"Se gli uomini non nutrono un ideale in un mondo migliore perdono qualcosa.
L'umanità non potrebbe funzionare senza le grandi speranze, le passioni assolute."
Eric J. Hobsbawm

venerdì 16 dicembre 2011

La stupidaggine della produttività …


di
Francesco Zanotti

Siamo in recessione, per ricominciare a crescere aumentiamo la produttività a livello di imprese ed a livello di Sistema Paese. E’ la ricetta del Minstro Passera.
Non mi soffermo sulla produttività del Sistema Paese, anche se, anche a qual livello, l’obiettivo della produttività è insensato.
Mi soffermo sulle imprese. Immagino di essere un piccolo imprenditore che fa prodotti di consumo che, oramai, sono commodity. Forse, addirittura, sono sempre stato un terzista che, spesso, è riuscito a campare anche grazie ad un solo cliente. Ora nessuno vuole comprare i miei prodotti. E io che faccio? Lavoro più intensamente, cerco di pagare meno le persone per produrne di più? Ovviamente no! Allora lavoro più intensamente e cerco di pagare meno le persone per farli costare meno? Forse ci riesco, ma appena l’ho fatto, lo fanno anche i miei concorrenti. E continuo a non  riuscire a vendere prodotti che faccio sempre più fatica a fare.
Ed allora? Perché Il Ministro Passera propone una ricetta palesemente insensata?
Non vogliano cedere alla sirena delle teorie del complotto. Del Tipo: Passera è stato messo lì da qualche oscuro potere per ancora più oscuri obiettivi. Mi limito a riproporre un post di qualche giorno fa dove proponevo una strada alternativa alla produttività. Un momento: rileggendo le righe che tra poco proporrò mi è venuto una ipotesi di risposta. Il ministro Passera propone la via della produttività perché è l’unica che conosce. Non dispone delle conoscenze (di strategia d’impresa, di teoria del sistemi) che potrebbero portarlo a proporre ricette meno contro producenti della ricerca della produttività.
Ecco il testo dal post “Il cacciavite” ….


“Guardiamo al mercato come al luogo in cui emergono immense e sempre nuove potenzialità. Le nuove modalità di intendere la vita sono tra queste.
Pensiamo alle imprese come all’attore che deve far precipitare le opportunità di futuro in un nuovo modello di società.
Allora cominceremo a ragionare in modo diverso. Innanzitutto cercheremmo di capire esattamente quanto la posizione competitiva di una impresa è deteriorata, quale sarà la sua evoluzione e cosa comporta questa evoluzione in termini di capacità di produrre cassa. Alle due domande del come e del quanto servirà l’aiuto delle banche si può rispondere, insomma, a livello di singola impresa guardano alla sua posizione competitiva. Ovviamente servono nuove conoscenze per farlo.
Poi ci metteremmo in ascolto: ma cosa di nuovo bolle nel pentolone della società? E questo guardare ci metterà in atteggiamento progettuale. Potremmo iniziare a immaginare come trasformare le cose che produciamo e come le produciamo. Potremmo immaginare come avviare nuove imprese che non si perdano in banalità tecnologiche che sopravvivono fino a quanto qualche incubatore le mantiene. Dovremmo riuscire a prevedere se le imprese trasformate o quelle nuove godranno di un posizionamento strategico capace di far produrre loro cassa.
Anche per ascoltare, progettare e valutare, servono nuove conoscenze …

Il cacciavite, finalmente. Se non si riesce a svitare una vite con le mani nude, in genere si prende in mano un cacciavite. Oggi le sfide imprenditoriali non sono produrre e vendere meglio le cose di sempre. Oggi è necessario valutare, ascoltare, riprogettare, valutare. Non si possono fare queste cose a mani nude, come hanno fatto gli imprenditori del passato. Oggi è necessario dotarsi di quel particolare, semplice ed efficace cacciavite che è costituito dalle conoscenze e dalle metodologie di strategia d’impresa. Ed è necessario dotarsi di un cacciavite migliore di quello dei nostri concorrenti. Fuor di metafora: delle conoscenze e delle metodologie di strategia d’impresa più avanzate.

Usando queste nuove conoscenze e metodologie riusciremo a ricostruire i fondamentali: l’impresa produce cassa, la collettività decide come distribuire questa ricchezza prodotta. Più banalmente: è l’impresa che produce risorse per costruire lo Stato. Non è lo Stato che deve mantenere l’impresa.”


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