un Business Plan per permettere ad un osservatore esterno di valutare se le risorse affidate all'impresa ne genereranno lo sviluppo e, quindi, conseguentemente e non accidentalmente, permetteranno alla stessa impresa di restituire prestito e remunerarne l‘utilizzo?
Innanzitutto vogliamo dire cosa non può essere. Non può essere la somma di una brochure aziendale e un insieme di fogli Excel che presentano numeri senza spiegare da dove provengono.
Il Business Plan deve concludersi con una previsione degli andamenti patrimoniali, economici e finanziari dell’impresa e devono essere giustificati dalla descrizione strategica che li precede.

Abbiamo, allora, costruito un modello di Business Plan di riferimento attraverso un progetto di ricerca che, innanzitutto, è andato a esplorare le conoscenze e le metodologie più avanzate, a livello internazionale, di quella area di conoscenza (oggi trascurata) che è la strategia d’impresa. E, poi, le ha integrate con gli strumenti di pensiero e di riflessione che nascono dalle scienze naturali ed umane e da quella area di conoscenza “trasversale” alle varie discipline che è la sistemica.

In brevissima sintesi, i risultati della nostra ricerca, cioè i contenuti fondamentali di un Business Plan ideale che possa permettere di arrivare a prevedere la capacità di produrre cassa a seguito dell’evento “Emissione di un Minibond”, sono i seguenti.
Innanzitutto, serve che la Società descriva il “mestiere” che fa. Più tecnicamente, descriva su quali e quante unità di business opera.
Una precisa descrizione delle unità di business permette di descrivere non burocraticamente (ad esempio attraverso la classificazione dei codici ATECO) l’industry specifica di ognuna delle unità di business.

Per ogni unità di business occorre definire l’attrattività dell’industry (quante sono le risorse potenzialmente generabili in quell’industry) e il posizionamento competitivo dell’impresa nella stessa industry che “misura” quante di quelle risorse andranno alla impresa autrice del Business Plan o, invece, ai concorrenti.

L’intreccio di attrattività e di posizionamento competitivo costituisce il posizionamento strategico attuale. E’ il posizionamento strategico che rivela l’attuale (per qualche mese nel futuro) capacità di generare fatturato, margini e cassa, a livello di singola unità di business.

Il futuro di riferimento non deve essere quello di pochi mesi, ma deve essere quello della durata del Minibond. Allora occorre che la Società descriva come evolverà, in quel lasso di tempo, il posizionamento strategico delle unità di business dove è impegnata. E’ l’evoluzione del posizionamento strategico che rivela come evolverà la capacità di generare fatturato, margini e cassa delle diverse unità di business.

Poiché l'evoluzione del posizionamento strategico non va subita, ma va costruita, è necessario esplicitare il Piano d’Azione attraverso il quale costruire il posizionamento strategico desiderato.

Disponendo delle previsioni di andamento di fatturato, margini e cassa a livello di singola unità di business, è possibile costruire una previsione a livello di Società, come portafoglio di business.

La Società emittente non vive nel vuoto. E’ immersa in un macro ambiente che deve dimostrare di conoscere, almeno nelle dimensioni che hanno a che fare con i “mestieri” (le unità di business) in cui è impegnata. Il racconto di come l’emittente vede il macro ambiente che la circonda è la vision. 
Se la sua vision è limitata, lo è altrettanto la sua capacità di vedere sia le potenzialità di futuro che i rischi nascenti (che sono spesso potenzialità di futuro non governate). E, conseguentemente, è a rischio la possibilità che il Business Plan si realizzi.

A completamente della vision, occorre esplicitare la mission. Che è la sintesi del significato delle diverse unità di business nell'ambiente descritto dalla vision. Possiamo dire che la vision è una “misura” dell’intensità dell’impegno verso un nuovo sviluppo dell’impresa.