"Se gli uomini non nutrono un ideale in un mondo migliore perdono qualcosa.
L'umanità non potrebbe funzionare senza le grandi speranze, le passioni assolute."
Eric J. Hobsbawm

lunedì 27 febbraio 2017

L'operazione è riuscita, il cliente è fallito

di
Luciano Martinoli

E' questo il titolo provocatorio dell'editoriale dell'ultimo numero del magazine di 'Legalcommunity' (MAG). Un triste destino che può accadere anche a professioni diverse dagli avvocati. Ma cosa significa esattamente? E, sopratutto, come si può evitare?

La battuta originale è "L’operazione è perfettamente riuscita, ma il paziente è morto" e si riferisce alla "freddezza e il distacco con cui il dottore si deve necessariamente rapportare al suo assistito".
Mentre siamo d'accordo sulla 'freddezza', il distacco spesso maschera un atteggiamento tipico di tutte le professioni che, viaggiando verso una intensa specializzazione (dal "sapere poco di tutto" al "sapere tutto di poco"), perdono di vista il quadro di insieme che possa suggerire la migliore tipologia di intervento.
Distacco, dunque, malinteso, scusa per concentrarsi sul quel "tutto di poco" per dare soddisfazione a ciò che si sa fare più che a ciò che serve davvero al cliente.
Come affrontare il problema?

domenica 26 febbraio 2017

Innovino gli altri: l’economista e i taxisti

di
Francesco Zanotti

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Come sempre non citiamo le persone il cui pensiero critichiamo. Citiamo solo quelle a cui riconosciamo buone idee. Per dare loro il giusto merito. Questa volta parlo di un economista e dei taxisti …

Un noto economista dichiara che il Governo ha ceduto ai taxisti. In questo modo frenando l’innovazione tecnologica che sta cambiando la nostra vita, distrugge lavori e sembra crearne pochi altri … E pensa che una soluzione per i poveri taxisti destinati a perdere il lavoro sia seguire l’idea di Bill Gates: invece dei robot tassiamo Uber così aiutiamo i taxisti a sostenere il debito delle licenze, a campare e riciclarsi.
Non entro nel merito dei taxisti, anche se posso immaginare come possa evolvere la loro professione verso i servizi, magari supportati dalle tecnologie.

Entro nel merito dell’innovazione. Credo che il nostro economista abbia una visione piuttosto limitata della innovazione. L’innovazione più rilevante non saranno le tecnologie digitali. L’innovazione più rilevante sarà quella nella Conoscenza. Un primo esempio, nel piccolo: una più seria comprensione dei limiti delle tecnologie digitali. Un secondo esempio, più nel grande. Saranno le diverse scienze, così come ce le ha portate il Novecento ad essere rivoluzionate. L’economia, in primis che sta accoppiando arroganza politica con inconsistenza scientifica. Morale: saranno gli attuali economisti a perdere il lavoro, con una probabilità di evolvere da qualche parte inferiore a quella dei taxisti.

venerdì 24 febbraio 2017

Aumento di capitale ok … Ma poi?

di
Francesco Zanotti

Risultati immagini per aumento di capitale unicredit 2017


Ovviamente mi riferisco al caso Unicredit. Su cosa accadrà poi un problema rilevante lo individua Alessandro Graziani oggi sul Sole24Ore…

Dipendenti, Risparmiatori e Clienti di Unicredit tirano un sospiro di sollievo. Così come azionisti e obbligazionisti.
E il futuro? Se guardiamo al Business Plan che Unicredit espone sul suo sito e datato 13 dicembre 2016 non vi sono elementi che permettono di rispondere a questa domanda. Questo fatto segna la cifra di anomalia del caso banche: a quale altra tipologia di impresa viene concesso un aumento di capitale di tale portata senza che essa dia indicazioni scientificamente accettabili su cosa farà nel futuro? Nel caso di Unicredit l’anomalia è particolarmente … anomala … perché l’aumento di capitale non sembra destinato ad investimenti, ma a coprire perdite.
Alessandro Graziani sul Sole24Ore di oggi sostiene che si tratta dell’aumento di capitale “definitivo”. Ma, poi, egli stesso, si pone una questione “drammatica”: sarebbe bene interrogarsi su come sia stato possibile cumulare negli anni così tanti crediti in sofferenza”.
Provo ad affrontare questa questione che certamente permette di immaginare qualcosa sul futuro di Unicredit.
Innanzitutto osservo che le ragioni per cui sono aumentati i crediti inesigibili avrebbero dovuto essere spiegate nel Business Plan. E, soprattutto, il Business Plan avrebbe dovuto spiegare cosa intende fare la banca per evitare che si riformino. E questo non tranquillizza.
Ma c’è qualcos’altro che non tranquillizza. E non riguarda solo Unicredit. La ragione per cui non si non parla di questi problemi è perché pensa che non ci possa fare nulla. Purtroppo si pensa che i crediti inesigibili siano solo il frutto della crisi economica che, a sua volta, è generata da eventi fatali (dal Fato stesso a Giove Pluvio incazzato, forse è bastato anche solo un dio minore capriccioso), quindi fuori dalla portata dell’umana capacità di intervento. Per cui la strategia vincente è “ha da passà a nuttata”.
Ma non è vero! La crisi economica è somma della crisi di tante imprese i cui prodotti sono diventate commodities e costringono le imprese a battaglie di prezzo insostenibili. Tanto è vero che molte imprese i cui prodotti non sono diventati banali commodities hanno prosperato anche durante la crisi. Occorre allora mettere in discussione la capacità di valutazione delle banche. Io sostengo (e mi piacerebbe un dibattito pubblico sul tema) che le banche in generale non dispongono delle risorse cognitive necessarie a valutare  le imprese in periodi di grandi cambiamenti.
Allora il futuro, dopo la capitalizzazione, dipenderà certamente dal fatto che Unicredit (ma anche il futuro delle altre banche dipenderà da questo) abbia voglia o meno di dotarsi delle risorse cognitive che permettano loro di fare un salto di qualità nella capacità di valutazione delle imprese. Se questa voglia non ci sarà, allora saremo nei guai. Dico “saremo” perché il peso dei guai ricadrà sulla collettività tutta.
A rafforzare i dubbi che vengono dal tentar di rispondere alla questione posta da Alessandro Graziani occorre osservare che anche altre questioni chiave, che hanno a che fare col futuro, non sono state affrontare dal Business Plan definito prima dell’aumento di capitale. La principale è: quali tipi ci conoscenze e metodologie di cambiamento intende usare Unicredit? Quelle tradizionali di “Change management” che sono fatte apposta per generare resistenze al cambiamento (quindi disastri commerciali ed organizzativi) o vuole attingere ai risultati che rendono disponibili le scienze naturali ed umane?

Concludendo: meno male che l’aumento di capitale è stato sottoscritto, ma tutti gli uomini di buona volontà dovrebbero chiedere ad Unicredit di rassicurarci che non ne avrà bisogno di altri. E la rassicurazione dovrebbe, almeno (perché ce ne sarebbero molte altre), partire dalle risposte alle problematiche che, partendo dal dubbio di Alessandro Graziani, sono state sollevate in questo post.

mercoledì 22 febbraio 2017

Alitalia: i piani bocciati

di
Francesco Zanotti

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Lo racconta il Sole 24Ore di oggi … si stanno facendo e scartando Piani uno dopo l’altro … Ma chi li valuta e li scarta?

Il primo è stato fatto dal CEO di Alitalia ed è stato giudicato insoddisfacente … Interludio: ma il CEO a cui è stato bocciato il Piano perché non si è dimesso? E’ disposto ad impegnarsi a realizzare qualunque piano basta che mantenga il suo posto?
Il secondo è la prima versione presentata dai consulenti (Roland Berger e KPMG). Se ne aspetta un altro.
Ma chi ha bocciato questi Piani?  Proprio le banche (i personaggi delle banche) che hanno redatto il Progetto Strategico della allora nuova Alitalia che si era fusa con Airone … Non servono commenti.


giovedì 16 febbraio 2017

Cosa vogliono gli investitori dalle aziende?

di
Luciano Martinoli


Anche quest'anno Larry Fink, il CEO di BlackRock, il più grande investitore del mondo (più di 5000 miliardi di dollari in gestione), ha scritto ai CEO delle principali aziende nelle quali investe chiedendo sempre la stessa cosa: crescita di lungo termine.

Ormai è una preoccupazione diffusa tra gli investitori di lungo termine: quella di ritrovarsi, tra qualche anno, proprietari di limoni spremuti. Spremuti da debiti, investimenti non fatti, dividendi troppo generosi erogati, e altro. Le preoccupazioni sono globali e investono anche l'Italia perchè anche qui BlackRock ha preso partecipazioni importanti nelle migliori aziende del nostro paese. Dunque nessuno si senta escluso dalla ramanzina.
Ma cosa dice Fink?

Purtroppo inizia dimostrando, anche lui, una "miopia strategica". A fronte di cambiamenti epocali avvenuti lo scorso anno (Brexit, Medio Oriente, Trump, ecc.) si aspetta che questi cambiamenti siano considerati nei nuovi piani strategici. Da un personaggio del suo livello era da aspettarsi un richiamo a progetti "alti e forti" che, almeno in Italia, continuano a mancare. L'invito a reagire non è in grado di combattere quel "short-termism" che affligge l'economia globale, per farlo bisogna cambiare il mondo non adeguarcisi. La solita Apple non pare sia stata toccata da cambiamenti epocali citati dal capo di BlackRock e come lei alcune (troppo poche) altre.

Fink poi denuncia "l'impegno retorico" sulla sostenibilità a lungo termine contrastata, nei fatti, dal "furioso" ritmo di riacquisto di azioni proprie e di concessione di dividendi, non giustificati da un livello di profitti che sono ben inferiori alla somma di questi riacquisti e dividendi. Una denuncia che suona quasi scandalosa e un richiamo agli investimenti che, solo loro, possono garantire il futuro delle imprese. 

BlackRock, insieme ad altre grandi aziende di investimento mondiale, è da tempo preoccupata della tendenza al "tirare a campare" delle aziende trimestre dopo trimestre. Ma se anche minaccia, come fatto nella lettera, di "esercitare il diritto di voto contro direttori in carica... in caso di risposte insufficienti... a proteggere gli interessi economici dei nostri clienti (famiglie e singoli risparmiatori)", dimostra, anche lui a quel livello, di non avere strumenti efficaci, nè di controllo nè di stimolo.

Volendo essere ottimisti, se Fink si esprime, e non da ora, in questa direzione almeno lui, e quelli come lui, si pongono il problema dello sviluppo delle imprese.
C'è da chiedersi quando si accorgeranno che la strada per realizzarla passa dall'adozione di strumenti che ci sono nell'ambito della disciplina che continua ad essere ignorata da tutti: la Corporate Strategy.


mercoledì 15 febbraio 2017

Rating del calcio: strumento efficace o specchietto per le allodole?


 Risultati immagini per palla la centro

“Diamo ora la linea al nostro collega da Milano per un aggiornamento sulla partita…”. Se questa fosse una diretta radio-sportiva, di certo, sarei stato introdotto in questo modo.
È di ieri la notizia, riportata sul Sole 24Ore, che dal prossimo anno tutte le squadre appartenenti alla Lega Pro della Figc in via sperimentale, quindi non vincolante al momento per il rilascio delle licenze necessarie all’iscrizione al campionato, saranno valutate da un rating redatto da una commissione indipendente. Questa è la strategia messa in atto dal presidente della Lega Pro, Gabriele Gravina, per premiare le società più virtuose. Alcuni sostengono che questa iniziativa faccia parte di una strategia più ampia atta a raccogliere consensi tra i grandi club di Serie A, non ancora schierati, in relazione alle prossime elezioni federali di marzo; ma non è mio interesse spendere opinioni a riguardo.
Mi voglio soffermare, invece, ad analizzare l’utilità che tale rating possa avere. Per rating si intende un giudizio esterno riguardante la solidità finanziaria di una società, ma in questo caso si presenta in modo originale: i punti vengono assegnati secondo quattro aree di interesse, aventi diversa pesatura; mentre lo standard minimo da raggiungere, per non pagare conseguenze negative, è di 80 crediti. Il punto debole di questo sistema riguarda la valutazione del patrimonio netto, il quale dovrà essere almeno pari al 70% di tutti i debiti. Il problema risiede nella possibilità che hanno le società di reintegrare le perdite con l’immissione di nuovi fondi provenienti dai soci. A mio parere, il problema legato a tale clausola non riguarda la ricapitalizzazione in sé, ma alla mancanza di una strategia sostenibile futura. In questo modo, infatti, si permette alle società morose di tamponare in maniera illusoria una situazione debitoria, destinata a ripresentarsi, e di falsificare l’oggettività del rating: società con grossi problemi di debito potranno ottenere comunque il minimo standard per iscriversi annualmente al campionato.
Oltre che per questo importante parametro, il rating può essere criticato anche a livello strutturale in quanto al suo interno manca un chiaro riferimento alla strategia che la società intende seguire per risolvere i suoi problemi ed avviare la crescita. Da sempre nel nostro blog ci siamo battuti per mettere in risalto le tematiche riguardanti l’importanza del business plan ed anche in questo caso non è possibile fare altrimenti. Com’è possibile valutare una società calcistica senza tenere conto degli obiettivi che questa ha intenzione di raggiungere durante la stagione e, insieme a questi, il modo in cui tali obiettivi verranno perseguiti? È un vizio diffuso, oltre che pericoloso, quello di dare un peso maggiore al passato di un’impresa piuttosto che indagarne il futuro.

Un rating che si rispetti non può sottovalutare la strategia futura della società che sta analizzando e, neanche, può offrire delle scorciatoie per tappare momentaneamente dei buchi finanziari. “...da Milano è tutto. Vi restituisco la linea.”

giovedì 9 febbraio 2017

Cosa c'è di scandaloso nei piani delle banche?

di
Luciano Martinoli


Dal nostro rapporto sui Business Plan, quest'anno focalizzato sulle banche, emerge un quadro ancora più inquietante di quanto la stampa racconti a proposito delle numerose tornate di ricapitalizzazione. purtroppo nessuno ne parla. Questo significa che tutti dovranno tornare a mettere mano al portafoglio ...

Il nostro consueto rapporto annuale sui Business Plan quest'anno si è concentrato sulle banche commerciali vigilate dalla BCE. 
Il perchè di questa scelta risiede nell'importanza che il sistema bancario riveste in qualità di infrastruttura di sviluppo del nostro sistema economico. 
Il sistema bancario è impegnato in progetti di aumento di capitale (finalizzati alla gestione degli asset problematici, come NPL, titoli illiquidi, al rafforzamento patrimoniale e all’espansione della capacità di credito) che, certamente, non sono banali come la tabella sottostante rivela.


Considerando gli importi richiesti, e la frequenza delle ricapitalizzazione, c'è da essere preoccupati, e anche molto. Infatti appare evidente che dal 2010, chi più chi meno, quasi ogni banca si è mangiata (o gli è stato eroso) parte del patrimonio.
Saranno i recenti aumenti di capitale, alcuni fatti con intervento pubblico, davvero gli ultimi?
La via maestra non è quella di chiedere a questo o quel politico assicurazioni in merito (nessuno ha la sfera di cristallo) ma è quella di valutare i piani di redditività delle banche al fine di verificare se vi sono descritte, in modo circostanziato, attività credibili per aumentare la redditività delle banche e così mantenere, se non addirittura aumentare, il proprio patrimonio.

Ecco allora che siamo andati a valutare, con il nostro sistema di Rating, la qualità dei Piani di Redditività contenuti nei Business Plan. Questa volta però, prima ancora di cimentarci nell'esercizio di Rating, abbiamo voluto aggiungere una misura di "livello di significatività", ovvero la risposta alla seguente domanda: i Business Plan contengono un livello minimo di informazioni che consentono un giudizio (Rating) sul piano di redditività?
La risposta, e da quì lo "scandalo", è no!

Di fatto tutti i piani sono appiattiti sulla dimensione patrimoniale. 
Quei pochi elementi che riguardano come aumentere la redditività evocano una immagine di fare banca sempre uguale a se stessa, con qualche spolverata di "innovazione" (le tecnologie), l'immancabile taglio costi, la focalizzazione sul settore retail e poco altro. Progetti di futuro imitativi e conservativi che, come l'esperienza insegna e la teoria conferma non possono portare ad alcun aumento di redditività.  temiamo fortemente che tutto questo porterà le banche verso continue nuove ricapitalizzazioni. Salvataggi che si rincorreranno gli uni agli altri.

Come sempre, nello spirito dei nostri rapporti, non ci fermiamo alla denuncia dei guai, ma rischiamo una proposta. Essa parte dalla constatazione che l'incapacità progettuale (perchè è di questo che si parla) è generata dal fatto che le conoscenze di cui dispone la classe dirigente bancaria sono inadeguate alle sfide del XXI secolo. Se così è, allora la proposta è evidente: occorre fornire nuove risorse cognitive alle classi dirigenti bancarie perchè riescano a sostenere la responsabilità collettiva di un "pubblico" risparmio da valorizzare e del credito all'economia reale da veicolare nella giusta dimensione dello sviluppo (e non della sopravvivenza delle aziende).

mercoledì 8 febbraio 2017

Alitalia: da un documento interno …

di
Francesco Zanotti

Si tratta di un capitolo del Codice dei Valori 2004 … che rendiamo disponibile qui. Ogni commento è superfluo …


La creazione del valore

Generare soddisfazione nel cliente è presupposto imprescindibile della creazione del valore: gestendo con reale e costante responsabilità le risorse finanziarie, creando e manutenendo processi fluidi ed efficienti, incrementando la redditività e il valore stesso nel tempo, diversificando e ampliando i mercati, gestendo coscientemente i rischi, alimentando il circolo virtuoso generato dalle competenze, dall’orgoglio professionale, dal senso di appartenenza e dalla motivazione delle nostre persone.