"Se gli uomini non nutrono un ideale in un mondo migliore perdono qualcosa.
L'umanità non potrebbe funzionare senza le grandi speranze, le passioni assolute."
Eric J. Hobsbawm

giovedì 18 ottobre 2018

Non crollano solo i ponti (anche le aziende che li fanno)

di
Luciano Martinoli
luciano.martinoli@gmail.com


Il 12 maggio 2016 la società Astaldi presentava il suo piano industriale in un incontro con gli analisti. La reazione del "mercato" fu positiva al punto che il titolo in Borsa guadagnò in tre giorni il 18%.
Ebbi la possibilità di partecipare a quell'incontro e dalle presentazioni dei manager che si avvicendarono sul podio ebbi subito chiara la sensazione che non si trattava del progetto, ma di una rappresentazione del progetto i cui dettagli rimanevano oscuri, qualora ci fossero stati. Anche le domande degli analisti non riuscirono a scalfire questa vaga nebbiolina che non consentiva mettere a fuoco i dettagli col rischio di far dubitare che ci fossero.

Il mercato però ritenne quanto detto sufficiente a dare fiducia ad Astaldi. Io mi limitai ad un'analisi dei documenti, grazie al nostro modello, dal quale si evidenziavano tutte le debolezze del piano (il light unsoliceted rating di quel piano è disponibile qui. Inviato al presidente Paolo Astaldi, rimase senza risposta).
Riporto soltanto le conclusioni 
  • Tutti i parametri economici e finanziari rimangono nelle intenzioni dell’azienda senza ulteriore supporto strategico, lasciando la probabilità di realizzazione legata al contesto e alla continuità del settore e dell’azienda e non a precise volontà di Astaldi che non sono state puntualizzate.
  • Pur avendo voluto rimarcare un cambiamento strategico sono state solo accennate poche azioni relative ad un piano di Execution .
  • Non vi è presente nessuna indicazione sul processo di redazione del Business Plan (chi l’ha fatto, quanti hanno partecipato, come hanno partecipato, ecc.), variabile fondamentale per comprendere la Probabilità di Realizzazione del piano stesso.
  • La visione del mondo dell’azienda (Vision), cosa l’azienda vuole fare nel mondo che vede (Mission), quali risorse cognitive e strumenti sono stati utilizzati per la progettazione strategica non sono menzionati.
  • Non è stata data indicazione dell’esistenza di un documento che contiene il Business Plan (le slide illustrate e distribuite sono certamente la presentazione di un “progetto” e non il progetto stesso).
E' notizia di oggi il concordato per il salvataggio di quella che doveva essere, non più tardi di due anni e mezzo fa, un'azienda lanciata, a detta dei manager e d'accordo con il "mercato", verso magnifiche sorti e progressive.

Sarebbe troppo banale ricorrere alla sterile retorica del 'lo avevo detto' perchè qui la questione è più profonda e seria delle piccole, e inutili, soddisfazioni personali. Siamo di fronte all'ennesima dimostrazione di come anche nel caso del futuro delle aziende, come in quello del futuro dei ponti che anche Astaldi costruisce, tutto parte da un progetto di futuro. Se questo è fatto male, o non c'è, il futuro crolla nè più nè meno come crollano i ponti. 
Le perduranti carenze progettuali, più volte testimoniate da queste pagine virtuali, sembrano non interessare nè le aziende che costruiscono i loro futuri, i ponti, nè gli investitori che ci investono (anche) i nostri quattrini sopra, gli utenti che percorrono tali ponti.
I crolli non allarmano le altre aziende invitandole a correre ai ripari con progetti migliori, ma non scandalizzano nemmeno gli investitori, e gli stakeholder in generale (che pure ci passano sopra tali ponti) a fare pressioni perchè ci siano progetti degni di questo nome.
A quanti crolli, e soldi persi, dovremo ancora assistere prima che ci si degni di dare uno sguardo serio a tale dimensione progettuale?

sabato 11 agosto 2018

Francesco Zanotti: una visione fuori dal coro


di Cesare Sacerdoti
c.sacerdoti@cse-crescendo.com



Il pensiero di Francesco Zanotti, la sua intensa opera di ricerca, i suoi scritti riflettono a mio avviso le varie componenti della sua formazione: l’approccio pragmatico e disincantato dell’uomo nato nelle campagne pavesi, il rigore dell’ufficiale di artiglieria, la curiosità scientifica del laureato in fisica.
La fisica quantistica, la matematica, ma anche la biologia, la sociologia e le scienze umane in genere rientravano nella sua sfera di indagine, ma, nel contempo ne rifiutava il carattere dogmatico, perché, come era solito ricordare, le scienze sono modi diversi di raccontare la relazione uomo-ambiente (in senso lato). In quest’ottica, per lui, ogni scienza, ogni scoperta scientifica poteva contribuire a suggerire metafore di nuove forme di relazione uomo-ambiente.
Ed è proprio partendo da questa convinzione, che Zanotti, considerando chiusa l’età industriale, aveva cercato di dare vita a una grande occasione di incontro tra le scienze, le religioni, la politica e le istituzioni per fare emergere, tutti insieme, nuove forme di relazione delle organizzazioni umane siano esse l’uomo, la famiglia, l’impresa, la politica. Una sorta di nuove Macy conferences capaci di preconizzare il futuro
Professionalmente si era concentrato sull’impresa, della quale aveva analizzato a fondo le condizioni di origine, il ciclo di vita e le cause di degrado. Da un’attenta analisi dello stato dell’arte degli studi di strategia di impresa, è nata la convinzione della necessità di ulteriori passi: ecco la definizione di un innovativo modello di business, la creazione di una matrice del posizionamento strategico dell’impresa. E soprattutto sua la visione dell’azienda come artefice del proprio futuro capace di cogliere una delle “infinite potenzialità”, anziché essere “schiava” delle cosiddette leggi di mercato. Ecco allora che Francesco anticipava già anni fa la necessità di quello che è stato poi chiamato quantitative easing; ecco il rifiuto della “competitività” come elemento necessario e sufficiente per superare crisi di impresa; ecco l’intuizione di un rating del futuro del business plan, come valutazione del futuro dell’impresa, staccato dalla propria storia.
E dall’analisi della relazione uomo-ambiente anche le profonde innovazioni nel campo delle azioni per migliorare la sicurezza sul posto di lavoro, non riducibile al solo rispetto di procedure,  esaminando e facendo leva sulla cosiddetta organizzazione informale basata sulle relazioni tra le persone,  e sul bisogno di autorealizzazione di ciascuno.
E sugli stessi presupposti, Zanotti ha anche operato nella relazione tra grande impresa e stakeholder in particolare tra infrastrutture e cittadinanza, suggerendo approcci assolutamente innovativi.
Mi è impossibile rendere giustizia alla profondità, ma anche all’ampiezza del pensiero di Francesco Zanotti: riesco solo a dire che mi ha insegnato a prendere le distanze dai dogmi che ci vengono quotidianamente proposti e a comprendere che ciascuno di noi guarda il mondo attraverso le proprie risorse cognitive (ma anche che ciascuno di noi ha il dovere di migliorare e incrementare tali risorse cognitive).


mercoledì 8 agosto 2018

Lutto


Devo purtroppo comunicare, per chi l'avesse conosciuto di persona o solo letto le sue pubblicazioni, che Francesco Zanotti è deceduto improvvisamente l'altro ieri per un infarto. Scompare con lui un pensatore e commentatore, oltre che studioso, che ha proposto una prospettiva sulla economia, sulla società e sulla vita certamente originale di cui sarà difficile continuare l'opera. La sua dedizione agli  studi lo ha portato ad essere un solitario anche nella vita privata, dunque non lascia figli e mogli. Rimangono i suoi scritti e il ricordo in chi lo ha conosciuto.

sabato 24 marzo 2018

Il salto di qualità del caso Facebook (e non solo)

La peculiarità delle aziende della rete, e l'opacità che aleggia sul loro business, suggeriscono un approccio con tali soggetti che va al di là degli interventi regolatori, pur necessari.



In un articolo apparso sul sole24ore qualche giorno fa, si affronta la recente questione relativa a Facebook proponendo una prospettiva storica. Fin dagli albori della società industriale, infatti, era apparso chiaro che le aziende di successo, che crescevano sempre di più, creavano non solo prosperità per tutti ma costituivano anche una minaccia. Esse modificavano il contesto sociale e ambientale secondo le loro necessità e, grazie alle enormi disponibilità economiche, potevano influenzare addirittura il potere politico, modificando il governo della cosa pubblica a loro favore.

sabato 24 febbraio 2018

Il paradigma 20/80


Recenti dati confermano ciò che si sapeva da tempo: il 20% delle aziende produce l'80% dell'export e del valore industriale. E' una oggettività strutturale o è il caso che l'altro 80% delle aziende si decida a dare il suo contributo?

E' il sole24ore che fornisce un'analisi su questo dato di fatto, confermando e dando corpo a quanto il Presidente di Confindustria aveva già affermato qualche tempo fa ("c'è un 20% di aziende che va molto bene, un 20% molto male e un 60% nella terra di  mezzo" ) .
La sfida è senz'altro attenuare tale "bipolarizzazione", come afferma l'autore, aiutando le rimanenti 80% delle aziende a dare il loro contributo.
Il problema è: come farlo?

martedì 20 febbraio 2018

Il destino delle reti (il caso Facebook)

 Un recente articolo del Wall Street Journal evidenzia le caratteristiche comuni delle "reti", tecnologiche e non, da un punto di vista storico. Un destino delle tecnologie o di noi umani che siamo chiamati ad utilizzarle?



Il parallelo è affascinante: Facebook, come l'Unione Sovietica o quella Europea, usando una nuova tecnologia si proponeva come struttura aperta e non gerarchica per distribuire potere. Dopo poco si è trasformata in una gerarchia verticale capace di disseminare informazione e propaganda accentrando quel potere che voleva dare a tutti. E' evidente che qui la tecnologia non c'entra, come giustamente riporta l'articolo del Wall Street Journal  che riporta alcune tesi del libro di Niall Ferguson "The Square and the Tower: Networks and Power, From the Freemasons to Facebook". 
E non si parla solo di Facebook ovviamente: stesso destino hanno avuto Youtube e altri social network.

sabato 27 gennaio 2018

Il ruolo delle aziende nella società


Sta crescendo il dibattito sul più ampio ruolo delle aziende all'interno della società uscendo, per fortuna, dai ristretti ambiti nei quali più o meno strumentalmente era stato confinato (ESG, CSR, ecc.). Rimane ancora irrisolto il tema di fondo: è l'azienda a servizio dell'uomo o l'uomo a servizio dell'azienda? E nel primo caso, come può fornire tale servizio senza penalizzare se stessa?

Come un onda che viene da lontano, pian piano il tema delle più ampie responsabilità sociali dell'azienda sta crescendo di importanza. La recente lettera di Fink, CEO di BlackRock, non ha fatto altro che dare un ulteriore spinta al dibattito. Le evidenze sono sotto gli occhi di tutti: crescono i mercati e l'economia in generale ma a beneficio di sempre meno soggetti. A cosa servono allora queste crescite? Può il benessere economico essere un fenomeno di nicchia? Un essere umano che possiede tutta la ricchezza del mondo ma non sa cosa farsene perchè tutti gli altri sono poverissimi, può ancora definirsi "ricco"? 

mercoledì 17 gennaio 2018

Un "ritorno al futuro" dal mondo della finanza


La consueta lettera di Larry Fink, CEO del più grande gestore finanziario del mondo (6000 miliardi di dollari), quest'anno fa un salto di qualità, spingendo il mondo delle aziende, e non solo, a ripensare il loro ruolo per la società (all'interno della quale ovviamente operano e prosperano).

Vi è stata un'epoca, nel secolo scorso, dove tutte le aziende, grandi e piccole, erano innanzitutto dei "buoni cittadini". Esse infatti fornivano stipendi adeguati e supporti aggiuntivi ai loro dipendenti (integrazioni dei piani pensionistici e sanitari, borse di studio e luoghi di svago, le "colonie", per i loro figli, ecc.), realizzavano investimenti negli impianti e per la crescita dei dipendenti, pagavano le tasse nei paesi in cui operavano, contribuivano al benessere dei loro clienti e dello sviluppo complessivo con i loro prodotti e servizi, senza dimenticare di far contenti anche, e non solo, i loro azionisti.
A guardare i comportamenti della grandi aziende globali, e non solo loro, sorge spontanea una domanda: quell'epoca è definitivamente scomparsa, sacrificata sull'altare del valore per gli azionisti a breve termine (il malefico short-termism)?

sabato 13 gennaio 2018

Il declino delle borse

Il più grande fondo sovrano del mondo ha annunciato di voler diversificare il suo portafoglio con investimenti in aziende non quotate. Perchè aziende e investitori non trovano più di interesse incontrarsi in borsa?


L'ultima notizia sul tema delle borse arriva dalla Norvegia: Norge Bank Investment Management (NBIM), che gestisce il fondo alimentato dai proventi petroliferi e che ammonta a 1.100 miliardi di dollari, ha fatto richiesta al Ministero delle Finanze Norvegese, da cui dipende, di poter iniziare ad investire anche in aziende non quotate in borsa. Al momento il fondo possiede percentuali di azioni non superiori al 10% di ogni principale azienda quotata al mondo, con una media di possesso del 1,5%. 
Le motivazioni addotte per tale scelta sono: la scarsa partecipazione di aziende tecnologiche ai listini, che li condannano a non rappresentare la maggior parte del mercato, l'assottigliarsi dei listini stessi e ultimo, ma non meno importante, i ritorni delle aziende non quotate che sono leggermente più alti di quelle quotate.

lunedì 8 gennaio 2018

Una montagna di debiti


Il debito mondiale è cresciuto in maniera spropositata negli ultimi anni. Se da un lato questo è servito a farci uscire dalla crisi, dall'altro costituisce un fardello per il futuro. Esiste un criterio per distinguere un debito "buono" da uno "cattivo"?

I dati parlano chiaro. Come riporta il sole24ore, siamo oppressi da una montagna di 233mila miliardi di dollari dei quali ben 163mila (70%) creati a partire dal 1997. I debiti, si sa, vanno rimborsati in futuro e se è vero che, come riporta l'articolo, 

"L’economia mondiale nel suo insieme ha beneficiato di un effetto 'moltiplicatore' dato che il debito creato negli ultimi mesi ha generato crescita (Pil) in misura più che proporzionale

è anche vero che

"La montagna di debito su cui poggia l’attuale ciclo di espansione economica... rende il sistema meno efficiente perché mantiene in vita tutti i debitori fragili i quali, non avendo di che preoccuparsi per il rimborso dei loro debiti, possono permettersi di mantenere la loro struttura inefficiente. E vulnerabile."

Quindi non è detto che questi debitori saranno in grado di restituire il debito.
Perchè allora mantenerli in vita?