"Se gli uomini non nutrono un ideale in un mondo migliore perdono qualcosa.
L'umanità non potrebbe funzionare senza le grandi speranze, le passioni assolute."
Eric J. Hobsbawm

venerdì 30 agosto 2013

I furbi e i fessi (del concordato)

di
Luciano Martinoli


Il numero de “Il Mondo” del 30 Agosto dedica la storia di copertina ad un’analisi del nuovo concordato preventivo. E’ uno strumento pensato dal legislatore per evitare il fallimento delle aziende allo scopo di facilitare la possibilità della continuazione della loro attività, a tutela dei lavoratori e dei creditori.
Purtroppo le cose non sono andate così come si voleva. Infatti, riporta “il Mondo”, il concordato ha, nella maggioranza dei casi, o consentito la continuazione delle attività, ma a danno dei creditori, oppure permesso la chiusura senza onorare i debiti.
Ecco perché l’articolo esordisce citando Giuseppe Prezzolini: “i cittadini italiani si dividono in due categorie: i furbi e i fessi”.  
Ma i “fessi” sono coloro presi in giro dai furbetti del concordato o quelli che continuano a non voler affrontare, per ignoranza degli strumenti esistenti, il nocciolo centrale della questione: cosa vuole davvero fare un’azienda?
Ci troviamo di fronte all’eterno effetto collaterale di ogni regolamentazione, fatta la legge trovato l’inganno, o all’incapacità e non volontà di affrontare il cuore del problema?
Io propendo per la seconda ipotesi.

domenica 25 agosto 2013

Mancano i soldi o mancano i Progetti?

di
Francesco Zanotti


… il nostro problema attuale si deve a un eccesso planetario di risparmi, che sono alla disperata ricerca di un posto dove andare”.
La frase è tratta dal libro Fuori da questa crisi, adesso (traduzione italiana edita da Garzanti) Paul Krugman, pag. 156.
Ora, uno dei posti privilegiati dove i risparmi (attraverso gli intermediari, ovviamente) possono andare sono i Progetti.
Ma, guardiamoci bene negli occhi: dove sono i nostri progetti? Non saranno certo ingenue start-up che hanno un tasso di sopravvivenza bassissimo e che non assorbono grandi capitali. E, oltre alla start-up che progetti abbiamo? Troppe grandi imprese chiedono capitali solo per finanziare il debito e per continuare a fare sostanzialmente quello che hanno sempre fatto. Grandi progetti di sviluppo territoriale non ci sono. Un grande progetto Paese non ha mai visto la luce. Anzi le classi politiche locali e nazionali manco li vogliono. Anche di fronte a proposte specifiche per generare grandi progetti dicono di no. Cercano sussidi. Sostengono che, solo dopo, dicono, si potrà pensare a grandi progetti.
In sintesi, siamo proprio sicuri che non attraiamo capitali (quindi risparmio) perché il Sistema paese non funziona e non perché abbiamo perso la nostra verve progettuale?

La mia tesi è proprio che abbiamo perso voglia e verve progettuale. Cioè imprenditoriale. Se ci sono grandi progetti (magari business plan con rating … si, esiste anche il rating dei business plan!) nel mondo si trova certamente chi li finanzia.

venerdì 23 agosto 2013

Competitività e produttività sono controproducenti. Lettera aperta a Guido Gentili

di
Francesco Zanotti


Egregio dottor Gentili,
le chiedo dolcemente, ma fermamente di confrontarsi, pubblicamente sul nostro blog, con una tesi opposta l quella da Lei esposta sul Sole24Ore di oggi (23 agosto 2013). Mi sono permesso di usare l’avverbio “fermamente” perché non si tratta di una tesi che nasce da qualche farneticazione notturna o auto rappresentativa. Nasce dall'insieme delle conoscenze di strategia d’impresa oggi disponibili e dal contributo di conoscenze sistemiche (ad esempio, la teoria quantistica dei campi). Oltre che da mille altre conoscenze.
La sua tesi è “ ... quella dell’economia italiana è una crisi di competitività e produttività sistemica”.
La mia tesi, invece, è che siamo di fronte, a livello economico, a una crisi di senso strategico delle nostre imprese.  Essa, poi, è un ologramma di una crisi di senso complessivo della società industriale.
Se è vera la mia tesi, allora, la ricerca di competitività e produttività sono strategie contro producenti. Così come è controproducente a livello politico-istituzionale ogni strategia di riforme. Rappresentano, infatti, l’estremo tentativo di far sopravvivere sempre lo stesso senso. Sono strategie di conservazione, quando servono strategie di rivoluzione.

Vado a illustrare la mia tesi.
Comincio con cercare di dare una interpretazione alle parole “competitività” e “produttività”. Secondo le più tradizionali conoscenze di strategia d’impresa (si vedano i lavori conosciutissimi di M. Porter) diventare più competitivi significa fare meglio dei concorrenti. Sostanzialmente in termini di prestazioni del prodotto o di costo. Essere più produttivi significa fare più prodotti con le stesse risorse. Per poterli far pagar meno.
Per molte imprese italiane è difficilissimo proporre prodotti con prestazioni significativamente diverse da quelle dei concorrenti. Rimane loro il competere sul prezzo.
Ora, innanzitutto, una competizione di prezzo non la si può vincere (mi scusi l’anacoluto, ma qualche volta è efficace, Manzoni insegna), ma finisce sempre con la morte di tutti i concorrenti. Oppure con una sopravvivenza artificiale garantita dai debiti o dai sussidi.
Ma, poi, se competere significa fare meglio dei concorrenti (sulla qualità o sul prezzo), allora significa anche conservare. Sperare di riuscire a vendere gli stessi prodotti (si potrebbe proficuamente, allargare il discorso ai servizi), anche se con qualche restyling tecnologico e di immagine, significa “conservare”. Darsi l’obiettivo di preservare l’economia attuale.
E che male ci sarebbe? Come ho detto, il problema è che l’economia attuale sta perdendo di senso. E, proprio, per questo, essa è, inevitabilmente, destinata a ridimensionarsi, se non di peggio.
Ma cosa significa crisi di senso?
Diamo una occhiata alle imprese di successo (la misura del successo è la capacità di produrre cassa). Che tipo di prodotti vendono? Consideriamo l’esempio dell’industry dell’auto. E’ stata una impresa di successo la FIAT ai tempi della 500. Lo è oggi la Ferrari. Facevano (la FIAT), fanno (la Ferrari) solo prodotti migliori di quelli dei concorrenti? No! Vendevano non solo prestazioni, ma antropologie. Di significato complessivo (la FIAT), relativamente a nicchie sociali (la Ferrari), ma sempre sostanzialmente nuove antropologie.
Oggi troppe imprese continuano a riproporre l’antropologia della società industriale che non è più ricercata nelle società avanzate, sta dimostrando tutte le sue lacune negli altri modelli sociali (veda l’articolo sullo stesso Sole24Ore di oggi di Michael Spencer), non è più compatibile (l’assorbimento di risorse e di energia delle modalità produttive e distributive) con la Natura.
Allora la soluzione non può davvero stare in competitività o, peggio, produttività (che senso ha, se parliamo di produttività di impresa che si fanno con le stesse risorse più prodotti che poi non si vendono?).
E dove sta la soluzione? In una nuova intensità progettuale che riesca ad immaginare nuovi prodotti e nuove modalità di produzione che rappresentano nuove antropologie. Solo per fare qualche esempio, nelle società avanzate l’autorealizzazione personale avviene sempre meno attraverso l’acquisto dei prodotti tipici di una società industriale. E’ vero che sono pochi i prodotti antropologicamente nuovi, ma se si pensa ai prodotti tecnologici, ai prodotti proposti dal commercio equo e solidale o ai prodotti a Km 0, si trovano esempi significativi. Per quanto riguarda i sistemi di produzione e distribuzione, se si pensa alle potenzialità delle stampanti 3D unite alle possibilità di produzione locale di energia, non si fa difficoltà ad immaginare cosa questo voglia dire per le attuali strutture produttive centralizzate, per le infrastrutture, per le modalità di trasporto.

Ora, una nuova capacità progettuale non la si genera con esortazioni retoriche, ma fornendo alle classi manageriali ed imprenditoriali nuove risorse cognitive. Sono contrario alle rottamazioni. Non basta cambiare classe dirigente, né sostituire una classe dirigente matura con una giovane. La differenza sta nella ricchezza delle risorse cognitive di cui dispongono.

Il problema (e la sfida) è, allora, quella di fornire nuove risorse cognitive alle attuali classi dirigenti e per formare le classi dirigenti prossime venture.
Quali risorse cognitive? Ad esempio, le conoscenze e delle metodologie di strategia d’impresa più avanzate (che non sono le conoscenze e le metodologie che analizzano e progettano competizione) che sono completamente sconosciute.
Vuole un esempio? Le mando un articolo apparso su M&F che parla del Rating che abbiamo assegnato ai Business Plan della società degli indici FTSE Mib e STAR di Borsa Italiana. Vedrà che non si tratta di Piani di rivoluzione, ma di budget di continuità. Come se queste imprese fossero istituzioni. Ma il problema non sta nella incapacità o nella non volontà di chi le dirige. Ma nel fatto che si trascura il ruolo delle risorse cognitive. Si usano modelli di business plan (cioè linguaggi progettuali) poveri. E il risultato non può che essere povero. Parlavo all'inizio di “mille altre conoscenze”. Ad esempio ritengo rilevante la presa di coscienza della “rivoluzione” proposta dalla svolta linguistica che si è avuta nella filosofia e che corrobora la nostra convinzione di puntare sulle risorse cognitive, che del concetto di linguaggio ci sembrano una proficua generalizzazione.
In attesa di una Sua risposta che pubblicherei su questo stesso Blog,
Suo
Francesco Zanotti



giovedì 22 agosto 2013

Non esiste la “cultura d’impresa”!

di
Francesco Zanotti


Non sto sostenendo che la cultura d’impresa non sia diffusa e che occorre diffonderla. Non sto neanche sostenendo che esista una cultura anti-impresa.
Dico che una cultura d’impresa proprio non esiste. Esiste solo una piccola raccolta di espressioni retoriche (anche senza senso) che si fa in fretta a elencare: il valore del mercato, della libera iniziativa e del profitto, la necessità della competizione, la voglia di fare, l’accettazione del rischio. E ora non mi viene in mente altro.
Una cultura d’impresa, invece, dovrebbe definire cosa esattamente sia una impresa, quali siano le sue interazioni con l’ambiente esterno e come si descriva il suo posizionamento, quali sono i processi di evoluzione del posizionamento che queste interazioni determinano, quale tipo di valore l’impresa produce. Da ultimo: come si governa questo sistema impresa di cui si sanno le “cose” di cui sopra.
Le risposte a queste domande non si trovano né in libri di testo, né in seminari. Se qualcuno ha notizia del contrario, ce lo comunichi.
Se, poi, siete convinti di possedere personalmente la cultura d'impresa, allora provate a rispondere alle domande di cui sopra. Se lo sapere fare, siete titolari di una cultura d’impresa, se non lo sapete fare, no! Quando poi scopriste di possedere una cultura d’impresa, provate a confrontarla con quella degli altri: dovrebbe essere simile …
Se, invece, scoprite di non sapere rispondere a queste domande, fatevi qualche domanda sul rapporto tra voi e la crisi … E, poi, andate alla ricerca di chi possa aiutarvi a rispondere a tutte le domande di cui sopra.
Altrimenti si continuerà a scrivere “Information memorandum” che parlano del nulla. Ma poi finiscono col proporre dei numeri il cui messaggio è sempre lo stesso: oggi vado male, ma se mi dai altri soldi andrò benissimo. Alla domanda “ma perché se oggi perdi domani guadagnerai?” la risposta di un Information Memorandum è: perché mi piace che sia così.

martedì 20 agosto 2013

Formare, soprattutto, le vere classi dirigenti

di
Francesco Zanotti


Quando si parla di formazione si intende la formazione dei giovani o degli operai.
Certamente è importante, ma è più importante ed urgente la formazione delle classi dirigenti imprenditoriali, manageriali e mediatiche. La ragione è che esse, oggi, si trovano a cercare di uscire dalla crisi usando sistemi di risorse cognitive assolutamente inadeguati.
Facciamo due esempi. Il primo è costituito dalle conoscenze e dalle metodologie di strategia d’impresa. Si usano conoscenze e metodologie di strategia d’impresa che sono più primitive di quelle che erano disponibili agli inizi degli anni ’90. Se qualcuno volesse, possiamo rendere disponibile uno studio che presenta le metodologie e le conoscenze di strategia d’impresa , appunto, dei primi anni ’90. Basta confrontarle con le metodologie usate dalle principali istituzioni finanziarie e dai principali advisor finanziari. Un esempio nell’esempio: la SWOT Analysis oggi usatissima era già giudicata superata nel primi anni ’80.
Il secondo esempio è costituito dalla visione del mondo delle classi dirigenti attuali. Essa è costituita, anche se non ne sono consapevoli, dalla visione del mondo formalizzata dalla fisica classica. E’ una visione anti-imprenditoriale perché si basa sull'ipotesi che l’ambiente abbia leggi e fenomeni che non si possono governare. Ancora una volta è utile riflettere sulla SWOT Analysis che è, appunto, fondata sull'ipotesi che il mondo che sta di fronte ad una impresa non può essere gestito, ma ci si può solo adeguare.

Fate usare la SWOT Analysis ad un imprenditore e gli farete perdere tutta la sua energia imprenditoriale. Fate, invece, usare ad un imprenditore le più avanzate conoscenze di strategia d’impresa, che sono fondate su di una diversa visione del mondo (una visione quantistica) e moltiplicherete la sua energia imprenditoriale.

sabato 17 agosto 2013

Sussurri e grida …

di
Francesco Zanotti
Aumenta il PIL dell’Eurozona di pochi decimi … La domanda (sussurrata): ma siamo sicuri di avere strumenti di rilevazione così precisi da apprezzare decimi di punto? La risposta (gridata): ma certo che no! Ed allora di cosa stiamo parlando?
Poi, come tutti sanno, nel calcolo del PIL si mette anche la spesa pubblica. La domanda (sussurrata): ma non è che l’amento del PIL si dovuto forse ad un aumento delle spesa pubblica? Qualcuno sussurra di sì. Se così fosse, non illudiamoci. Ecco la nostra reazione urlata (cioè proclamata da tutti come necessaria): contribuiremo noi a eliminare questo tipo di ripresa con la “Spending review” con la quale ridurremo la spesa pubblica e, quindi, il PIL. Ma allora, ci stiamo auto prendendo in giro: dichiarando due obiettivi conflittuali (aumento del PIL e diminuzione della spesa pubblica)? Mi si potrebbe rispondere: ma aumenteremo ancora di più altre componenti del PIL: consumi, investimenti, saldo commerciale con l’estero? Ma di quanto dovranno aumentare queste voci per controbilanciare (non ancora superare) la desiderata riduzione della spesa pubblica? Anche tenendo conto che il ridurre la spesa pubblica significa, alla fine; rendere disponibili meno risorse per consumi e investimenti.

Il grido finale: abbiamo costruito parametri di riferimento che costituiscono una gabbia quasi insormontabile di contraddizioni. Uno splendido contributo al non capire nulla e allo sviluppo di politiche contraddittorie e generatrici di crisi.

martedì 13 agosto 2013

Infrastrutture cognitive, non fisiche

di
Francesco Zanotti

Sul Sole 24 Ore di oggi un articolo di fondo del Prof Quadrio Curzio. La sua tesi è che una vera ripresa verrà solo da un “significativo intervento europeo per rilanciare grandi infrastrutture”.
Mi permetto di dissentire per almeno due ragioni.
La prima è che non sappiamo quali infrastrutture serviranno nel futuro. Infatti, la possibilità di produrre beni materiali e energia “localmente” e il cambiamento dell’antropologia della società industriale (conseguenti e generanti nuove modalità di trasporto e produzione) cambieranno completamente le esigenze di trasporto fisico: sia di materie prime che di merci e di persone.
Ci serviranno infrastrutture comunicative, ma anche queste non potranno essere solo un potenziamento di quelle attuali.
La seconda ragione è che il cambiamento fondamentale che dobbiamo fare è nella struttura cognitiva della nostra società. Stiamo ancora usando la infrastruttura cognitiva della società industriale. E da essa non riusciamo a liberarci. Se non ce ne libereremo e ci arricchiremo di una nuova struttura cognitiva, non riusciremo a riprogettare una nuova società.
Ma cosa è una nuova struttura cognitiva? Solo degli esempi. E’ costituita da nuove conoscenze di strategia d’impresa che possano moltiplicare la progettualità imprenditoriale. Così da immaginare, per esempio, i nuovi sistemi di produzione e di trasporto coerenti con la nuova antropologia della società post industriale. Ma anche per immaginare nuovi sistemi di servizi, un nuovo welfare etc. E’ costituita da una nuova visione del mondo che permetta agli economisti di uscire dal circolo vizioso della battaglia per le risorse finite. E’ costituita da una nuova cultura organizzativa che sappia attivare e gestire processi di auto sviluppo delle organizzazioni. E’ costituita da un superamento della visione galileiana della scienza che porta ad assurde “teorie del tutto” in campo fisico, genetico, nelle neuroscienze etc. Quel superamento che, credo, farebbe lo stesso Galileo se, vivendo ai nostri giorni, conoscesse tutto quello che oggi conosciamo.


domenica 11 agosto 2013

Una domanda impertinente: soldi alle imprese… ma per farne cosa?

di
Francesco Zanotti


Tante voci sul Sole 24 Ore, un unico messaggio: è urgente fare arrivare soldi alle imprese.
Ma nessuno si pone il problema di cosa se ne faranno le imprese. Anche la “vicenda” dei mini bond viene presentata con una ragione curiosissima: poiché è difficile trovare domanda di credito “buono”, allora troviamo forme di finanziamento diverse dal debito bancario. Ma se non è buono il “credito”, come fa ad essere buono il fornire risorse a debito da parte di finanziatori che non siano le banche?
Io credo esista una ragione nascosta, forse non consapevole, ma decisiva in questo ragionare. In realtà si attende che la ripresa metta tutto a posto. Peccato che una ripresa alta e forte dell’attuale economia non ci sarà. Ci sarà solo la nascita di una nuova economia.
Allora merita credito o capitale solo chi riprogetta radicalmente la propria impresa. Ma chi è in grado di capire se un progetto strategico racconta di una rivoluzione o descrive solo come ci si attrezza per sopravvivere fino anche non ci sarà la ripresa? Sarebbe possibile farlo, ma occorrerebbe una rivoluzione nelle conoscenze e negli strumenti di analisi e progettazione strategica che usano banche ed imprese. Purtroppo negli ultimi vent'anni si è proceduto con il passo del gambero. Agli inizi degli anni ’90 avevo costruito una sintesi delle conoscenze e degli strumenti di analisi e progettazione strategica allora disponibili. Riguardando quella sintesi venti anni dopo mi accorgo che una parte rilevante di quelle conoscenze e quegli strumenti è stata addirittura dimenticata. Non solo non si cercano nuove conoscenze e nuovi strumenti di analisi e progettazione strategica, ma si dimenticano anche quelli che sono disponibili da decenni.
La conservazione è in ogni angolo. La conservazione culturale e professionale è interpretata con determinazione. Ogni progresso è visto come un attacco di lesa maestà a ruoli professionali o manageriali.

E’ il momento di abbandonare la pratica della conservazione che si porta dietro la retorica di una crescita che non arriva mai.

venerdì 9 agosto 2013

Seat e Aedes


di
Francesco Zanotti


Sulla stessa pagina del Sol 24 Ore: le storie diversissime di Seat e Aedes. Diversissime salvo un particolare: ambedue nei guai (sembrano molto maggiori quelli di Seat) per previsioni sbagliate.
Era possibile capire se le previsioni era realizzabili o no? Sì! Bastava assegnare un Rating ai loro Business Plan. Ma non è stato fatto. Colpevolmente? No, almeno nel senso che qualcuno ha manipolato qualcosa. Forse distrazione, invece di colpa. Distrazione sulla conoscenza. Esistono conoscenze e metodologie per assegnare un Rating ai Business Plan. Distrazione, con rischio di scivolare verso la colpevolezza. 

mercoledì 7 agosto 2013

Cento miliardi di surplus commerciale, ma il resto?

di
Francesco Zanotti
Marco Fortis sul Sole 24 Ore di oggi: “Italia nel <<club dei 100 miliardi>> di surplus commerciale”.
Notizia positiva certamente che l’Italia sia tra le sole cinque economie del G20 a presentare un surplus strutturale manifatturiero.
Ma non basta, anzi rischia di essere fuorviante.
Innanzitutto il problema non sono le imprese che generano il surplus commerciale. Ma le altre. Moltissime altre non hanno alcuna possibilità di rimanere sul mercato a causa del fatto che producono prodotti poveri a prezzi impossibili. E nessun mettersi in rete, neanche se vengono portate all'estero in carrozza gratis, rende i loro prodotti almeno accettabili.
Queste moltissime altre sono, da sole, in grado, in un prossimo futuro, di mettere in crisi il sistema bancario e di generare ulteriore e diffusa disoccupazione.
Poi vi sono altre imprese che vengono giudicate falsamente eterne. Il caso emblematico è quello della FIAT che vende un prodotto che dovrà subire un drastico ridimensionamento nelle quantità prodotte e nel suo significato esistenziale. Anche il lusso è problematico: sta cambiando l’antropologia che giudica il lusso desiderabile e i marchi del lusso meritevoli dei prezzi che chiedono.
Da ultimo, ma forse il fattore più importante: l’attuale tipologia di prodotti e di sistemi di produzione e di trasporto sono del tutto incompatibili con la Natura.
Concludendo, si può risolvere la crisi solo attraverso una nuova ed intensa progettualità strategica che porti ad una riprogettazione complessiva di sistemi industriali ed economie.

E l’urgenza prima è diffondere le risorse cognitive che permettono questo salto di qualità nella progettualità strategica.

lunedì 5 agosto 2013

Taranto, progettualità … con le risorse cognitive di sempre

di
Francesco Zanotti


Ieri è uscito sul Sole 24 Ore un articolo di Aldo Bonomi che descriveva i risultati del Forum di Confindustria di Taranto.
Risultati di “obiettivo”: “ […] fare progetti sia dei saperi contestuali diffusi nell'agricoltura, nelle ceramiche, nel lavoro operaio di qualità, sia dei saperi formali delle università pugliesi e di una discontinuità delle forze sociali chiamate ad una nuova rappresentanza degli interessi.”.

Ma nonostante il titolo dell’articolo Taranto può essere la nuova Manchester. Ecco come fare, la proposta del “fare” non si trova. Non si dice come fare quei progetti. Noi abbiamo sviluppato una proposta sul come fare, l’abbiamo inviato ai vertici dell’ILVA, ne abbiamo discusso …ma poi è prevalsa la “prudenza” del non fare. O del fare retorico dei Convegni. Perché accade questo? Non certo per cattiva volontà o incompetenza. Perché il nostro progetto richiede risorse cognitive nuove che le classi dirigenti non hanno e non la capacità di acquisire. Rendiamo pubblico il nostro il progetto. Ecco il link: Progettualità Sociale.

giovedì 1 agosto 2013

Marchionne e la “non conoscenza” … diffusa

di
Francesco Zanotti

“Non conoscenza” è una espressione strana, ma funziona meglio di “ignoranza”. Indica che qualcosa non si conosce, senza aggiungere tutti quei meta significati negativi sulla persona che sono sempre ingiusti.
Perché legata a Marchionne? Perché la sua convinzione che sia difficile lavorare in Italia è dovuta ad una visione primitiva del binomio strategia/organizzazione. Se accettasse di apprendere ed usare le conoscenze strategico-organizzative (e le conoscenze che derivano dalle scienze naturali ed umane) che si sono sviluppate negli ultimi decenni penserebbe esattamente il contrario: che l’Italia è il luogo dove si può fare impresa nel modo più avanzato del mondo.
Facciamo qualche esempio. La ideologia strategica di Marchionne è quella della società come competizione. Suggerirei la lettura di un libro, tra l'altro non recentissimo (1996), ma sconosciuto a tutti coloro che idolatrano la competizione, non comprendendo che la competizione è generata dal competere: The death of competition di J.F Moore, edizioni Wiley.
La sua ideologia organizzativa è quella del “World Class Manufacturing System” di Toyota. Ora, oltre che sembrarmi poco “competitivo” copiare i concorrenti, basterebbe leggere gli scritti di Morelli, Damasio, Edelman, Vitiello e moltissimi altri per capire quanto questo sistema di produzione sia organizzativamente primitivo.
Purtroppo questa “non conoscenza” è abbastanza diffusa perché anche la replica del Ministro Giovannini si è ben guardata di citare queste conoscenze.

Che fare? Non so … forse attendere che la situazione sia ancora più grave per sperare che la nostra classe dirigente apra finalmente il Dossier “Conoscenza”.