"Se gli uomini non nutrono un ideale in un mondo migliore perdono qualcosa.
L'umanità non potrebbe funzionare senza le grandi speranze, le passioni assolute."
Eric J. Hobsbawm

venerdì 29 agosto 2014

La pericolosa cecità della finanza (e delle imprese)

(il caso dei titoli di debito aziendali)
di
Luciano Martinoli



Economia reale e Finanza devono mettersi in testa alcune cose.
La prima: esiste una metodologia rigorosa e comprensibile per descrivere il business di una impresa e la sua evoluzione. Una modalità rigorosa per costruire progetti di sviluppo di una impresa che, per convenzione, definiamo Business Plan.
La seconda: esiste una metodologia di valutazione dei Business Plan che viene definita “Rating di un Business Plan”.
Queste metodologie non scendono dal pero, ma sono il risultato dell’utilizzo delle più avanzate conoscenze di strategia d’impresa.
Se economia e finanza vogliono costruire un’alleanza di sviluppo, invece di farsi mantenere, le imprese, o costruire bolle, la finanza, allora queste metodologie devono usare.

A sostegno di questa mia tesi, che è il fondamento delle proposte di questo blog, e ad illustrazione dei danni che il non accettare le proposte di questo blog può causare,  vi propongo l'analisi di tre recenti casi.

Qualche settimana fa sul giornale online Linkiesta è apparso un articolo che si interrogava sull'uso dei minibond a partire dal caso Guala Closure, un'azienda pavese che nel 2012 ha lanciato un'offerta di debito e che oggi delocalizza in Polonia mettendo a rischio posti di lavoro locale dopo aver utilizzato, presumibilmente, anche risparmio locale per l'operazione finanziaria. 
La tesi centrale è la seguente:

"L’obiettivo di canalizzare fondi e risparmi italiani su imprese italiane che investono potrebbe scontrarsi - come in questo caso - su decisioni di investimento che portano via il lavoro dall’Italia, perché la multinazionale, tascabile o no, deve ragionare su uno scacchiere geografico dove i vincoli e i costi sono molto diversi. Quindi da un lato si alleggerisce la posizione delle banche italiane (che da Guala volevano uscire…) ma non si creano sempre opportunità in Italia. È il mercato, bellezza."

Eh no, è l'ignoranza, bellezza, altro che mercato!
Se infatti tutti gli stakeholder conoscessero la Strategia d'Impresa, come sanno parlare di calcio, il legislatore avrebbe imposto alle aziende che vogliono usare pubblico risparmio la pubblicazione dei loro Business Plan usando lo stato dell'arte delle tecnologie di merito (come già richiede per altri ambiti). Le amministrazioni locali, ma anche i sindacati, leggendoli avrebbero ben chiari gli intenti aziendali e si mobiliterebbero ben prima, e non dopo a buoi scappati, per manifestare le loro istanze e le loro preoccupazioni. 
Lamentarsi dopo e affidarsi alla fatalità (E' il mercato, bellezza!) è esercizio di pavidi e/o ignavi.

Ancora su Linkiesta un articolo sul pericolo che lo stato si trasformi in Hedge Fund a partire dalla possibilità che un gestore possa chiedere la copertura parziale del suo portafoglio di minibond allo Stato attraverso il fondo di garanzia delle PMI. L'analisi delle tecniche finanziarie, e di cosa può comportare, è ben illustrata e motiva un rischio reale il quale però può essere scongiurato solo attraverso una analisi del sottostante: un giudizio (Rating) sui business plan che giustificano quel portafoglio.
Ancora una volta: vengono redatti i Business Plan secondo le migliori tecnologie di Strategia d'Impresa? Perchè non viene imposto a chi emette minibond di pubblicare i BP invece della ridicola e inutile domanda di ammissione piena di banalità e ripetizione? Il ministero, attraverso il fondo di garanzia delle PMI, è attrezzato per emettere un giudizio (effettuare un rating) sui BP?
In difetto i rischi illustrati dall'articolo sono reali e lo Stato si renderebbe ancora una volta complice, causata dalla sua ignoranza, dello sperpero di risorse pubbliche.

Se questo è quanto accade nel nostro paese, cosa succede in quello che viene considerato il mercato finanziario più avanzato e grande del pianeta?
E' notizia di questi giorni (si legga articolo del NYT) di importanti decisioni della SEC proprio su questo merito.
In ritardo di 6 anni dal cataclisma finanziario, generato da quello stesso mercato che dovevano sorvegliare, hanno imposto la cosa più ovvia sui più probabili veicoli di "tossicità" finanziaria (gli ABS): la descrizione di cosa c'è dentro, come si fa "sulle etichette del cibo e i medicinali che descrivono la lista gli ingredienti".
Un passo avanti importante, anche se tardivo, ma anche loro rimangono al palo come rivela una consulente finanziaria al termine dell'articolo: "Se stai valutando un merito di credito devi capire i crediti sottostanti. Questo è un buon passo importante nella giusta direzione, ma come si applica?"
La risposta è la stessa di prima: con le conoscenze in materia, quelle della Strategia d'Impresa e, in questo caso, con tecniche di Rating di BP:

Spero allora sia evidente, arrivati a questo punto, che la necessità di dotarsi di queste conoscenze (e dei conseguenti strumenti), non sia quella di un miglioramento marginale alle pratiche di business corrente ma, ben più importante, il necessario progresso della nostra economia: in che direzione e come svilupparla perchè da essa dipenderà se vogliamo, come lo è stato finora, la nostra società.

mercoledì 27 agosto 2014

Nascita e sviluppo dei modelli (semplici) di business: il caso di Internet

di
Luciano Martinoli


Non c'è nulla di male a percorrere la strada più semplice per metter su un business. E' invece dannoso e pericoloso pensare, successivamente, che quello sia l'unico modo per svilupparlo, portando alle estreme conseguenze gli effetti negativi pur di beneficiare di quelli positivi.
Un paradigmatico esempio di questo perverso meccanismo ci viene da un acuto articolo apparso sulla rivista americana Atlantic che illustra la genesi, e le sue conseguenze, dello sviluppo del modello economico attuale di Internet, basato esclusivamente sulla pubblicità.

martedì 26 agosto 2014

Svalutazione strategica e protesi imprenditoriale

di
Francesco Zanotti


Leggo sul Sole una intervista a Maurizio Marchesini presidente di Confindustria Emilia Romagna. E scopro che gli imprenditori hanno sempre in testa la svalutazione competitiva come arma fondamentale. La “novità” è che questa svalutazione stavolta va fatta a livello Europeo.
Marchesini avanza anche altre proposte: stimolare investimenti sostanzialmente in macchinari e trovare il modo di dare liquidità alle imprese fornendo garanzie su garanzie fino alla garanzia suprema di Pantalone, cioè tutti noi.
Ma tutte queste cose hanno un nome solo: protesi imprenditoriale. Detto diversamente: la richiesta è che lo Stato e la UE intervengano per permettere agli imprenditori di continuare a fare il business di sempre. Ma Marchesini ha proposto anche di supportare gli investimenti … Sì, ma sono quelli nella macchina di ultimo tipo che, per un imprenditore, è come il gadget elettronico che il bambino chiede al papà pestando i piedi e facendo capricci. Il papà in questo caso è, ovviamente, lo Stato.
Cari imprenditori, non chiedete soldi per sopravvivere. Chiedete conoscenza per sviluppare progetti di rivoluzione strategica delle vostre imprese. Ricordate quando guadagnavate tanto? E’ perché fabbricavate e vendevate qualcosa che gli altri non erano in grado di offrire. E questo qualcosa aveva un senso funzionale ed esistenziale profondo per il vostro mercato, piccolo o grande che fosse. Oggi, se fate un esame di coscienza sereno, scoprirete che non solo voi siete invecchiati biologicamente, ma che i vostri prodotti sono diventati commodities, anche poco interessanti. Non si può far sopravvivere questo sistema di produzioni. Dovere guardare altrove non chiedere soldi. Se guardate altrove arriveranno anche i soldi da mille investitori per finanziare Progetti di rivoluzione strategica alti e forti e, poi, dal mercato per remunerare investitori, voi e i vostri collaboratori.


venerdì 22 agosto 2014

Sfide non percepite, per non parlare di auto

di
Francesco Zanotti



Leggo sul Sole24Ore di oggi un articolo di Carlo Bastasin che, almeno, ci prova.
Parla dei problemi delle banche centrali, ma poi ammette: sullo sfondo ci sono problemi che sovrastano la politica monetaria. E, secondo Bastasin sono: l’invecchiamento della popolazione, i dubbi sulla portata delle future innovazioni tecnologiche, la minore capacità di inclusione delle economie aperte.
Ci prova, ma spara basso. Spara conservatore.
L’invecchiamento della popolazione potrebbe essere non un problema, ma una grande ricchezza se solo si capisse che le persone più anziane non hanno solo esperienza (che potrebbe essere un limite), ma anche una capacità cognitiva che ai giovani fisiologicamente manca: la capacità di elaborare immagini e progetti complessivi. E, in un mondo sempre più complesso, si tratta di una capacità decisiva.
Le future innovazioni tecnologiche. Dipende da quali sono le innovazioni tecnologiche a cui si riferisce. Se sono le solite e noiose “tecnologie digitali”, allora il dubbio è legittimissimo. Ma il vero progresso sarà costituito dalle tecnologie che deriveranno da quella nuova scienza che sta emergendo e che è profondamente non digitale. E’ topologica, quantistica.
La capacità di inclusione. Io credo che occorra attivare capacità di inclusione reciproca (di esistenzialità, di culture, di etiche), in modo da creare non solo una nuova economia, ma anche una nuova società.
E’ ovvio che se si rimane nella visione di Bastasin, la soluzione è nella crescita economica (la crescita di questa economia) e le “politiche sociali” per aumentare una capacità di inclusione che sa molto di voglia di clonazione del nostro modello economico e sociale.

Ma il nostro modello economico e sociale ha perso di significato esistenziale e di funzionalità. Non lo possiamo rivitalizzare.
Un solo esempio: i prodotti proposti dalle nostre industrie interessano sempre meno. Un esempio nell’esempio: l’auto. Si dice che il mercato dell’auto cresce negli USA. Certo: si concedono mutui per comprare auto, quasi a tutti. E poi si cartolarizza. L’auto non è un bene appetibile, ma una occasione per fare finanza drogata.


martedì 19 agosto 2014

Sistema bancario: rivoluzione o involuzione?

di
Francesco Zanotti



Leggo sul Sole24Ore di oggi un articolo di Antonio Patuelli (Presidente ABI) dal titolo: La rivoluzione del credito e i capitali privati per la ripresa.
A me, invece che una rivoluzione, sembra il capitolo forse decisivo di quel processo involutivo che ha costruito l’attuale crisi e che si chiama: rinuncia al fare impresa.
Innanzitutto la rivoluzione è solo normativa: l’integrazione dei sistemi bancari a livello europeo. Non è certo una rivoluzione nel modo di fare banca. Cioè: nei prodotti e nei servizi che la banca offre.
Forse questa rivoluzione verrà dopo la rivoluzione normativa … a sostegno e significazione della rivoluzione normativa … Ecco: no! Infatti, qual è la strategia che deve, secondo il Presidente Patuelli, accompagnare, significare la rivoluzione normativa? Il rafforzamento patrimoniale. Detto da lui esplicitamente: serve a poter sostenere le perdite.
Ecco la involuzione, la perdita del senso di fare impresa, la patologia imprenditoriale che genera la crisi.
Lo ripeto, perché anche a me sembra incredibile. La strategia è: aumentare il patrimonio per sostenere le perdite generate dalle sofferenze. Aumentarlo sempre di più per poter sempre di più sostenere le perdite … che, sotto sotto, si immaginano crescenti.
Ma una impresa ragiona al contrario: cerca di sviluppare un nuovo sistema d’offerta per trasformare le perdite in utili.
Questo atteggiamento imprenditoriale “normale” è possibile per le banche? Certamente sì! Anzi è esiziale non adottarlo.
Basta che le banche si dotino di metodologie di valutazione dei clienti di tipo strategico, invece che patrimoniale, economico e finanziario. Non solo per saper scegliere meglio i clienti, ma per generare lo sviluppo del loro sistema di clienti. Infatti le metodologie di valutazione strategica hanno come obiettivo la valutazione dei progetti di Futuro delle imprese. E, come tali, sono di stimolo alle imprese perché generino progetti di sviluppo alti e forti.
Una rivoluzione sarebbe quella di fare veramente l’impresa: usare metodologie di valutazione strategica che generano una nuova progettualità imprenditoriale nei territori.
La banca che diventa catalizzatore di sviluppo. Che genera la ripresa, non sta ad aspettare che ci pensi qualche di minore. Se le banche non attivano questa rivoluzione non risolveranno il loro problema di fondo che non è tanto la solidità patrimoniale (che, pure, serve), ma il fatto che gli stanno morendo i clienti.



domenica 17 agosto 2014

Costruire sviluppo è costruire una nuova economia ed una nuova società

di
Francesco Zanotti


Leggo sul Sole 24 Ore di oggi un articolo di Paolo Cirino Pomicino (politico di vecchissima guardia) dal titolo: Un Piano quadriennale di sviluppo.
Articolo brillante. Ma è l’articolo che potrebbe scrivere un CFO: come gestire le finanze di questo Paese indipendentemente da quello che questo Paese è e che vuole diventare. Come i Piani costruiti dai CFO: come gestire le finanze indipendentemente da cosa fanno e, soprattutto cosa vorranno fare, da grandi, cioè nel futuro, le imprese.
Nella pagina a fianco un articolo su Alcide De Gasperi dal titolo: Alcide De Gasperi,il presidente di un nuovo inizio.
Ecco in quegli anni il Piano di sviluppo del nostro Paese era orientato a costruire una nuova economia all'interno di una nuova società.
Oggi, invece, cerchiamo solo di far sopravvivere con strategie finanziarie (ed anche istituzionali) una vecchia economia in una vecchia società.

Così non riusciremo mai a costruire sviluppo.

venerdì 15 agosto 2014

Più di così … che possiamo fare?

di
Francesco Zanotti


Tutti sembrano sorpresi dal fatto che la crisi non la smette.
Ma in questo blog l’abbiamo detto …
Abbiamo detto che la crisi non sarà superata attraverso alcuna ripresa dell’economia attuale, ma che serve una riprogettazione strategica profonda delle imprese.
Detto più brutalmente: le imprese stanno producendo oggetti che interessano sempre meno. Come volete che si accenda una ripresa? Come attendersi che la gente torni a comprare?
Abbiamo detto che le strategia della competitività e della produttività non possono funzionare perché significano solo il produrre di fare meglio le cose di sempre. Quelle che non comprano più.
Abbiamo anticipato l’allarme bond dicendo che il problema emergerà in tutta la sua gravità quando imprese impegnate nella conservazione non riusciranno a rimborsarli e non riusciranno ad emetterne altri …
Abbiamo detto che per realizzare una rivoluzione strategica servono nuove risorse cognitive che ne banche né imprese possiedono … E che noi rendiamo gratuitamente disponibili in questo blog.
Presenteremo il 10 ottobre un grande progetto che abbiamo denominato Expo della Conoscenza dove illustreremo la centralità delle risorse cognitive e descriveremo un “patrimonio” di nuove risorse cognitive che possono permettere di progettare un futuro economico e sociale alto e forte …
Che possiamo fare di più?

Possiamo chiedere ai nostri lettori di diffondere questi messaggi …

martedì 12 agosto 2014

Sciocchezze agostane: la fiducia genera investimenti

di
Francesco Zanotti


Una delle verità che si danno per scontate è che per superare la crisi servono gli investimenti e per stimolare investimenti è necessario un clima di fiducia.
Sciocchezza agostana. Per mille ragioni che provo a raccontare.
Innanzitutto fiducia verso chi o verso cosa?
Fiducia nella possibilità della ripresa. Ma qui è il gatto che si mangia la coda: la ripresa è generata della fiducia. Ma perché vi sia fiducia è necessaria la ripresa. Come la mettiamo?
Fiducia nel governo.  Ma che significa? Che il Governo creerà la condizioni per la ripresa? Ma il gatto non smette di mangiarsi la coda: il governo farà quello che si ritiene importante per la ripresa solo se prima ci sarà la ripresa che genererà le risorse necessarie.
Poi, tagliamo la testa al toro: se ripresa significa la ripresa di questa economia scordiamocelo. Come abbiano scritto in un post precedente,
questa ripresa non arriva e non arriverà.
Ed allora?
La fiducia non è il punto di partenza. E’ un “sentimento” che emerge quando si individua una strada e la si percorrere con determinazione. A mano a mano che si procede lungo quella strada, la fiducia si rafforza.
Allora il “primum movens” è la voglia di costruire un nuovo mondo, una nuova economia ed una nuova società. Poi questa voglia diventa progetto. E sono i progetti che attirano investimenti. Progetti alti e forti attirano investimenti quasi indipendentemente dalla situazione sociale, politica ed istituzionale. I progetti che hanno generato il miracolo economico italiano sono nati addirittura durante la seconda guerra mondiale e si sono sviluppati in un Paese fatto di rovine materiali, sociali, politiche ed istituzionali. Certo progetti di continuità (acquisto una impresa, aumento la capacità produttiva, rinnovo i macchinari) hanno bisogno di un sistema Paese che funzioni. Ma, poi, non basta neanche perché sono destinati a fallire in ogni caso.

I progetti di sviluppo alti e forti garantiscono una occupazione alta e forte forniscono le risorse per riformare il sistema Paese.

venerdì 8 agosto 2014

Investimenti … per cosa?

di
Francesco Zanotti


Con tutto il rispetto, credo che il Prof. Quadrio Curzio rappresenti la summa delle idee che presumiamo siano giuste, ma che sono distruttive.
Oggi sul Sole ripropone la tesi che è necessario far arrivare la liquidità esistente alle imprese per investimenti.
Cosa c’è di sbagliato? Che, prima, occorre che le imprese progettino quali investimenti e come aumenterà la capacità di generare cassa grazie ad essi. E’ questo che manca, non i soldi. Di soldi se ne trovano in abbondanza anche senza gli interventi della BCE, della BEI e della “famigerata” Cassa Depositi e Prestiti che viene tirata in ballo ad ogni piè sospinto.
Sono i progetti che mancano. Meglio: ci sono solo progetti “di sopravvivenza”. Del tipo: datemi i soldi che, prima o poi, la crisi passerà. Come continuiamo a ripetere (ma il messaggio è sempre nuovo perché nessuno lo ascolta), quello che manca sono progetti di rivoluzione strategica delle imprese. Che descrivano come rivoluzionare sistemi d’offerta ed organizzazione in modo da aumentare in tempi brevi la capacità di generare cassa delle imprese.
Ma forse sbaglio a personalizzare il discorso. Non è il prof. Quadrio Curzio il problema. Ma il sistema delle risorse cognitive che utilizza: le conoscenze macro economiche che non permettono di comprendere che lo sviluppo è nemico dell’equilibrio (quello che cercano le teorie macro economiche) e nasce da processi emergenti. Cioè: non permettono di capire che lo sviluppo è generato dalla progettualità dal basso e non dalle riforme dall'alto. E, che per stimolare progettualità dal basso occorre fornire risorse di conoscenza capaci di aumentare la capacità progettuale delle nostre imprese. I soldi verranno dopo. E quelli che si possono trovare sono (ed è giusto che sia così) strettamente proporzionali alla qualità dei Business Plan dell’impresa.


martedì 5 agosto 2014

Le borse di Paula Cademartori e la stupidità della produttività

di
Francesco Zanotti


La storia è sul Sole 24 Ore di oggi a firma Giulia Crivelli. Stilista di origine brasiliana, Paula Cademartori oggi produce a Milano borse che necessitano di circa 30 ore di lavoro e che costano un occhio della testa, facendole guadagnare … l’altro occhio ..
Bene a lei non credo importi molto della produttività. Non le importa molto di ridurre il tempo di lavorazione delle sue borse dalle 30 ore attuali a 29 ore e 55 minuti … Si perché chi crede nel feticcio della produttività, poi, più di qualche percentuale di produttività non riesce a recuperare.
La produttività è l’ultimo rifugio di chi non vuole rivoluzionare l’identità strategica della sua impresa. Di chi non è capace di innovazioni radicali. Degli economisti che quando si parla di imprenditorialità sono rimasti a Schumpeter.
La ricerca spasmodica della produttività è irresponsabile sia dal punto di vista della società che dell’imprese. La ricerca spasmodica della produttività non ha nulla a che fare col profitto (e prima o poi qualcuno mi dovrà spiegare dove si legge il “profitto” nel bilancio di una impresa. Oppure sarà necessario riconoscere che “profitto” è una parola senza senso). Ed ha tutto a che fare con una visione banale e un po’ ignava del fare impresa.


domenica 3 agosto 2014

Allarme sui bond …

di
Francesco Zanotti


Oggi sul Sole 24 Ore vi è una paginata intera, con l’articolo principale di Morya Longo, che paventa il fatto che il mercato secondario dei bond diventi illiquido.
Secondo me il rischio maggiore è, mi si lasci dire così, nel mercato primario. Intendo dire che la maggior preoccupazione dovrebbe essere il fatto che le imprese che emettono bond non sappiano rimborsarli alla scadenza. Il fatto di concentrare l’attenzione sul mercato secondario impedisce di ragionare sulla capacità di restituzione del debito degli emettitori. Senza dirlo, forse anche senza pensarlo, si è tranquilli che la restituzione di una emissione possa essere finanziata con un’altra.
Ora se la capacità di generare cassa delle imprese cala, questa dimenticata attenzione ai fondamentali (il fatto che le imprese con i soldi prestati finanzieranno azioni che permetteranno loro di aumentare la loro capacità di generare cassa) porterà ad una bolla sostanziale. Le imprese dovranno aumentare sempre di più un indebitamento che potrà essere scambiato quanto si vuole, ma, prima o poi, accadrà che qualcuna di questa imprese rivelerà palesemente la sua incapacità di onorare il debito. Ed allora il castello del secondario crollerà come il classico castello di carte.

Ora, la capacità futura di generare cassa delle imprese la si legge nei loro Business Plan. E’ possibile farsene una idea molto precisa valutando la qualità del loro Business Plan …
Se guardate ai Business Plan delle più importanti Società emettitrici di bond, vi verrà la tremarella. Ma non perché i loro bond non vengono scambiati. Ma perché le loro stesse previsioni sulla loro capacità di aumentare la generazione di cassa sono preoccupanti.

Dobbiamo assolutamente superare l’autoreferenzialità dei mercati finanziari. Dobbiamo ridurre il ruolo delle analisi tecniche e tornare ad occuparci di analisi fondamentale. Ovviamente con strumenti molto diversi dal passato, come ad esempio, il Ratingdei Business Plan.


sabato 2 agosto 2014

FIAT sugli altari. Ma siete sicuri?

di
Francesco Zanotti

Oggi tutti giornali esaltano la FIAT. La sua fusione con Chrysler è stata una operazione industriale non finanziaria. E declinano … Ora la FIAT serve il mercato globale, produce globalmente, si riposiziona nella fascia alta del mercato, aumenta l’efficienza produttiva …
Tutto bene? Forse salvo due domande.
La prima: e se a me non interessasse più l’auto come mezzo di trasporto individuale? Se non interessasse anche ad un numero rilevante di altre persone? Cioè: immaginate che gli acquisti di auto complessivi di auto diminuiscano ed appaiano altre modalità di trasporto individuale. Cosa accadrebbe non solo alla FIAT, ma a tutti i produttori di auto che rimangono convinti che il mercato debba crescere continuamente?

La seconda domanda. Cosa  accadrebbe se qualche concorrente di FIAT decidesse di abbandonare l’organizzazione del lavoro attuale che viene giudicata il meglio, tanto da definirla “World Class Manufacturing” ed usasse la attuali conoscenze scientifica, psicologiche, sociologiche ed antropologiche per sviluppare una nuova modalità di governo delle organizzazioni che potesse anche costruire e diffondere una nuova filosofia del trasporto individuale?

venerdì 1 agosto 2014

Una ripresa meno favorevole del previsto. Ma dove vai se un Progetto di Sviluppo non ce l’hai?

di
Francesco Zanotti


Piano piano si sta scoprendo quello che a tutti coloro che viaggiano per imprese è sempre stato evidente e che noi denunciano da sempre. Non vi sarà una ripresa che salverà l’economia. Sarà l’economia che genererà la ripresa se le imprese saranno in grado di progettare proprie rivoluzioni strategiche.
Troppe imprese producono cose che non interessano più con processi produttivi e distributivi insostenibili.
Tutti insieme: ma dove crediamo di andare se un progetto di Sviluppo non ce l’abbiamo?

Per riuscire a fare un Progetto di Sviluppo dobbiamo disporre di conoscenze che oggi non abbiamo: sono le conoscenze e le metodologie di strategia d’impresa. In questo mese di Agosto cercheremo di diffondere attraverso questo blog le conoscenze e le metodologie di strategia d’impresa che servono a costruire Progetti di Sviluppo (Business Plan) alti e forti.