"Se gli uomini non nutrono un ideale in un mondo migliore perdono qualcosa.
L'umanità non potrebbe funzionare senza le grandi speranze, le passioni assolute."
Eric J. Hobsbawm

venerdì 25 settembre 2015

Queste aziende servono ancora alla collettività?

(o la collettività serve a loro?)
di 
Luciano Martinoli



Il caso Volkswagen è oramai noto a tutti. Ritengo allora utile rivederlo da una prospettiva "sistemica" a partire dalle notizie riportate dal Corsera di oggi su vari suoi aspetti. Lo scopo è quello di cercare una risposta alla domanda su formulata. 
E' una domanda legittima che sorge spontanea sempre più frequentemente, purtroppo con la stessa aumentata frequenza di notizie di questo tipo (ad esempio, in casa nostra, l'annuncio di un importante aumento della profittabilità di un gruppo bancario e la contemporanea decisione di tagliare 10.000 posti di lavoro).

1. Le Norme 
L'Unione Europea, ma anche gli USA (e col tempo certamente altri paesi), hanno via via abbassato le soglie di emissione di inquinanti per la tutela della salute dei cittadini. A pag.9 Giusepe Sarcina riporta il contesto nel quale, nel 2007, presero avvio le normative sulle limitazioni degli inquinanti. La lobby tedesca, rappresentata non solo dagli industriali dell'auto ma anche da esponenti politici e sindacali, dopo aver fatto resistenza ("I produttori tedeschi, con auto più grandi e più inquinanti in catalogo, si scontrarono con i colleghi francesi e italiani, più disponibili ad accettare restrizioni anti-smog" ci ricorda Sarcina) accettarono tali norme. Ma la scappatoia fu presto trovata: i controlli reali furono affidati alle autorità nazionali, evidentemente "sensibili" alle pressioni tedesche. 
Infatti, come ammette Rebecca Harms presidente dei Verdi all'Europarlamento, "si sapeva che le regole contenessero troppe scappatoie". Dunque norme fatte per la collettività da esponenti della collettività? Oppure da esponenti di parti per i loro interessi particolari?

2. La Tecnologia
Sempre a pagina 9 viene intervistato l'Ing. De Vita, ex caporedattore della rivista specializzata Quattroruote e oggi in pensione. "Stiamo perdendo il lume della ragione" esordisce De Vita. "La Volkswagen ha detto una bugia e per questo va giudicata ma i trucchi ammessi nelle prove di omologazione sono ben più gravi." 
Lascio il lettore all'intervista di De Vita per avere chiarezza su questa allarmante dichiarazione. Riporto invece alcuni passaggi significativi per le nostre considerazioni.

Domanda: "Nel caso della Volkswagen si trattava di intervenire sugli ossidi di azoto."
De Vita: "Che non sono velenosi. Non derivano dai carburanti, ma dal riscaldamento dell'aria: li produciamo anche quando ci mettiamo ai fornelli. Il Diesel, è vero, produce un po' più NOx dei motori a benzina, perchè aspira più aria. Ma non è un inquinante. In Europa siamo severi con il particolato, gli americani hanno la mania del NOx."
Domanda: "Perchè?"
De Vita: "Negli anni 60/70 Los Angeles era sotto una cappa rugginosa di smog e nebbia causata dagli ossidi di azoto e dai vapori di benzina che uscivano dalle auto. L'iniezione elettronica, che ha eliminato i carburatori, e il catalizzatore hanno risolto il problema. Ma la paura del NOx è rimasta. E anzichè combatterla i costruttori, tedeschi in testa, l'hanno assecondata."

Allora non vi è un problema "tecnico oggettivo" ma una "sensibilità contingente" che si è deciso (o si è dimenticato) di non contrastarla o almeno indirizzarla? 
Distrazione o calcolo? E in questo secondo caso con quali benefici? Ancora De Vita ci chiarisce questo punto: "Nel 2003 il Nobel Carlo Rubbia diceva che i valori delle auto Euro 4 erano così bassi che non valeva la pena di spendere ulteriormente per ridurne l'inquinamento. Invece tutti hanno accellerato: Euro 5, Euro 6 e così via. Con l'entusiasmo dei costruttori, perchè così si dovrebbe cambiare modello ogni tre/quattro anni."
Calcolo dunque, ma miope visto che il gioco non poteva essere fatto a lunga se non... barando. E con quali conseguenze?

3 Gli uomini "in alto"
Sempre a pagina 9 non poteva mancare la retorica dei premi e compensi ai top manager... ovviamente quando le cose vanno male (mai quando vanno bene). 
Perchè? 
Perchè si pensa che quando vanno bene sia merito del manager superpagato e solo ex-post ci accorgiamo che in alcuni casi non era così? Provo a dare una interpretazione: riteniamo che un'azienda, come la Volkswagen, si possa "guidare" come un'auto, ad esempio una "Passat", e se vince una gara o va a sbattere contro un muro è colpa/merito del pilota. Ahinoi non è così, come i fatti recenti dimostrano e come altri eventi certamente lo faranno nel prossimo futuro con sempre maggiore evidenza (per ulteriori approfondimenti su questo tema consultare il nostro blog dedicato http://ettardi.blogspot.com/) 
Questi signori ricordano sempre più quei bambini ai quali, per farli stare buoni in auto, si da un volante finto per dargli l'impressione che guidi lui... ma il risultato è determinato dalla mamma, o dal papà, alla guida (e il papà o mammà sono ben più di una volontà singola nel caso aziendale).
E allora perchè strapagare questi signori per poi lamentarcene quando sbagliano? 
Non è colpa loro, ma non è neppure merito loro quando "l'azzeccano". Allora per cosa vengono pagati (o cosa dovrebbero invece fare)?

4 Gli uomini "in basso"
A pagina 1 Di Vico si occupa dei 50enni target delle ristrutturazioni. Analisi lucida, precisa che parte però dal presupposto che il mondo (delle aziende) è così e non si può cambiare. "Gli input del mercato -afferma Di Vico- sono precisi: una volta il ciclo di vita di un prodotto era di 15 anni, oggi siamo a 3. Le conseguenze sulle competenze sono devastatanti, si diventa obsoleti alla velocità della luce." Propongo un'analisi diversa, a partire dal rifiuto di considerare gli esseri umani, di qualsiasi età, genere e razza, meri "strumenti" di produzione, anche se intellettuale. E' l'obsolescenza dei paradigmi di visioni del mondo (noi le chiamiamo "risorse cognitive") da parte delle cosiddette "classi dirigenti" (che per quanto detto prima dovrebbero spiegare cosa pensano di "dirigere"!) che creano conseguenze devastanti alla velocità della luce. 
E il caso Volkswagen è illuminante proprio da questa prospettiva: conseguenze devastanti alla velocità della luce!
Dunque non penso che correre continuamente a "svuotarsi" e "ri-riempirsi" di competenze, come se fossimo fiaschi di vino sia fattibile. "Formazione continua" sì ma non quella che si intravede nella proposta di Di Vico. E poi "formarsi" per cosa? Per passare da cacciaviti a martello? E poi da martello a rasoio? 

La domanda iniziale ne ha scatenato successivamente una serie di altre che sembrano in inevitabile contraddizione continua fra loro. Interessi contrapposti, ma sostenuti non da esigenze "obiettive e necessarie" quanto da "sensazioni e certezze" tutte umane e contingenti, dunque che si possono cambiare.
E allora di quale azienda abbiamo bisogno?
Di quella che riscopra la sua vocazione originale: quella di comunità di "destino" non certo di mero scopo, che ha costruito il mondo che viviamo. Un mondo di cui godiamo i vantaggi che vogliamo difendere, perchè sebbene non sia il migliore dei mondi, ma sempre perfettibile, riteniamo sia il migliore che "abbiamo mai costruito" come comunità umanità.
Ecco, ho menzionato la parola chiave: questo mondo lo "abbiamo costruito" non è capitato. Non è stato deciso da leggi(che variano da zona a zona del mondo e da un epoca ad un'altra), capricci, saggi o poteri occulti. Se vogliamo l'unica parte che possiamo lasciare alla contingenza è stata la progettazione, non certo l'impegno a realizzare ciò che in fondo tutti, anche se in modo vago, volevamo.
E allora l'azienda di cui abbiamo bisogno è un'azienda che faccia suo un ruolo guida per la costruzione di mille nuovi mondi e lo faccia mettendosi a capo di un processo di progettazione "sociale" che coinvolga tutti coloro che sono chiamati a costruirlo: i lavoratori che possono perdere il posto o guadagnare di più, la politica che può guadagnare consensi o perderli, la finanza che può fornire risorse ad "imprese" perdenti o "costruttrici di futuro", eccetera. 
E tutto questo non per la ricerca di un ottimo, che non esiste come abbiamo visto nel caso Volkswagen, ma di una "costruzione di consenso" generale che se sarà ritenuto giusto (etico) e bello (estetico) verrà realizzato da tutti.
E questo progetto etico ed estetico venga celebrato in una rappresentazione del processo che ha portato ad esprimerlo (e che continua senza fermarsi) in un documento che sia di stimolo ed esempio anche per altre aziende. E che il compito delle "classi dirigente" sia quello di governare tale processo, cercando e fornendo i migliori strumenti al mondo per realizzare ed eseguire tali progetti (modelli innovativi di Business Plan, processi avanzati di progettazione, ecc.).

Utopia? Non credo, visto che strumenti e metodi per percorrere questa strada, che è quella di indirizzare "sistemicamente" lo sviluppo dell'azienda, esistono e in alcuni casi sono già stati sperimentati con successo. 
E in ogni caso: è meno utopico pensare di andare avanti all'infinito taroccando test o eludendo regole?  

  

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