"Se gli uomini non nutrono un ideale in un mondo migliore perdono qualcosa.
L'umanità non potrebbe funzionare senza le grandi speranze, le passioni assolute."
Eric J. Hobsbawm

mercoledì 28 giugno 2017

I costruttori di macchine e l’imprenditorialità mancante

di
Luciano Martinoli


Dall'assemblea di un'associazione di industriali, alcune considerazioni sulle strategie perseguite a partire dalle dichiarazioni degli interventi. I mali del tessuto economico nazionale non sono nascosti ma autodichiarati.

C’è stato qualche giorno fa l’assemblea annuale dell’associazione degli industriali costruttori di macchine, non è importante quali in particolare. Ad essa è seguito un convegno sull’argomento del giorno: Industria 4.0. 
E’ stata presentata un’indagine, eseguita presso alcuni associati, sul grado di conoscenza di queste tecnologie e sul loro uso. E’ seguito un dibattito di esperti, professori universitari e un solo imprenditore, coordinato dal giornalista di grido del momento.
Cosa si è detto di tanto importante e indicativo sullo stato generale delle nostre industrie?

venerdì 23 giugno 2017

Lamentarsi non è una strategia

di
Luciano Martinoli
l.martinoli@cse-crescendo.com

Tre recenti eventi mettono in evidenza un fenomeno che dovrebbe trovarsi al centro delle preoccupazioni di tutti gli stakeholder (e degli imprenditori): l'invecchiamento non dell'imprenditore ma dell'idea imprenditoriale delle aziende.

Su Harvard Business Review di giugno viene ricordato il contributo dell’economista William Baumol, scomparso recentemente all’età di 95 anni. Il titolo dell’articolo è rappresentativo di un timore degli economisti americani: “L’America sta incoraggiando l’imprenditorialità sbagliata?”.

martedì 20 giugno 2017

Di cosa parliamo quando parliamo di “disruption”?

di
Luciano Martinoli


Un recente articolo sul WSJ consente di fare chiarezza  sulle fuorvianti e confuse idee alla base del concetto di “disruption” partendo da taxi e hotel. 

Il Wall Street Journal ha intervistato il professor Arun Sundararajan, della Stern School of Business della New York University, su quali industrie, a suo avviso, sarebbero state "messe a soqquadro“ (disrupted) dall’economia imposta dalla rete, alla stregua di ciò che hanno fatto Uber nei trasporti e Airbnb nell’ospitalità.
Prima di confutare le argomentazioni del professor Sundararajan lasciatemi fornire alcune informazioni preliminari.

giovedì 8 giugno 2017

La maledizione del "pneumatico radiale"

di
Luciano Martinoli



Considerazioni di Strategia. Un fenomeno tecnologico del passato, quello del pneumatico radiale, è paradigmatico di come la tecnologia sia strumento di realizzazione di una strategia e non essa stessa strategia. Ulteriore dimostrazione della valenza strumentale della tecnologia, troppo spesso invece spacciata come risolutrice di tutti i mali aziendali (Industry 4.0. digitalizzazione banche, ecc.).


Un recente articolo del Wall Street Journal riflette su una metafora, basata su fatti accaduti, utilizzata per riconoscere la fine di un ciclo di espansione di un prodotto.

Fino agli anni 70 quasi tutte le auto e i camion montavano pnenumatici diagonali. Essi erano costituiti da fili e cinture di nylon che si incrociavano a 30 o 45 gradi sotto la gomma. Questo consentiva spalle del pneumatico più forti e un costo di produzione più basso. Il problema era che questo tipo di pneumatici doveva essere cambiato ogni 20.000 kilometri circa.
Michelin nel 1949 introdusse i pneumatici radiali, adottati poi da tutti i costruttori una ventina di anni dopo. La differenza era costituita da una gabbia di acciaio di fili che si intersecavano a 90 gradi. Erano più larghi, più efficienti nel dissipare calore e più sicuri. Sebbene i radiali costavano un po' di più, duravano oltre 50,000 chilometri. Da allora tutte le auto montano questo tipo di pneumatico.

giovedì 1 giugno 2017

Costruisciti il tuo futuro, altrimenti...


di
Luciano Martinoli

Risultati immagini per ford

Il mercato finanziario sembra iniziare a comprendere l'importanza delle capacità delle aziende di progettare il proprio futuro ben più della loro capacità di produrre risultati a breve. 
Una moda passeggera o una urgente necessità per comprendere il futuro?

La recente defenestrazione di Mark Fields, CEO di Ford, offre una lezione sull'importanza che il mercato sta dando ai progetti futuri delle aziende e alla loro dettagliata esplicitazione. Un'attenzione che anche gli altri stakeholder, banche in testa, dovrebbero dedicare.

Ne fornisce un ampio resoconto un recente articolo del Wall Street Journal. In esso si ricorda che la gestione Fields non è stata caratterizzata dalla completa mancanza di profitti, elemento che generalmente si ritiene sia l'unico parametro valutato dagli investitori,  ma dalle nebulose e opache dichiarazioni sul futuro della Ford nel turbolento mondo automotive ("just wait for the fat margins that our post-car businesses like “mobility” will generate" era ciò che rispondeva Fields alle preoccupazioni degli investitori sul tema).
Ford sta investendo nelle nuove tecnologie che rivoluzioneranno il settore, ma queste sono disponibili a tutti e solo una precisa e chiara Strategia che le utilizzi , prima da progettare e poi da comunicare, darà conto di come questa si tradurrà in sviluppo per l'azienda. E a tal proposito il mercato si è mostrato sia indulgente, laddove dettagli precisi manchino, sia desideroso di tali progetti di futuro, come il caso Tesla, del quale ho già scritto, dimostra. 

I soliti comportamenti d'avanguardia, in questo caso degli investitori d'oltreoceano, che arriveranno tra decenni anche nella vecchia Europa e ancor più in ritardo in Italia? Assolutamente no come dimostra il recente caso Ferragamo, il cui titolo è quotato alla borsa di Milano, dove la reticenza del management a fornire dettagli su un annunciato rallentamento del business di quest'anno, ha penalizzato il titolo e spinto gli analisti nostrani ad abbassare le stime.

Dunque sembra che si stia aprendo una stagione caratterizzata da un nuovo modo di guardare le prestazioni future delle aziende. Un modo necessario in un mondo sempre più turbolento con velocità di cambiamento crescenti. Infatti  in un tale contesto il "futuro", così importante per i mercati ma non solo, non "arriva" alla stregua di un temporale o una giornata di sole spingendo tutti ad attrezzarsi di conseguenza, come la retorica di certi "esperti" vuol far credere. 
Il futuro lo costruiscono le aziende, in mille modi e mille direzioni. Le tecnologie, a disposizione di tutti, sono, come sempre è stato, solo uno strumento per realizzarlo. Le aziende capaci di costruire il futuro, per loro e per gli altri, prospereranno e renderanno il mondo un posto migliore (come è già accaduto); chi no sarà condannato a subirlo con tutte le conseguenze.

Il mercato lo sta capendo, è ora che lo capiscano anche gli altri stakeholder dell'impresa.
Questo cambio di prospettiva, vero e proprio paradigm-shift, evidenzia l'esitenza di un immenso territorio vergine. Esso è costituito dall'assenza di strumenti e linguaggi per esplorarlo: come realizzare e valutare i progetti di futuro delle imprese in modo professionale, superando gli umori e le chiacchiere da bar, premiando chi è capace. Allo stesso tempo, come stimolare chi è carente in tale progettazione che, da quanto detto fino a questo punto, deve costituire ormai l'anima dell'attività d'impresa.
Il nostro impegno professionale è operare in tale settore proponendo quanto di meglio la conoscenza umana offre per rispondere a tale sfida: la creazione, non previsione, del "futuro".