"Se gli uomini non nutrono un ideale in un mondo migliore perdono qualcosa.
L'umanità non potrebbe funzionare senza le grandi speranze, le passioni assolute."
Eric J. Hobsbawm

domenica 28 dicembre 2014

Competitività deprimente

di
Francesco Zanotti


Ho appena ascoltato in tv alcuni giovani imprenditori dichiarare che hanno l’obiettivo di diventare più competitivi.
Che tristezza! Perché illuderli? Perché frustrare il loro entusiasmo?
Li si illude perché oramai gli studiosi di strategia d’impresa hanno raggiunto un accordo unanime sul fatto che rincorrere competitività avrebbe senso se si potesse acquisire un vantaggio competitivo sostenibile. Ma questo non è possibile. E l’esperienza conferma quello che la teoria ha razionalizzato.
Li si illude perché non sanno che siamo tutti siamo stati costretti ad usare la metafora della competizione da una abile campagna di marketing delle “teorie” (a dir poco banali) di M. Porter. Al suo altare stiamo, inconsapevolmente sacrificando giovani e futuro.

E’ necessario guidare questi giovani a guardare all'impresa in modo diverso. Come a un luogo dove si progettano e si realizzano nuovi mondi. Non ad un sistema che vive in una giungla di nemici. Li stimoleremmo ad una nuova progettualità strategica alta e forte che, sola, può costruire sviluppo.

giovedì 25 dicembre 2014

Diciamo solo banalità (imprenditoriali)

di
Francesco Zanotti


L’imprenditore parla attraverso le sue opere. Quello che produce, i servizi che offre.
Guardiamo agli imprenditori che hanno costruito il nostro sistema economico e il nostro Paese: i loro prodotti parlavano della società futura che proponevano. Ogni prodotto, ogni servizio aveva il sapore di un futuro splendente.
Caro imprenditore, caro banchiere, cari tutti che state al vertice delle nostre imprese, grandi o piccole, pubbliche o private, guardate a cosa offrite e provate a dire che tipo di società futura questo qualcosa prefigura. Se non ve ne viene in mente niente, allora potete fare due cose.
La prima è iniziare uno sforzo di riflessione e di progettualità per rivoluzionare quello che proponete in modo che contenga il sogno di una società futura.
Se non volete fare questo sforzo, allora passate in fretta la mano: state usando le imprese che vi hanno consegnate ad uso e consumo del vostro passato o di una vostra vanagloria presente.

Buon Natale a tutti.

mercoledì 24 dicembre 2014

USA: sviluppo o “bolla delle cose”?

di
Francesco Zanotti

Da un lato l’”osanna” dei commentatori nostrani su tutti i giornali all'aumento del Pil statunitense. Dall'altro, su di una rivista apparentemente oscura, ma di notevole interesse (L'internazionale), ripropone un articolo di Chico Harlan su The Washington Post dal titolo Il paese delle rate. Ringrazio l’amico Luciano che i lettori di questo blog conoscono bene per avermelo segnalato.
Per inciso: ma quando la piantiamo di dibattere intorno a giornali digitali e cartacei e non riprendiamo a discutere della qualità dei contenuti? Quando riavremo contenuti eccellenti avrà senso discutere di che tecnologia usare!
Ma torno all'articolo. Si sostiene che vi è stato un boom di acquisti (consumi diciamo impropriamente) molto particolari: a rate incoscienti e costosissime. Acquisti a rate (la formula è quella del leasing, finanziato dalle imprese stesse e non dalle banche) concessi a tutti (anche chi non ha contanti, né carta di credito, né conto in banca) dove alla fine i prodotti arrivano a costare anche molto più del doppio. Il segreto dovrebbe stare nel fatto che se non paghi le rate non ti accade nulla: basta che restituisci il bene. Esempio: la famiglia Abbot dell’Alabama ha acquistato un salotto a rate che costava 1500 dollari senza tirar fuori un soldo, ma con la promessa di pagarlo in due anni 4.500 dollari.
Questo tipo di acquisti si sta diffondendo rapidamente ed intensamente, permettendo acquisti a chi non se lo poteva permettere e certamente fa salire il Pil. Ma è una crescita sana? La famiglia Abbot e molte altre dovranno restituire quello che hanno comprato. Le imprese riempiranno i magazzini degli oggetti restituiti. Dovranno affrontare crisi di liquidità perché alla fine, proprio a causa della restituzione, incasseranno molto meno di quanto hanno speso per costruirli. Dovranno dotarsi di nuove strutture di stoccaggio…

Avremo, insomma una nuova drammatica bolla della cose, multidimensionale perché toccherà spazi, materie prime, energia e soldi, che si sta formando fuori dai mercati finanziari. A dimostrazione che il fenomeno bolla non è tipico solo di questo tipo di mercati finanziari, ma di tutti quei mercati (e, più in generale, sistemi) che cercano di costruire un valore “artificiale”.

domenica 21 dicembre 2014

ILVA: lo sapevamo … E senza Progetto Strategico

di
Francesco Zanotti


“Nuova ILVA con i fondi di Cdp”, titola oggi il Corriere nelle pagine dell’economia.
E’ da anni che tutti si fanno una domanda: chi compra? E’ da anni che tutti, in silenzio, sanno qual è la risposta inevitabile: pagheremo noi cittadini. Pagheremo i debiti dell’ILVA perché qualcuno poi possa comprare gli asset significativi.
Il problema è che questa operazione, pudicamente definita “ponte” verso la cessione ai privati, viene fatta senza uno straccio di Progetto Strategico. L’ipotesi è che una azienda che produce acciaio sia un istituzione destinata a non cambiare nei secoli. Quindi un Progetto Strategico è inutile. Servono solo progetti operativi per mettere in condizioni questa istituzione di funzionare bene.
Si tratta di una ipotesi sostanzialmente stupida che genera solo costi crescenti per la collettività. Infatti, si cerca di evitare fino all'ultimo di far intervenire lo Stato, lasciando deteriorare la situazione industriale, occupazione, sociale e ambientale. Così quando si deciderà, per forza di grane, sarà un decisione al ribasso (come risultato) e al rialzo come costi.
Un Progetto Strategico sarebbe stata la prima cosa che avrebbe dovuto fare Gnudi, ma se ne è ben guardato. Sposando la perdente ideologia che, prima si sistemano i guai, poi si pensa al futuro. Mentre cercare di occuparsi dei guai senza un Progetto di Futuro, è proprio quella strategia che peggiora i guai. Come correre a tappare i buchi che si aprono in una diga, non riuscendoci, ovviamente, e rimanendo poi travolti (economicamente, noi cittadini) dal crollo complessivo della diga.

Doverosamente, ho scritto tutte queste cose a Gnudi con cui ho avuto modo di lavorare, sia pur brevemente, nel passato. Ma, come tutti immagineranno, non ho ricevuto risposta. 

giovedì 18 dicembre 2014

Investitori incapaci di giudicare investimenti strategici …

di
Francesco Zanotti


E’ certamente vero che vi sono investitori stranieri che stanno pensando di investire a debito sulle imprese italiane. Ma si rischia che la loro logica di fondo gli impedisca di capire dove esattamente stanno le opportunità. Il rischio è che non le vedano e decidano di non investire.
E non sto parlando delle solite banalità della giustizia che non funziona, delle normative troppo complicate etc. Ma di un problema più profondo.
Mi spiego.
Questa tipologia di investitori sono abituati a valutare investimenti puramente finanziari. Cosa intendo con questa espressione? Intendo investimenti che servono a fornire liquidità alle imprese per farle funzionare meglio o crescere nella continuità. Detto diversamente: investimenti che non alterano la struttura fondamentale del conto economico e, quindi, dopo, dello stato patrimoniale.
Lo dimostra il fatto che, nel valutare il rischio degli investimenti, esaminano il conto economico e lo stato patrimoniale attuali delle imprese da finanziare. Poiché le imprese restituiranno le risorse finanziarie loro affidate nel futuro, il loro metodo di valutazione funziona se l’utilizzo che le imprese fanno delle risorse loro affidate non cambia la struttura fondamentale del loro conto economico e stato patrimoniale.
Questa logica di fondo porta, quindi, a concentrarsi sul titolo e dimenticare l’impresa. l’attenzione va al processo di emissione del titolo di debito e, poi, nella gestione del titolo. Diventa rilevante se il titolo è quotato e se esiste un mercato secondario dove scambiare il titolo.
Riconosco che le dichiarazioni ufficiali sono diverse. Ma si rischia che siano solo retoriche. Si parla di futuro, si da importanza al business plan. Ma non ci si cura di disporre di un apparato metodologico per valutare questi business plan. Viene lasciato all'intuito ed all'esperienza dei valutatori. Ma il vero oggetto su cui si concentrano gli sforzi valutativi (sia nel processo di origination e che ne processo di valutazione) continua ad essere il bilancio.
Usando questa logica si rischia di non trovar nessuna impresa sulla quale investire. Nel linguaggio dei finanzieri: non esiste l’asset class dei titoli di debito delle imprese italiane. Già numerosi importanti investitori istituzionali sono giunti a questa conclusione.
Torno al discorso del sistema Paese: gli investitori non investono, anche se vorrebbero farlo, per i loro limiti di visione. Per fare affluire capitali dall'estero occorre aiutare gli investitori a cambiare logica di approccio. Per i lettori di questo blog: il problema è sempre quello delle risorse cognitive.
Cosa dire agli investitori istituzionali stranieri (ma vale anche per quelli italiani e per le banche)?
Che le imprese italiane (ma poi tutte le imprese) devono fare investimenti strategici. Cioè, visti dal punto di vista finanziario, investimenti che hanno come obiettivo quello di cambiare radicalmente la struttura dei loro conti economici e dei loro stati patrimoniali. Solo se ci si mette da questo punto di vista si capisce l’essenzialità del Progetto Strategico di una impresa. E’ solo da esso che si capiscono quali cambiamenti l’impresa vuole attuare nella definizione del business. E che impatto avranno questi cambiamenti nella struttura del conto economico nel futuro. Solo se ci mette in quest’ottica diventa evidente che servono nuove risorse cognitive per riuscire a valutare i business plan delle imprese.


martedì 16 dicembre 2014

Consumi o investimenti? Oppure risorse cognitive?

di
Francesco Zanotti


Oggi sul Sole 24 Ore Daniel Gross sostiene che sia necessario rilanciare i consumi prima degli investimenti. E cita i casi di Gran Bretagna e USA.
Forse ha ragione, ma …
Come si fa a rilanciare i consumi? Prima di tutto occorre cambiargli nome! L’ho già scritto altre volte, ma qui una ripetizione non sta male. La parola consumo è adatta a beni come la mortadella. Ma non va già per nulla bene per oggetti come, che so, una lavatrice. Proviamo a parlare di acquisti, più in generale.
Cambiando nome, si aprono mille spiragli. Se parlo di consumi, sono portato a pensare che sia evidente cosa la gente desidera consumare. E si pensa ai prodotti che soddisfano esigenze igieniche: quelle cose che garantiscono al sopravvivenza. E si sa quali sono.
Se comincio a parlare di acquisti, è più facile porsi la domanda: ma quali acquisti? E ponendosi questa domanda si arriva al cuore del problema. Consiste banalmente nel fatto che la gente compra meno perché considera sempre meno interessanti i prodotti e i servizi offerti. Insomma: stiamo vivendo soprattutto una crisi di noia! Lo dimostra il fatto che i prodotti altamente desiderati (vedi gli smartphone) non hanno una “crisi di acquisto”.
Allora la soluzione della crisi sta solo nella progettazione di nuovi prodotti e servizi. Ed appare una seconda ragione per la quale ho voluto proporre un cambiamento di nomi: acquisti invece di consumi. E’ cambiando linguaggio (più in generale: le risorse cognitive di riferimento) che si possono vedere e progettare nuovi mondi, nuovi prodotti e nuovi servizi.

Allora, prima di pensare a consumi (pardon: acquisti) e investimenti forniamo ai nostri imprenditori e fornitori di risorse finanziarie (che ne hanno più bisogno degli imprenditori) nuove risorse cognitive che permetteranno loro di vedere e progettare la rivoluzione strategica delle loro imprese. 
Mi riferisco, come i nostri lettori sanno, alle conoscenze ed alle metodologie di strategia d’impresa. 

sabato 13 dicembre 2014

Le assurdità della finanza

di
Francesco Zanotti


Ho partecipato ad una tavola rotonda … Non ha importanza dove ed organizzata da chi.
E ho toccato con mano le ragioni profonde della crisi.
I partecipanti: responsabili di fondi che investono in mini-bond, bancari e non. Ma non chiedetemi di più. Certo c’era anche il rappresentante di un fondo straniero: li si riconosce da come usano la parole in inglese. Non con accento varesotto o bergamasco: come dice lui cash flow non lo dice nessuno.
Si è partiti col “conflitto di interessi”: ma non è che le banche ciurlano nel manico? Cioè, usando lo strumento mini-bond, cercano di sbolognare crediti dubbi a qualcun altro? Il dibattito si è acceso (in realtà, neanche troppo), ma l’energia è andata tutta nello spegnere il “fuoco”: state tranquilli che non c’è nessun conflitto di interessi. Piano piano il discorso si è accentrato sul tema fondamentale: il Business Plan. Tutti a dichiarare che giudicavano se finanziare o no le imprese guardando questo fantomatico documento.
Ascoltavo e prendevo appunti. Poi mi hanno dato la parola. E il ragionamento è stato semplicissimo. Il conflitto di interessi esiste solo se le imprese vanno male e non restituiscono i mini bond. Se vanno bene non emerge alcun confitto di interessi. Allora, il tema è veramente la qualità del Business Plan. Ma se è così, perché nel disegnare e valutare Business Plan non si usano le migliori conoscenze di strategia d’impresa esistenti, ma se ne usano solo di banali? Se la qualità di una cosa è vitale, è necessario usare le migliori conoscenze disponibili per costruirla e valutarla.
La risposta non mi è stata data. Anche il signore dall'inglese perfetto se ne stava zitto. Ovviamente nessuno ha contestano le mie affermazioni.
Allora lo scrivo esplicitamente: è una grave colpa economica e sociale se non si usano tutte le migliori conoscenze esistenti di strategia d’impresa per costruire e valutare Business Plan. E’ il non usare queste conoscenze che impedisce di uscire dalla crisi.



giovedì 11 dicembre 2014

La cultura dei “finanzieri”

di
Francesco Zanotti


Non sto parlando ovviamente degli uomini della Guardia di Finanza …
Ogni titolo che viene scambiato nei mercati finanziari ha un sottostante che il titolo stesso rappresenta. Nei casi di coloro che emettono e scambiano titoli relativi alle imprese il sottostante è costituito dalle imprese stesse.
Come ragiona un finanziare? Cerca di accertarsi che il sottostante sia “buono”: cerca di prendere in considerazione imprese “buone”. E relativamente a queste imprese costruisce titoli. Il suo interesse principale è la costruzione e la commercializzazione successiva del titolo. Implicitamente ipotizza che una impresa buona non possa diventare cattiva. Cioè ipotizza che il sottostante non possa degenerare. Dopo tutto: costruendo “futures”, mica si ipotizza, che ne so, che l’alluminio possa deteriorarsi. Dimostra questa tesi anche il prevalere della analisi tecnica (che riguarda la storia di scambio del titolo) sull'analisi fondamentale che si dovrebbe occupare del sottostante.
Ora, dopo tutto al finanziere interessa che le imprese siano buone nel futuro. Ma le imprese che saranno buone nel futuro non sono quelle che sono buone oggi, ma coloro che attueranno una rivoluzione strategica. Allora il finanziare dovrebbe essere interessato alla strategia futura dell’impresa. Purtroppo non ha le risorse cognitive per farlo … Purtroppo per l’economia e tutti noi.


sabato 6 dicembre 2014

Conoscere il costo di ogni cosa e il valore di niente!

di 
Luciano Martinoli


E' questa la conclusione, rubando le parole ad Oscar Wilde, alla quale è giunta una monumentale ricerca di due ricercatori riportata da un articolo della rivista Business Strategy Review della London Business School of economics. La ricerca infatti, condotta sulle performance di 25.000 aziende americane su un arco di 40 anni, rivela che la supremazia sui costi non è una strategia perseguibile.

martedì 2 dicembre 2014

La visione burocratica di una possibile ripresa

ovvero "Adda passà a nuttata"?
(Ha da passare la nottata? N.d.t)
di
Luciano Martinoli



E' stato da qualche giorno pubblicata, da parte del Consorzio Camerale per il Credito e la Finanza, la nuova guida "I minibond, istruzioni per l'uso".
Soffermiamoci su uno dei capitoli introduttivi, il terzo a pagina 20, per evidenziare come sia necessario un punto di vista profondamente diverso.
La pagina 20 inizia così

L’autofinanziamento deriva dagli avanzi positivi di cassa prodotti dalla gestione aziendale. Le disponibilità monetarie generate dall’autofinanziamento sono da anni modeste, per due principali ordini di motivi.

Vediamo quali sono questi motivi secondo gli autori del manuale.

lunedì 1 dicembre 2014

Una piattaforma professionale con “tecnologie” specifiche

di
Francesco Zanotti


Ho già scritto sulla necessità di costruire una piattaforma professionale per permettere a coloro che hanno raccolto risorse finanziarie di trovare imprese presso le quali collocarle.
Oggi voglio riprendere il discorso per affermare che una piattaforma di origination avrà nel mondo della finanza lo stesso ruolo che ha avuto la grande distribuzione nel mondo della produzione. Inizierà con una funzione strumentale perché favorirà il dialogo tra fonti ed impieghi di risorse finanziarie. Ma poi, acquisirà una funzione di indirizzo e sviluppo. Anche in questo caso il potere passerà dalla “produzione” alla distribuzione.

Questo significa che una rete professionale di origination potrebbe svolgere un ruolo decisivo nello sviluppo del nostro sistema economico. Ma questo accadrà solo se questa rete professionale disporrà e renderà disponibili sia ai fornitori di risorse finanziarie che agli utilizzatori nuove risorse cognitive.

Dopotutto è ovvio: ogni nuovo attore, come una rete professionale, deve disporre di proprie inedite “tecnologie”. Inedite perché intende svolgere un nuovo ruolo. E non si può svolgere un ruolo nuovo con “tecnologie” vecchie. In questo caso le nuove “tecnologie” non sono né hard né soft, ma sono “risorse cognitive”.

Esse sono costituite, come ho già scritto e riporto, innanzitutto, da una nuova visione della crisi.
Essa è generata, sostanzialmente, dalla perdita di significato del sistema dei prodotti tipici della società industriale. Detto più semplicemente: calano gli acquisti per il perdere di interesse dei prodotti tipici dell’attuale sistema industriale. In Italia il fenomeno è accentuato dal fatto che troppe aziende sono terziste mono cliente. La crisi di questo unico cliente genera immensi problemi perché non sono abituati ad azioni di mercato.
Se questo è vero, allora la soluzione della crisi non sta in un amento di competitività o di aumento della qualità del Sistema Paese. Anche, ma prima è necessario avviare una nuova stagione di progettualità strategica presso tutte le imprese.

Perché questa via sia percorribile sono necessarie le conoscenze e le metodologie di strategia d’impresa. Disponendo di queste risorse cognitive le imprese sapranno costruire Progetti di Sviluppo (Business Plan) alti e forti. E le istituzioni finanziarie potranno valutarne la qualità, cioè la finanziabilità.
Noi attraverso un processo di ricerca a livello internazionale abbiamo ricercato ed esplorato le migliori conoscenze e metodologie di strategia d’impresa a livello internazionale. Ne abbiamo fatto una sintesi e abbiamo compiuto passi ulteriori. Così oggi possiamo mettere a disposizione della piattaforma professionale una piattaforma cognitiva che, per il modo in cui è nata, non ha uguali al mondo.