"Se gli uomini non nutrono un ideale in un mondo migliore perdono qualcosa.
L'umanità non potrebbe funzionare senza le grandi speranze, le passioni assolute."
Eric J. Hobsbawm

lunedì 25 giugno 2012

Alla radice del problema


di
Francesco Zanotti

Leggo un articolo di Giuliano Amato sul Sole 24 Ore di ieri dove sostiene una tesi che non si può non condividere. Dice: è certamente un bene che l’Europa si muova verso l’unione bancaria, fiscale e politica. Ma ci vorrà tempo e dobbiamo temere un incedere colmo di incertezze perché le opinioni, le scelte, le strategie dei diversi Paesi sono tutt’altro che univoche.
Allora, conclude, dobbiamo costruire una strada di sviluppo autonoma. E la proposta è: abbattiamo il debito pubblico verso l’estero facendolo comprare agli italiani.

Ora l’analisi è così evidente da sembrare banale. Ma la proposta è perdente.
Proviamo ad andare al fondo del problema: se avessimo in Italia 50 imprese che hanno la capacità di produrre cassa della Apple non avremmo problemi. Abbatteremmo il debito pubblico (tutto), potremmo avere risorse per la solidarietà sociale, potremmo aumentare gli stipendi.

Invece cosa abbiamo? Un sistema di imprese che è distribuito in un continuum, ad un capo del quale vi sono, certamente, imprese che in piccolo sanno produrre cassa come la Apple. Ma, all’altro capo, vi sono terzisti a bassa tecnologia e monoclienti che oggi stanno assorbendo cassa e non si vede come possano un domani, che dovrebbe essere molto prossimo, per non decretarne la scomparsa, tornare a produrla.
In mezzo vi è, appunto, la terra di mezzo di imprese che stanno come sospese. Rischiamo di scivolare verso l’estremo negativo del continuum e non si sa bene come aiutarle nel brevissimo. Esiste la carta della sopravvivenza finanziaria (pagano le banche), ma oggi fornire risorse per la mera sopravvivenza finanziaria è come fornire droga: si genera un momentaneo benessere che può essere mantenuto solo con dosi sempre più alte.

Cosa fa la differenza tra le imprese che stanno al capo virtuoso del continuum rispetto a quelle che stanno al capo opposto?
L’opinione corrente è che quelle virtuose sono più competitive. Ma si tratta di una opinione troppo generica, fino a diventare retorica.
Infatti, cosa significa essere più competitive?

Può significare due cose opposte: una capace di costruire sviluppo, l'altra che porta dritti dritti all’inferno.
Competitività può significare proporre sul mercato prodotti o servizi unici. Le imprese che si sono dotate di questo tipo di competitività sono imprese “Apple like”. Poi esistono altri tipi di competitività che hanno sempre meno (rispetto alla unicità del sistema d’offerta) capacità di far produrre cassa alle imprese che l’adottano. La competitività meno “potente”, fino ad essere controproducente, è la competitività di prezzo.

Di fronte a questa situazione, innanzitutto, propongo di cambiare il linguaggio. Proporrei di dire che le imprese che si sono dotate, o vogliono dotarsi, di prodotti e servizi unici seguono strategie imprenditoriali. Lascerei la parola competitività a descrivere la ricerca di diversità di “potenza” (in termini di capacità di generare cassa) inferiore. Fino a quella diversità che significa impotenza strategica che è la competizione di prezzo.

Allora la via che dobbiamo intraprendere è quella di aumentare il numero di imprese che hanno voglia di strategie imprenditoriali. Che hanno voglia di immaginare prodotti e servizi radicalmente nuovi, ologrammi di una nuova società.
Aumentale il numero di voglia di imprenditorialità profonda delle imprese non è una via “succedanea” in attesa che si muova l’Europa. Quasi un tamponarne le incapacità e le insipienze, ma è la via regina senza la quale anche la più tempestiva e lungimirante leadership europea diventa impotente.

Per aumentare la voglia di imprenditorialità profonda non servono esortazioni retoriche. Occorre fornire conoscenze e metodologie di strategia d’impresa per aumentare la capacità di visione e di progetto. E fornirle sia alle banche che alle imprese.

Operativamente, queste conoscenze e metodologie possono permettere, innanzitutto, di costruire una panoramica complessiva della distribuzione delle nostre imprese nel continuum “imprenditorialità-competitività”. Cioè nel continuum “capacità di produrre o assorbire cassa”. E’ una panoramica indispensabile per le imprese, ma soprattutto per le banche. Come fanno, altrimenti a valutare la qualità del  loro portafoglio crediti verso le imprese?

Poi servono alle imprese per riprogettare la loro identità profonda. Se le banche dispongono delle stesse metodologie e conoscenze possono fungere da stimolo, da contributo allo sforzo di progettualità strategica delle imprese.

Tentando una sintesi: lasciamo pure che si cerchi una maggiore integrazione europea. Ma, intanto, noi iniziamo a rinnovare le nostre imprese usando una risorsa fino ad oggi negletta: la conoscenza. E, in particolare, le conoscenze e le metodologie di analisi e progettualità strategica.



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