"Se gli uomini non nutrono un ideale in un mondo migliore perdono qualcosa.
L'umanità non potrebbe funzionare senza le grandi speranze, le passioni assolute."
Eric J. Hobsbawm

giovedì 28 febbraio 2019

Leadership e organizzazione come l'acqua per il pesce

di
Luciano Martinoli
luciano.martinoli@gmail.com



In varie discipline si sta affermando l’utilizzo della metafora sistemica come strumento cognitivo. Da tempo sono noti tali contributi in biologia, grazie ai lavori di Maturana e Varela, in sociologia, Luhmann, e in numerosi altri campi.
In breve, e in maniera estremamente approssimativa, l’approccio sistemico propone di considerare l’oggetto dell’osservazione non isolato dal contesto, o peggio sezionato in tutte le sue componenti (riduzionismo), ma inserito in un contesto (ambiente) del quale bisogna considerare la natura in quanto le interazioni con esso (accoppiamento strutturale) contribuiscono a definirne l’identità e a modificarla nel tempo. 

Da qui, ad esempio, lo studio di un animale “pesce” non può ignorare l’acqua nel quale esso vive. Un pesce, inteso come essere vivente, fuori dall’acqua non è che un corpo morto; le caratteristiche del pesce e il suo metabolismo è condizionato dalla qualità dell’acqua, come ben sanno i possessori di acquari domestici, e viceversa esso stesso condiziona l’acqua. Vi sono inoltre, secondo la natura dell’animale, “ambienti” diversi nei quali un pesce può vivere: un'orata morirebbe in un lago, un luccio avrebbe stessa sorte in mare mentre un salmone ha necessità sia di acqua dolce che salata.

Il concetto di ambiente però è un concetto “mobile” ovvero se l’oggetto dell’osservazione, nel caso precedente, diventa un lago, che è ambiente se studiamo un pesce, allora l’ambiente del lago diventano tutte le componenti che, interagendo con esso, ne determinano la vita e l’evoluzione: i pesci che vi abitano, le piante che si sviluppano all’interno e nelle vicinanze, le attività umane e animali che insistono su di esso, eccetera.

Torniamo all’oggetto di questo post: l’organizzazione aziendale. Essa è fatta di persone, addirittura c’è qualcuno, Ed Bastian CEO di Delta airlines, che sostiene che siano il fine dell’azienda, e il management non ne fa parte. Può sembrare un’affermazione poco credibile ma è supportata da numerosissime evidenze. Ad esempio in un’azienda che costruisce automobili sono operai e impiegati che sono capaci di portarle fuori dalle fabbriche pronte per essere vendute, il manager non sarebbe capace nemmeno di avvitare un bullone o effettuare un acquisto di quel bullone.
Anche nel mondo dello sport, spesso preso a prestito dalla pubblicistica sui temi aziendali, il “manager” (coach, allenatore o come lo si vuole chiamare) non fa parte della squadra, non scende in campo, non indossa scarpette, maglia o altra attrezzatura. E’ a bordo campo e, come ricorda un post di Pollini sulla pallavolo, “vede le cose dal punto di vista della squadra” ma non è in grado di schiacciare (o, se lo sapeva fare quando era giocatore, quanto meno non può farlo in partita adesso che è allenatore. Questa caratteristica è nota come chiusura operazionale).  
Dunque il management, dal punto di vista sistemico, è “ambiente” dell’organizzazione e le sue caratteristiche di leadership sono le specifiche qualità che ne determinano le interazioni con l’organizzazione aziendale.

Accogliendo questa prospettiva vi sono alcune conseguenze che possono indicare un nuovo modo di approcciare il tema e di svilupparlo. 
Tanto per cominciare non esiste “la leadership” ma ve ne sono di vari tipi, adeguati o meno secondo le caratteristiche dell’organizzazione (acqua salata, dolce, ecc.).
Non tutti i tipi di leadership vanno bene con tutte le organizzazione: l’acqua dolce ammazzerebbe un'orata. 
Le interazioni oggetto-ambiente modificano entrambi in un percorso evolutivo che ha l’unico fine di mantenere l’identità del sistema. Non esistono “cambiamenti”, come purtroppo si continua a parlarne nell’ambito aziendale (il famoso Change Management), ma “sviluppi” che vanno innescati, monitorati e tutelati ma i cui risultati sono sempre incerti e imprevedibili.

Mi fermo qui, anche se la lista potrebbe essere più lunga, ma già da queste poche considerazioni, se si accoglie la prospettiva sistemica, si possono trarre delle conclusioni,.
Tanto per cominciare non ha senso parlare di leadership in senso assoluto o che sia una necessità per le organizzazioni, visto che vi sono addirittura aziende che non ne hanno bisogno. Si sta diffondendo sempre di più infatti il fenomeno delle aziende senza capi che senz’altro hanno anche loro un ambiente ma tra le sue componenti non vi è il management e la leadership gerarchica.

L’innesto di capi in una nuova organizzazione è sempre operazione delicata, di certo non può essere un criterio esclusivo di scelta il successo che un leader ha avuto in un altro contesto. Riempire una vasca di lucci con l’acqua salata nella quale hanno proliferato le orate non è una buona idea. E’ pur vero che le interazioni soggetto-ambiente modificando col tempo entrambi, alla ricerca di un’identità, possono trovare una nuova modalità di sviluppo.

Accettando questo nuovo punto di vista allora, cosa si può fare per lo sviluppo dell’organizzazione? La risposta non è semplice, come per tutti i “sistemi” che si sviluppano da soli (autopoietici). Una prima indicazione, giusto per non scoraggiare e anzi incuriosire ulteriormente per accogliere questo punto di vista,  è la seguente: fornire strumenti per consapevolizzare ed esplicitare il proprio progetto di sviluppo.
Come farlo?
Una prima risposta al prossimo post…

mercoledì 20 febbraio 2019

Miti e ingenuità: Imprenditorialità e territorio

di
Luciano Martinoli
luciano.martinoli@intellegit.it


Spesso nelle interviste agli imprenditori, ma ancor più spesso si tratta di manager, viene evidenziato il legame che l'azienda ha col territorio e come contribuisca al suo sviluppo. Immediatamente il pensiero corre ad Olivetti, l'intervistato di turno si dichiara, o lo fa l'intervistatore, un seguace del pensiero di Adriano e ci si lascia con la bocca aperta dalla meraviglia per aver trovato un imprenditore "illuminato".

Memoria corta, e scarsa frequentazione della bibliografia sull'argomento, sono le cause di questa ingenuità che se è innocua per chi ne è oggetto crea, in modo più pericoloso, la falsa convinzione che il legame azienda-territorio sia un'eccezione e non la regola per far impresa. Forse allora più che andare a caccia di imprenditori "illuminati" sarebbe opportuno cercare e recensire quelli "spenti" che ritengono il fare azienda un fatto privato mirato unicamente al loro tornaconto.

Nel 1778, 123  anni prima della nascita di Olivetti, Ferdinando IV di Borbone decise di erigere un ospizio per i poveri della provincia di Caserta presso il quale assegnò un opificio per non tenerli in ozio. A tal scopo fece giungere sul posto delle imprese dal nord Italia. La colonia crebbe rapidamente così che si decise di costruire ulteriori edifizi per migliorarne le funzionalità tra i quali una parrocchia, degli alloggi per gli educatori e dei padiglioni per i macchinari. L'istruzione tecnica degli operai era affidata al Direttore dei Mestieri ciascuno per ogni genere. Ancora oggi alcune aziende seriche continuano la tradizione di eccellenza iniziata allora. 

Nel 1799, 101 anni prima della nascita di Olivetti, Robert Owen, avviò a New Lanark (Scozia), uno stabilimento per la filatura della lana in cui i bambini lavoravano meno e andavano a scuola e tutti i dipendenti vivevano in alloggi con acqua pulita, potevano comprare prodotti a prezzi ridotti, disponevano di una biblioteca e di uno spazio ricreativo e usufruivano di una sorta di assicurazione sociale.

Nel 1878, 23 anni prima della nascita di Olivetti, sulla riva dell'Adda, in provincia di Bergamo, nacquero la fabbrica e il villaggio di Crespi d'Adda per volontà della famiglia di industriali Crespi. L'idea era di dare a tutti i dipendenti una villetta, con orto e giardino, e di fornire tutti i servizi necessari alla vita della comunità: chiesa, scuola, ospedale, dopolavoro, teatro, bagni pubblici. (La foto è del villaggio di Crespi d'Adda).

Luisa Spagnoli, fondatrice della Perugina, nel primo dopoguerra si spese per migliorare le condizioni dei propri dipendenti, in particolare le donne. Asili nido, e spacci per consentire alle stesse, all’interno dell’azienda, di fare la spesa per la propria famiglia.

Mi fermo qui ma la lista potrebbe continuare e citare centinaia di storie simili in ogni parte del mondo. Dunque senza nulla togliere, anzi, alle capacità e la visione di Olivetti, è "normale" che un imprenditore si prenda cura delle persone e del territorio circostante in quanto costituiscono l'ambiente dal quale trae la linfa vitale che consentirà all'azienda di prosperare.
Laddove l'azienda impoverisce il contesto circostante, ci troviamo di fronte ad una anomalia che va riconosciuta ed evidenziata per tempo prima che generi i tristi disastri ai quali siamo abituati.

Prima ancora delle interviste, dovrebbero essere i "progetti di futuro" dell'azienda a svelare la loro normalità o meno. Quei progetti di "senso" che chiedono gli investitori, pochi: come Larry Fink, e che ignorano le amministrazioni, la politica e i sindacati tranne poi ricordarsene a disastro avvenuto. 

A quando dei periodici reportage su aziende con imprenditori e manager "spenti"?