"Se gli uomini non nutrono un ideale in un mondo migliore perdono qualcosa.
L'umanità non potrebbe funzionare senza le grandi speranze, le passioni assolute."
Eric J. Hobsbawm

giovedì 30 luglio 2015

Una cacofonia di micro business plan

di
Francesco Zanotti


… e la melodia complessiva non la si sente.
Ogni persona che lavora in una impresa, inevitabilmente, fa e rifà continuamente il proprio personale Business Plan. Cioè si costruisce una propria immagine dell’impresa, immagina il proprio ruolo in essa e si comporta in modo da conquistare ed esercitare questo ruolo.
Questo processo di progettazione e implementazione personale non è oggi governato da nessuno. I vertici danno solo indicazioni molto generali. Tanto da risultare generiche.
Infatti, i vertici possono essere precisi solo nel cambiare norme e procedure. Ma queste sono ben lontane da costituire una guida complessiva al desiderare, al pensare ed al mettere in pratica.
Ora, la probabilità che questi Business Plan personali si coordinino per produrre una melodia complessiva che le persone all'interno suonano con piacere e le persone all'esterno ascoltano con altrettanto piacere sono pressoché inesistenti. In molte (tantissime imprese), poi, il fare un Business Plan aziendale non viene considerato una attività di gestione strategica, ma un adempimento come tanti altri.

Poi non lamentiamoci se le nostre imprese vanno spegnendosi perché a nessuno piace lo stridio delle cacofonie aziendali. E quella cacofonia complessiva che è il Sistema Paese.

martedì 28 luglio 2015

FMI: generazione perduta. Ma per volere del fato o per colpa?

di
Francesco Zanotti


Il FMI prevede che ci vorranno vent’anni prima di ritornare alla situazione occupazionale di prima della crisi.
Di fronte a questa previsione la mia reazione è duplicemente scandalizzata. E non trova riscontro nella stampa.
Prima reazione (scandalizzata), più tecnica, ma decisiva: che algoritmo ha usato il FMI per fare la sua previsione? Possibile che nessuno tiri in ballo il tema dell’algoritmo? Non si può non farlo perché tutte le previsioni si basano sul algoritmi. Se non si discute degli algoritmi si discute del nulla. Si fanno discussioni da “Bar dello Sport”. Anche quando il Ministero dell’Economia dice che il FMI internazionale non ha tenuto conto delle riforme, non dice come avrebbe dovuto fare per tenerne conto. Come avrebbe dovuto migliorare l’algoritmo usato. Questo significa che anche il Ministero dell’Economia fa osservazioni da bar dello Sport, tra una discussione di calcio e l’altra.

Seconda reazione (scandalizzatissima): e le cause? E’ inutile che vogliamo sfuggire il problema perché per descriverlo è necessario usare parole, conoscenze e metodologie che non si conoscono. Il problema della crisi nasce dalla insufficienza delle risorse cognitive che sono nella disponibilità delle classi dirigenti. E dei media che ne fanno da cassa di risonanza.
Infatti, la crisi nasce da una progressiva perdita di significato della economia e della finanza attuali. Solo per fare qualche esempio: le imprese industriali producono beni che interessano sempre meno. Le banche non possono più vendere solo soldi, ma devono vendere anche conoscenza (le risorse cognitive che servono alle imprese per riprogettarsi). Le utilities devono capire che il loro ruolo sociale è quello di diventare hub di sviluppo di un tessuto di imprese innovative.
Per riuscire a ridare significato ad imprese di produzione e di servizio, è necessaria una progettualità strategica alta ed intensa che oggi manca completamente. Come mostrano i Rating Progettuali dei BusinessPlan che abbiamo assegnato quest’anno. Davvero, andate a leggere questi Business Plan e i nostri giudizi su di essi.
Per aumentare la capacità progettuale delle classi imprenditoriali e manageriali e la capacità del sistema dei media di valutare e discutere di questa capacità progettuale è necessario diffondere conoscenze e metodologie di strategia d’impresa.
Se non lo si vuole fare, si costringono le nostre imprese a navigare con occhiali appannati e rigati: inciamperanno sicuramente nel macigno della conservazione.
Un esempio di occhiali appannati e rigati: il mito della competitività. Esso nasce da una furbissima strategia commerciale di M. Porter che oramai a livello scientifico è stata completamente delegittimata: non è possibile diventare stabilmente e significativamente competitivi. E non solo accademicamente, anche su di una rivista professionale come Forbes.

Ma tutti noi continuiamo bellamente a parlare di competitività. E poi ci stracciamo le vesti quando questa ricerca di competitività non funziona. Viene proprio da dire: chi è  causa del suo mal pianga se stesso. Se non fosse che il male oggi le classi dirigenti non lo fanno a loro stesse, ma alle generazioni future.

lunedì 27 luglio 2015

Business Plan e governance strategica

di
Francesco Zanotti

Aumentano i rischi …
Dobbiamo ammettere che stanno aumentando i rischi che una impresa deve affrontare.
In termini generali, si percepisce un aumento della turbolenza ambientale dalla quale possono emergere improvvisi, pervasivi e gravi rischi al buon funzionamento dell’impresa. Fino a comprometterne l’esistenza stessa.
In termini specifici, possiamo citare i tradizionali rischi di mercato e di comportamenti fraudolenti.
Ma dobbiamo citare anche rischi che derivano dall’ostilità degli stakeholder esterni, da una Magistratura sempre più (non intendo esprimere giudizi di valore, ma solo rilevare un fatto) interventista, fino ai comportamenti degli stakeholder interni che possono “fraintendere” le direttive strategiche.

... quindi aumentano le esigenze di controllo …
Ad un aumento dei rischi si cerca di contrappore uno sforzo di individuazione, misurazione, gestione e monitoraggio, come recita (pag. 31) il Codice di Autodisciplina delle Società dell’indice FTSE Mib di Borsa Italiana. Lo sforzo sta diventando tanto più intenso quanto più i rischi sono improvvisi, pervasivi e gravi.

… ma si sta arrivando ad un punto di rottura!
Purtroppo si sta arrivando ad un punto di rottura perché i rischi sono sempre più esiziali (minacciano la sopravvivenza dell’impresa) e le risorse dedicate al controllo di questi rischi aumentano sempre di più, purtroppo perdendo di efficacia.

Sembra che le imprese stiano vivendo una situazione di crescente impotenza alla quale non si riesce a porre rimedio.

Da rischi a potenzialità
Come sempre quando ci si trova in una situazione di impasse (lo diceva anche Einstein) è perché si guardano le cose da un punto di vista errato. Per uscire dall’impasse occorre guardare le cose da un altro punto di vista.
Proviamo a descriverlo, seppure a grandi linee.
I rischi non sono una maledizione che emerge dall’esterno dell’impresa. Sono, invece, generati dalle strategie delle imprese.
Infatti, oggi l’ambiente è caratterizzato da un emergere di quasi infinite potenzialità che richiedono alle imprese cambiamenti radicale nei “mestieri” (Business Unit) che esercitano. Se le imprese non cambiano i mestieri che attualmente le impegnano, queste potenzialità si trasformano in minacce.
Un solo esempio: le banche. Esse non possono più fermarsi ad una valutazione patrimoniale economica e finanziaria, ma devono passare ad una valutazione strategica. Di più devono fornire servizi di progettualità strategica perché le imprese riescano, (anche loro e da sole non ci riescono) a cambiate i mestieri che attualmente le impegnano.
Detto diversamente, non basta che forniscano risorse finanziarie, devono fornire anche risorse cognitive. Si tratta di una opportunità per una nuova ed inedita area di servizi. Se le banche non la sfruttano, si trasforma immediatamente in una minaccia: scompaiono le imprese clienti.

Da controllo a progettualità
Se così è, allora l’attività fondamentale di Governance non è il controllo, ma la progettualità.
Più precisamente, occorre cercare e generare potenzialità di futuro. E, poi, riprogettare le attività Fondamentali (le Business Unit) delle imprese.
Ma, così facendo, ci si garantisce anche dai rischi generati da stakeholder esterni ed interni ed esterni? La riposta è: sì se le imprese attuano una progettualità sociale alla quale partecipano sia gli stakeholder esterni che interni.

Governance è redigere aggiornare nel continuo Business Plan
Per attuare una progettualità sociale occorre attivare una redazione partecipata del Business Plan dell’impresa.
In questo modo esso costruisce un Patto per lo sviluppo con tutti coloro che hanno partecipato alla sua redazione.
Il Business Plan è il contratto che formalizza questo patto. Ovviamente si sentiranno obbligati a rispettarlo solo coloro che avranno partecipato a scriverlo. Gli altri (dagli Attori Sociali alla Magistratura) si considereranno liberi di sindacare l’attività dell’impresa quando, come e dove vogliono.
Il Business Plan dovrà essere considerato un’opera d’arte da tutti coloro che avranno partecipato a realizzarlo. La sua forma sarà anche sostanza: dovrà essere mostrato con fierezza ed essere letto con passione.




martedì 21 luglio 2015

Il Rapporto 2015 dei Business Plan come rapporto del Sistema Paese

di
Francesco Zanotti


Anche quest’anno abbiamo assegnato un Rating ai Business Plan delle Società degli Indici FTSE Mib e Italia Star di Borsa Italiana. Ed abbiamo redatto il Rapporto che si può scaricare da questo link.

In estrema sintesi, i Rating non sono lusinghieri. Dimostrano che i Business Plan della Società degli Indici FTSE MIB e Italia STAR di Borsa Italiana non sono certo “alti e forti”.
Tutto sommato sembra che i redattori dei Business Plan considerino le loro imprese come Istituzioni, destinate a perpetuarsi nel tempo. Il guidarle ha a che fare solo col renderle più efficienti o costruire intorno a loro una rete di protezione finanziaria o politica.

Poiché le società inserite negli Indici di cui sopra sono tra le imprese più importanti del nostro Paese, la somma dei loro business Plan è quanto di più simile abbiamo ad un Country Plan, allora anche il nostro Paese sta cercando di superare la crisi con la conservazione. Ovviamente non riuscendovi.

sabato 18 luglio 2015

Il Rapporto Impresa-Giustizia (...e Impresa-Finanza, Impresa-Sociale,ecc.)

(Lettera Aperta al Presidente di Confindustria)
di
Luciano Martinoli

Egregio Presidente
Ho letto con molto interesse la sua lettera pubblicata sul Corsera del 17 luglio scorso. Mi consenta, a partire dal commento di alcune sue affermazioni, di presentarle una prospettiva diversa, e forse proprio per questo più "utile", per affrontare il tema della sua: il rapporto dell'impresa con la giustizia e, se posso azzardare una generalizzazione, con il sistema degli stakeholder in generale.

mercoledì 15 luglio 2015

Il primo minibond “saltato”. Riflessioni e proposte

di
Luciano Martinoli                                            Francesco Zanotti


E' recente la notizia della richiesta di concordato in bianco della "Grafiche Mazzucchelli", azienda bergamasca che poco più di un anno fa emise uno dei primi minibond.
La conseguenza prevedibile di questa richiesta è che il minibond non verrà più rimborsato.

Le domande che è necessario ed urgente farsi sono almeno quattro.
La prima: era prevedibile?
La seconda: accadrà ancora? Cioè, qual è la percentuale dei minibond emessi a rischio?
La terza: perché si danno soldi a chi non li merita? Detto diversamente: come si fa a individuare chi li merita?
La quarta: ma non è che forse anche il crescere delle sofferenze bancarie nasce perché non si riesce a capire chi merita il credito?
 Andiamo con ordine.

giovedì 9 luglio 2015

Crediti deteriorati e scarti produttivi: considerazioni sulla relazione del Presidente ABI

di
Luciano Martinoli


All'inizio del mantra della "qualità totale", circolava una storiella sulla superiorità giapponese nel settore rispetto agli americani. Un'azienda statunitense, primi anni '70, ordinò 10.000 chip di memoria ad un fornitore giapponese, specificando che avrebbero accettato non più dello 0,5% di pezzi malfunzionanti. Alla consegna della fornitura un funzionario giapponese presenziò il controllo della qualità dei prodotti forniti. Con grande soddisfazione, ma anche con grande sorpresa, i manager americani constatarono che tutti i chip erano perfettamente funzionanti. Alla comunicazione dell'accettazione completa e di soddisfazione della fornitura al funzionario giapponese, questi diede ai colleghi americani una scatola. Sorpresi, chiesero del contenuto e il giapponese disse loro che conteneva "i 50 pezzi malfunzionanti richiesti".
Mentre per gli americani, all'epoca, gli scarti erano fisiologici, e per individuarli dispiegavano importanti e costose risorse per identificarli una volta che i prodotti erano già costruiti , i giapponesi avevano risolto il problema alla radice.
Sappiamo poi come è andata a finire: si è scoperto che la "Qualità totale" è un processo che parte dalle attività per costruire un manufatto e la sua diffusione, ormai su scala planetaria, ha consentito, tra i vari benefici, il miglioramento dei prodotti e la diminuzione dei costi attraverso l'eliminazione degli scarti.
Ma cosa centrano i crediti deteriorati?

venerdì 3 luglio 2015

Stakeholder: un mare di opportunità... inutilizzato

di
Luciano Martinoli


Nella nostra recente ricerca sui Business Plan delle aziende FTSE MIB e STAR, abbiamo allargato l'indagine anche ad alcuni documenti relativi alla Corporate Social Responsability (Bilanci di Sostenibilità, Rapporti di Responsabilità Sociale, ecc.). Lo scopo è stato quello di ricercare il ruolo delle componenti non prettamente economico-finanziarie del business troppo spesso sottaciute, o trattate distrattamente, nei Business Plan ma non per questo però meno rilevanti per il business stesso.

Dall'analisi di tali documenti, e dai colloqui avuti con le aziende resesi disponibili al confronto sul tema, si evidenzia una situazione che si può paragonare ad un isola (l'azienda) immersa e circondata dal mare (tutti gli stakeholder) del quale l'isola è cosciente a tratti, superficialmente e con la quale ha un rapporto nel quale abbondano malintesi.