"Se gli uomini non nutrono un ideale in un mondo migliore perdono qualcosa.
L'umanità non potrebbe funzionare senza le grandi speranze, le passioni assolute."
Eric J. Hobsbawm

venerdì 30 settembre 2016

Stiracchiando di qua si scopre di là … il più grande contropiede della storia

di
Francesco Zanotti

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Morya Longo sul Sole 24 ORE di oggi: ma sapete cosa potrebbe capitare se davvero aumentasse l’inflazione? Come scrive il dott. Longo: il più grande contropiede della storia. Da 100.000 miliardi di dollari.

La sua analisi è semplice: se le banche centrali raggiungessero il loro obiettivo di far arrivare al 2% (annuo, ovviamente) l’inflazione … Un momento, ma perché si pensa che sia importante farla arrivare al 2%? Io non ho una risposta. E mi sembra che non ce ne siano. Se, però, qualcuno pensa di averla, mi piacerebbe conoscerla, magari formalizzata in un qualche modello e non in chiacchiere ... Ma torniamo al tema.
Se l’inflazione arrivasse al 2%, magari a causa dell’aumento del prezzo del greggio che tutti auspicano (… meno quelli che consumano energia, cioè quasi tutti …), il dott. Longo sostiene che si avrebbe una pesante ricaduta sul mercato di titoli di stato e bond che verrebbero venduti per far “scender i prezzi e salire i rendimenti a livelli più coerenti con un’inflazione più alta”. E questo genererebbe (vi risparmio i dettagli tecnici) ingenti perdite per banche, fondi pensione e risparmiatori. “Il più grande contropiede che la storia ricordi” scrive il dott. Longo riferendosi al fatto che il mercato di titoli di stato e bond veleggia intorno ai 100.000 Miliardi i dollari.

Al di là della gravità del problema, si tratta di una ulteriore dimostrazione che con questa mania del voler ricostruire un fantomatico equilibrio ci si accorge che il problema è che stiamo cercando di stiracchiare una coperta troppo corta. Coprendo di qua scopriamo di là … alla fin generando squarci che hanno il peso di 100.000 miliardi …
Uomini di buona volta, con il coraggio della responsabilità: dobbiamo avere il coraggio di riprogettare una nuova coperta economica, sociale, culturale. Solo dopo istituzionale.
E prima di tutto dobbiamo avere il coraggio di dirlo a noi stessi che dobbiamo avere il coraggio della progettualità.



martedì 27 settembre 2016

Se fossi un sindacalista bancario …


di
Francesco Zanotti

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Sfiderei il management bancario sulla progettualità …

Se fossi un sindacalista bancario accetterei di non partecipare alla progettazione strategica e di occuparmi solo dei “costi” difendendo l’occupazione.
Partendo da questo punto di vista, andrei dai top manager delle banche dicendo qualcosa del genere.
“Visto che la responsabilità imprenditoriale (non ragionieristica) di progettare il futuro è vostra prerogativa, allora noi vi chiediamo di fare un Piano industriale che preveda l’aumento non solo della quantità, ma anche della qualità dell’occupazione. I top manager obietterebbero che non è assolutamente possibile. Ed allora replicherei: visto che voi top manager vi dichiarate incapaci di fare un Piano che abbia come obiettivo l’aumento della quantità e qualità dell’occupazione, ci proviamo noi a farlo.”


domenica 25 settembre 2016

Circoli viziosi nelle teste e non nelle cose …

di
Francesco Zanotti

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Si dice che la deflazione generi guai: riduce i margini industriali, azzera i profitti, taglia gli investimenti. Ma cosa causa la deflazione? La mancanza di credito … e la mancanza di credito dipenda dalla deflazione. Una circolarità perversa che non dà speranza. Ma la circolarità è nella cose o nella loro rappresentazione?

Qualche giorno fa sul Sole 24 ORE era uscito un articolo, a firma Paolo Bricco, sul circolo vizioso della deflazione.
I guai della deflazione sono rilevanti, sostiene l’articolista: non si guadagna più, non si distribuiscono utili, non si investe più. Ma cosa genera la deflazione? Secondo il Centro Europa Ricerche citato dall’articolista è per il 65% il credito.
Ora al di là del fatto che non si capisce bene cosa significa che il credito pesa per il 65% (come hanno fatto a ricavare questa percentuale), il credito crea la deflazione perché ad esempio non permette investimenti, ma il calo degli investimenti non era un effetto della deflazione e non la causa?
Un circolo vizioso, tanto che l’articolista dice che la deflazione è “come l’AIDS, una malattia matrioska che contiene ed a sua volta è contenuta da altre patologie.”
Ma detto questo non si va da nessuna parte.
Allora proviamo a linearizzare.
La deflazione è causata dalla noia: interessa sempre meno quanto le imprese industriali producono. E i clienti comprano sempre meno e vogliono pagare sempre meno. Ovvio che calino margini e profitti e che le imprese non vogliano investire in prodotti che non interessano più. Il credito segue a ruota: è inutile offrire denaro a chi non sa cosa farsene. Se non utilizzarlo per sopravvivere e generando così sofferenze.
Che fare? Riavviare la progettualità imprenditoriale perché si immaginino prodotti e servizi radicalmente nuovi …  verranno comprati a un prezzo remunerativo, sarà necessario fare investimenti che non si trasformeranno in sofferenze …
I circoli viziosi sono davvero nelle teste e non nelle cose.



venerdì 23 settembre 2016

Dove mette i nostri soldi il piano del Governo per l'Industry 4.0?

di
Luciano Martinoli


Considerazioni sul recente piano del Governo per l'incentivazione degli investimenti per realizzare il paradigma Industry 4.0: incentiva le cose davvero "giuste"?

Su ilsole24ore di oggi vi è un commento del prof. Barba Navaretti sul piano appena annunciato dal Governo. Plaude, e io con lui, la scelta di una incentivazione "orizzontale", atipica nella tradizione di politica industriale del nostro paese, che certamente supererà il problema di come evitare di puntare sui "cavalli sbagliati". Non condivido invece l'approvazione per il criterio di incentivazione adottato, quel "cosa", rispetto a "chi", che è riassumibile in: ricerca e sviluppo, investimenti in macchinari e supporto alle pmi e start-up innovative. L'autore individua in queste misure la possibile modalità con la quale uscire dallo "schiacciamento" del nostro settore produttivo effettuato "dal basso, dai produttori low cost dei paesi emergenti, e dall'alto dalle produzioni high tech dei nostri concorrenti avanzati".

Questa ultima affermazione fa emergere il sospetto che l'autore si riferisca solo a come ottenere una migliore efficienza della produzione, dubbio subito risolto quando parla immediatamente dopo di "fabbriche competitive", cioè: come fare le stesse cose che fanno gli altri a meno!
Ritengo che il problema, come spesso ricordiamo da queste pagine virtuali, non sia la scelta tra low cost, che non ci possiamo permettere, e high tech, che potrebbe risultare sterile e fine a se stesso. La soluzione è creare il top meaning, il massimo dei significati, l'Alto di Gamma (come amano definirlo in Bocconi), o quel rinnovamento imprenditoriale, come piace chiamarlo a noi, che è innanzitutto di significato e solo dopo riguarda il come produrlo. Abbiamo bisogno di aziende che creino significati in tutti i settori, come la Ferrari nelle auto, ma anche la Brugola nei sistemi di fissaggio, la Nutella di Ferrero, Grom nei gelati, e tanti altri che, purtroppo, sono ancora troppo pochi.
E' da stimolare questa imprenditorialità, dargli una forma compiuta e comprensibile, fargli fare un salto di qualità allo scopo di concentrare su essa, e stimolare gli altri a fare lo stesso, gli investimenti "implementativi" (R&D, macchinari e supporti finanziari).

In assenza di questa capacità di visione del sottostante, il rischio è fornire supporti a chi fallirà non perchè non fa ricerca o non realizza l'Industry 4.0, ma perchè fa ricerca e usa Industry 4.0 per cose che non interessano più a nessuno.

Come si fa a scongiurare questo pericolo? 
Come sempre ripetiamo, attraverso la predisposizione e l'opportuna valutazione di progetti d'impresa, che tecnicamente sono i Business Plan, che devono illustrare in modo compiuto la capacità di genesi imprenditoriale e dimostrare come questa consentirà all'azienda di produrre flussi di cassa elevati.

In assenza prepariamoci a constatare, qualora il Governo predisponga un sistema di valutazione ex-post che l'autore auspica, un ulteriore fallimento con spreco di risorse pubbliche.




giovedì 22 settembre 2016

Industry 4.0: e il “socio”?

di
Francesco Zanotti

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Una volta si diceva che un’impresa è un sistema socio-tecnico. Quando si parla di Industry 4.0 si parla della dimensione tecnica, ma e quella “socio”? Oramai dovrebbe essere chiaro che è la dimensione prevalente: sono le persone che, attraverso le loro risorse cognitive “progettano” e “usano” le macchine

Se oggi leggete Il Sole 24 ORE, scoprirete che in fondo all’articolo di Paolo Bricco (pur l’unico a parlarne tra tutti coloro che ne hanno scritto sul Sole 24 ORE e sul Corriere, anche perché di questo tema il Governo non ha fatto cenno) si ammette che la fabbrica, però, ha un’anima. Che essa è costituita dalle persone. E come si gestisce quest’anima? La risposta è: con il salario di produttività. Della serie: usate bene le macchine che verrete pagati di più.
Io credo che vi sia una completa sottovalutazione della dimensione “socio”. Se si prova ad esaminarla, usando le conoscenze disponibili (ma perché non usarle), si scopre che l’impresa è certamente un sistema tecnologico. Ma esso, non può che essere usato dalle persone come ambiente (strumento) per costruire le loro relazioni.
Allora quando si cambia l’ambiente tecnologico, ad esempio proprio quando lo si digitalizza, a meno che non si costruisca un sistema completamente automatizzato, occorre cercare di capire come questo cambiamento tecnologico impatta sul “socio”, sul sistema di relazioni esistente.
Il rischio è che tutte le potenzialità delle tecnologie vengano disperse. Della serie: un grande miglioramento tecnologico, ma un grande peggioramento delle prestazioni organizzative
Non occuparsi del “socio” è almeno imprudente, visto i soldi che pensiamo di investire e le attese sul ritorno. Proviamo, allora, ad immaginare quali conoscenze e metodologie servono per occuparsi di un “socio” spesso capriccioso, qualche volta conflittuale, qualche volta egoista, ma sempre vera fonte delle potenzialità di futuro? Non dimentichiamo che le virgolette ai verbi  “progettano” e “usano” stanno ad indicare che il progettare non è calcolare e l’usare è non si sa a che fini.


martedì 20 settembre 2016

Nessuno lo sa? Allora facciamo qualche proposta

di
Francesco Zanotti

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Il Sole 24 Ore, due articoli diversissimi, ma con la stessa conclusione: nessuno lo sa!
Più “decisa” la conclusione di Luca Ricolfi in un suo articolo di Domenica 18 settembre. L’articolo sostiene la tesi che solo attraverso una crescita dell’economia è possibile ridurre il debito pubblico. E l’ultimo paragrafo dell’articolo suona così: “Perché nessuno, ma proprio nessuno, pare avere un'idea praticabile, e per “praticabile” intendo economicamente e politicamente praticabile, per liberare Sisifo dalla pena cui è condannato per l'eternità.”.
Più “formalmente dolce”, la conclusione di Morya Longo sul Sole24Ore di oggi in un articolo dal titolo “La sindrome di Woody Allen che affligge i mercati”. Dopo aver citato una serie di fenomeni (tutti quelli importanti) sui quali nessuno sembra capirci nulla, l’ultima frase è la seguente: “Ma, in questa era degli algoritmi, davvero nessuno lo sa.”.
Molte altri sono i “luoghi mediatici” dove ad analisi preoccupate seguono proposte troppo generali. “Nessuno lo sa” sembra un mantra emergente.
Ecco il nostro mestiere è proprio quello di dare un contributo alla comprensione ed all’azione.
Un esempio su tutti: abbiamo costruito uno Scenario di Sviluppo del sistema bancario, che è una delle “cose” che rimane avvolta nel mistero. In questo scenario disegniamo un nuovo modello di business capace di costruire sviluppo economico, non di attenderlo o di chiedere che qualcuno lo generi. E di aumentare la quantità e la qualità dell’occupazione del sistema bancario. Secondo noi varrebbe la pena almeno di discuterne. Il nostro scenario è disponibile QUI.

venerdì 16 settembre 2016

Il Rapporto del Centro Studi Confindustria. E se si dovesse guardare da un’altra parte?

di
Francesco Zanotti
Stamattina il Sole 24 Ore parla diffusamente dell’ultimo Rapporto del Centro Studi Confindustria.
Contiene molte osservazioni ragionevoli, ma nell’attuale contingenza rischiano di essere frenanti. Nascondono il problema di fondo.
I cardini della loro proposta sono investimenti, produttività e finanza.
Sembrano ragionevoli, ma …
Se si vuole aumentare la produttività del lavoro diminuendo i costi si scatena solo una gigantesca battaglia di prezzi che non costruisce spesso sviluppo. Se, invece, si vuole giocare sul numeratore (il valore prodotto) allora servono progetti di sviluppo alti e forti che non si vedono. L’industry 4.0 non è un progetto. E solo una proposta di efficienza ed efficacia produttiva che rimane isolata nella dimensione tecnica perché nessuno di quelli che se ne occupano sembrano rilevarne le dimensioni sociologiche e antropologiche. Insomma: immettiamo tecnologie (ovviamente digitali) a iosa. Poi se avremo problemi ad implementarle e continueremo a produrre qualcosa che nessuno vuole più … beh, pazienza. Chiederemo altri sussidi statali. Abbiamo invece bisogno di progetti altri e forti che contengano in nuce (che siano ologrammi) di una nuova società.
La finanza deve aiutare di più le imprese. Il CSC denuncia ad esempio che le banche hanno ridotto i prestiti. Ma torniamo al discorso di prima. Il problema non è trovare soldi. Il problema è rispondere alla domanda: che te ne fai. I guai che nascono dal non chiedere cosa te ne fai o accettare come risposta un Business Plan che non sia solo fogli excel sono dimostrati, in generale, dal crescere delle sofferenze. Più in particolare dal caso Minibond che viene raccontato da Luciano Martinoli.
Se poi parliamo di sgravi fiscali, riduzione del costo del lavoro etc., allora siamo proprio morti. Compito delle imprese è quello di generare risorse per gli azionisti e per la collettività. Prima di ridurre le aliquote che le imprese esibiscano tanti utili da poterlo permettere. Ricordo l’orgoglio di un amico imprenditore: “il Commercialista mi dice che posso tranquillamente usare l’auto intestata all’impresa senza problemi. Ma io ho voluto che quel benefit fosse esibito nella mia dichiarazione dei redditi perché ci voglio pagare le tasse sopra.”. Io credo che molti imprenditori abbiano questo spirito. Ma non sono più in grado di sostenerlo. Non li aiuteremo nascondendo il problema fondamentale: non dobbiamo costruire sopravvivenze sempre più stentate che chiedono sempre più sussidi. Dobbiamo rivitalizzare le imprese con una progettazione strategica alta e forte. 
Cari imprenditori, immaginate un nuovo mondo. Solo così farete soldi per voi e per la collettività.


martedì 13 settembre 2016

E' la Borsa che serve alle aziende o... viceversa?

di
Luciano Martinoli


Non passa giorno che non affiori questo interrogativo. 
Ad esempio ancora oggi sul sole24ore è apparso un articolo sul tema. Si parla di come le oscillazioni di Borsa dipendono moltissimo non da cosa fanno, o non fanno, le aziende i cui titoli sono scambiati, ma da eventi (iniziative BCE e FED, indebitamento aziende cinesi, eccetera) che sono distanti anni luce dalle dinamiche industriali delle singole imprese. 
Vengono allora a cadere le motivazioni riguardanti la visibilità, la fiducia, l'apertura verso il "mondo" così insistentemente sbandierati dalla narrazione mediatica, dai gestori dei mercati, dall'accademia.
Ma se una maggiore visibilità verso "l'ambiente" di business è necessaria per lo sviluppo dell'impresa, e la Borsa non è più funzionale a questo scopo, cosa fare in alternativa?

venerdì 9 settembre 2016

Perché la noia non faccia paura: mettiamoci a studiare!

di
Francesco Zanotti

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Davvero lo diciamo da anni, ma è difficile da accettare: non si sa cosa fare. Occorrerebbe parlare di cose di cui non si sa o non si vuole parlare …
L’altro ieri (7 settembre, a firma Marco Valsania) il Sole 24 Ore parlava di noia: Apple non stupisce più, ma annoia. Oggi, però, commentando un grido di dolore della grande distribuzione “Consumi che non vedono la ripresa”, non riesce a leggere il problema in termini di noia. Si appiattisce sulle cause “viste” dalla grande distribuzione e non si accorge che si tratta solo di cause secondarie. Il vero problema (e basta leggere il Sole di ieri per averne una conferma) è davvero la noia: i prodotti tipici della società industriale interessano sempre meno. Hanno una funzione banalmente strumentale. E se ne comprano meno. Sono sempre meno le persone che hanno decine di paia di scarpe costosissime. Si compra quello che serve perché o non interessa più apparire o, per apparire, si scelgono altre vie che non siano l’acquistare e lo sfoggiare prodotti. E, così, di prodotti ne servono sempre meno.
Come abbiamo detto, però, si tratta di una conclusione che spaventa, disorienta. Rende insignificanti parole come “competitività”, “produttività”, aiuti alle imprese, stimoli fiscali.
Si scopre che queste sono strategia che servono solo a puntellare l’economia attuale, ma oggi occorre riprogettarne una nuova. E per riuscirci occorre usare un insieme di risorse cognitive che oggi non sono nella disponibilità delle classi dirigenti. Mi riferisco alle conoscenze ed alle metodologie di strategia d’impresa.

Precondizione per lo sviluppo: amici, mettiamoci a studiare. Per non trascinare tutti nel baratro di una crisi ben più grave di quella attuale.

giovedì 8 settembre 2016

La noia è il vero problema …

di
Francesco Zanotti

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Ieri il Sole 24 Ore parlava di “stanchezza da sbadiglio” a proposito del nuovo iPhone.
Se ne è accorto anche il Sole che il vero problema è la noia …
Noi ne scrivevamo tre anni  e mezzofa  su questo stesso blog, parlando del credit crunch
“Oggi (19 gennaio 2013) il Sole 24 Ore parla delle “Le nuove linee guida di Bruxelles per superare il credit crunch”. E siamo alle solite. Mi spiego
Va certamente bene aumentare le vie attraverso le quali far affluire risorse finanziarie alle imprese, ma occorre stabilire anche a quali imprese aprire queste vie. L’unico criterio significativo è quello di valutare i Progetti di futuro delle imprese che devono essere scritti in un business plan.
Il problema non è il credit crunch. Il problema è lo spegnersi dell’imprenditorialità nella noia. Il rischio è che si finisca per finanziare la noia con i soldi dei risparmiatori (se finanziano le banche) o dei cittadini (se finanzia lo Stato). O come si dice popolarmente: finisce che finanzia Pantalone. Che sembra essere il nuovo nome dei cittadini/risparmiatori che dovranno mantenere chi si annoia a produrre noia.”

Se fossimo stati ascoltati ter anni fa, ad esempio, saremmo riusciti ad evitare la débâcle dei minibond ed avremmo affrontato in modo radicalmente diverso il problema degli NPL.